Il leone è il mio mito

FICTION E PROGETTI EDITORIALI, Kenya, Tanzania e Zanzibar 2013-2014, le mie bestie, VIAGGI

Senza ombra di dubbio, il leone è il mio mito. Non so se è perché sono nato sotto il segno del leone, se per il fatto che è veramente bello, o per il suo status di Re della Foresta. Resta il fatto che quando ho incontrato per la prima volta i leoni nel loro ambiente naturale, ho coronato un sogno.

I 2 leoni maschi della riserva Klaserie in Sudafrica
I 2 leoni maschi della riserva Klaserie in Sudafrica

La prima volta è successo durante la mia permanenza al Gomo Gomo, un lodge privato che si trova all’interno della riserva (a sua volta privata) Klaserie in Sudafrica, ovvero nell’area che viene definita greater Kruger national park. Dietro un cespuglio ho visto muoversi qualcosa e ho subito capito di cosa si trattava non appena ha fatto 2 passi. Senza ritegno, mi sono messo a gridare: “Un leone, un leone”. Il Ranger Mornais, un afrikaaner bello paffuto, ha sorriso e poi ha spiegato: “I leoni che nascono qui sono abituati a vedere le macchine che girano, per loro fanno parte del paesaggio. Se scendete dalla macchina, è diverso”.
Ero rapito. C’erano le femmine adulte e i giovani di diverse età. Quello che avevo individuato per primo, aveva anche un accenno di criniera.
Il giorno dopo, abbiamo incontrato una famiglia di leoni che colonizzava letteralmente la strada. Quando una leonessa si è mossa verso l’auto, mi sono inconsciamente fatto piccino verso l’interno dell’auto, facendo ridere tutti. Ma al di là del fatto che i leoni sono abituati a vedere le auto, non è che stare a pochi metri da un predatore così formidabile e a bordo di un’auto scoperta sia il massimo della sicurezza. Non a caso, a Gomo Gomo fanno firmare una liberatoria del tipo: “Sono consapevole che i safari non sono privi di rischi”.
In quei giorni (dicembre 2002) tormentavo Mornais sui leoni maschi e avevo appurato che non era così scontato vederli perché passano buona parte del loro tempo a “Controllare il territorio”. In effetti, il secondo giorno di permanenza a Gomo Gomo ci siamo imbattuti in 2 maschi enormi e bellissimi che si riposavano all’ombra dei cespugli. Mornais era sceso a cercare le tracce e se li era trovati a pochi metri. E’ tornato che sudava freddo.
Il bello delle riserve private (detto egoisticamente) è che i Ranger se ne fregano di tutto e vanno con la jeep ovunque. Nel caso specifico, eravamo arrivati a pochi metri dalle 2 belve. Non dimenticherò mai la pigra grazia dei 2 leoni e i loro occhi mezzi socchiusi. Soprattutto perché una signora su un’altra auto si è mossa, facendo un rumore e uno dei 2 ha spalancato gli occhi e l’ha fissata, con un repentino movimento della testa. Avrebbe potuto fare di noi quello che voleva, ma è tornato in un attimo al suo riposo e dato a Mornais l’occasione di spiegare che, quando c’è un leone nei pressi, non ci si deve per nessuna ragione alzare e vanno evitati i movimenti improvvisi.

Una leonessa e i suoi cuccioli al parco Serengeti
Una leonessa e i suoi cuccioli al parco Serengeti

Al parco Serengeti in Tanzania, il giorno di Santo Stefano del 2013, mi sono trovato nei pressi di una leonessa e dei suoi cuccioli. Il mio land rover aveva il tettuccio aperto e io volevo vedere bene i leoni. Così sono salito sul sedile e mi sono sporto. La leonessa mi ha guardato e, aprendo solo leggermente la bocca, ha fatto un growl quanto meno significativo.
Nel mio stolto e fanciullesco romanticismo, sono dopo tutto convinto che i leoni a me non farebbero nulla, tanto li adoro. Ma per fortuna, ho la razionalità che sconfigge questo stato d’animo istintivo. Resta il grande rammarico per non potermi avvicinare al leone e tastargli il morbido che ha sotto le zampe.
Di leoni ne ho per altro toccati. Parlo dei leoncini che una volta portavano in giro per la spiaggia per farsi pagare una foto con loro. Ma i leoncini sono come i gatti. Anche in natura non danno per niente l’impressione di essere pericolosi, mentre caracollano dietro la madre, trotterellando felici. La leonessa madre del Serengeti portava curiosamente un collare. E’ possibile che glielo abbiamo messo (addormentandola prima, immagino) per poterne monitorare gli spostamenti.
Non è che le leonesse facciano sempre le mamme. Il 17 dicembre del 2009 ero nei pressi della pozza d’acqua Gemsbokulante nella zona di Okaukuejo, al parco Etosha in Namibia. Questa è la scena: in una radura a poche decine di metri si muove una leonessa. Ha il muso sporco di sangue, il che fa pensare che non abbia fame. In effetti, non sta cacciando. Si muove verso un gruppo di springbok per disperderli e spingerne uno verso altre 2 leonesse, che sono accucciate nell’erba, quasi perfettamente mimetizzate. Non fosse per la guida Linus, non le vedrei nemmeno per sbaglio. Ma gli springbok, chissà se per fortuna o furbizia, vanno nella direzione sbagliata (dal punto di vista delle leonesse accucciate) e il tentativo fallisce.
Al Serengeti, dopo esserci goduta la famigliola per un po’, abbiamo visto in lontananza qualcosa di grosso in mezzo alla strada. Era un quadrupede e, quando si è avvicinato, dal suo testone cinto da una folta criniera fulva, si è capito che era un leone maschio.

Un maestoso leone maschio al parco Serengeti
Un maestoso leone maschio al parco Serengeti

La prima cosa che si nota quando si incontra un leone maschio che si sta muovendo è che non teme nulla. Questo si è seduto in mezzo alla strada. Poi, quando un’auto gli si è avvicinata, si è alzato mollemente e ha tagliato per il prato. Ci veniva incontro, quindi non abbiamo dovuto fa altro che aspettarlo. Ad un certo punto il leone si è fermato, ha alzato la testa assumendo una posa veramente regale. Poi ha ripreso a camminare. Sotto un certo punto di vista, quando cammina il leone sembra quasi fare fatica. Il suo corpo è effettivamente enorme e i suoi passi sono lenti e misurati. Ma se osservate il suo mantello, notate i muscoli guizzare sotto la pelle e avete un’idea precisa della potenza di questo animale.
All’Etosha, precisamente nei pressi della pozza di Olifantsbad, ho visto un leone maschio gigantesco e con la criniera nera. Pur non essendo chiaro se la criniera di un leone abbia uno scopo, è quasi certo che sia originariamente fulva e tenda a scurirsi con l’età. Il maschio del Serengeti era probabilmente piuttosto giovane, mentre quello dell’Etosha era certamente nel pieno del vigore. “Big male lion”, aveva detto Linus e spiegato che stava cercando le sue leonesse. A proposito di big, pare che i leoni dell’Africa del sud siano mediamente più grandi, rispetto a quelli dell’Africa dell’est e che arrivino a circa 2 metri e mezzo di lunghezza.

I leoni sono la base per scatenare la paura dello spettatore nel film La caccia è aperta (2007), nel quale Peter Weller intepreta un ricco ingegnere che porta la famiglia in Sudafrica, dove lui sta lavorando a un progetto. In questo film succede che un Ranger accetta di far scendere il figlio piccolo di Peter dalla macchina per fare la cacca, viene aggredito e mangiato da un leone. Va a finire che i leoni assediano la famiglia. Un comportamento predatorio che sembra assurdo, ma vedremo poi che c’è molto da imparare su come si comportano i leoni quando cacciano.
In ogni caso, è dalla visione di Ultime grida dalla Savana che so che non si scende mai dall’auto durante un safari. Il film (di Antonio Climati e Mario Morra, con nientemeno che Alberto Moravia come voce narrante) uscì nelle sale nel 1975 ed era vietato ai minori di 14 anni. Io ne avevo 12 scarsi, ma riuscii a entrare nonostante tutto e a vederlo. Non potevo in effetti perdermi la scena in cui un certo Pit Dernitz (un turista belga; ma il nome viene scritto anche Doernitz) viene mangiato dai leoni in Namibia (secondo altre versioni, in Angola). L’uomo scende dall’auto per riprendere con la telecamera un gruppo di cuccioli e viene aggredito alle spalle da una leonessa. Arrivano altri leoni e lo divorano, mentre qualcuno filma.
E’ tutto molto impressionante. Ma molti ritengono che la scena sia un falso. Per la verità, è presentata oggi su YouTube come una scena realmente accaduta. La voce fuori campo dice addirittura che le immagini sarebbero state usate dagli eredi in una causa contro la compagnia di assicurazione. Ma, come molti fanno notare, nella scena c’è davvero troppo poco sangue per essere in effetti un attacco di un leone e la qualità delle riprese sembra eccessivamente buona, per essere fatta da un amatore nel 1975.

John Henry Patterson al suo arrivo a Tsavo
John Henry Patterson al suo arrivo a Tsavo

Ci sono leoni mangiatori di uomini che hanno comunque conquistato una certa fama.
Nel 1898 il Colonnello John Henry Patterson arrivò a Tsavo in Kenya. Era un Ingegnere e doveva sovrintendere alla costruzione di un ponte sul fiume Tsavo per permettere alla ferrovia di collegare il Kenya all’ Uganda. Patterson aveva poco meno di 30 anni ed era un cacciatore esperto. Ma dovette fronteggiare qualcosa di imprevisto: la presenza di 2 leoni mangiatori di uomini, che erano diventati così arditi da attaccare le persone nelle tende e trascinarle fuori per ucciderle e cibarsene.
Patterson pubblicò nel 1907 un libro dal titolo The man eaters of Tsavo and other East African Adventures che divenne un best seller internazionale. E’ un libro molto interessante da leggere, anche perché Patterson scrive con uno stile incalzante e molto accattivante. Oggi si dice che Patterson abbia romanzato parte della vicenda. Leggendo il libro, si apprende che i leoni uccisero oltre 130 persone e ne divorarono 85. Si trattava di animali audaci e particolarmente astuti, capaci di superare i recinti di spine (bomas) predisposti dai Masai. Gli indigeni arrivarono a pensare che fossero in realtà spiriti demoniaci.
Patterson uccise i 2 leoni dopo 9 mesi di caccia e ne conservò le pelli per parecchio tempo, finchè nel 1924 le vendette al museo Field di Chicago, dove i 2 leoni vennero ricostruiti dagli imbalsamatori e sono tutt’ora tra le principali attrazioni del museo. Si trova anche un filmato su YouTube, al riguardo dei leoni impagliati a Chicago.
La particolarità dei mangiatori di uomini era quella di essere senza criniere. Anche oggi a Tsavo (ci sono 2 parchi nazionali: Est e Ovest) chiamano man eater questi leoni maschi senza criniera. Il motivo della mancanza della criniera non è chiaro. C’è chi ha parlato di eccesso di produzione di testosterone, chi di un periodo di caldo eccessivo. E’ per altro appurato che i leoni del Kenya sviluppano la criniera più tardi, rispetto a quelli della Tanzania, e che questo è dovuto alla differenza nella temperatura.
I mangiatori di uomini di Tsavo erano di dimensioni non normali (quasi 3 metri di lunghezza) e il loro comportamento predatorio (2 maschi che cacciano uomini in coppia) è stato definito dallo studioso Nathaniel J. Dominy: “Mai visto prima”.
Uno studio recentemente pubblicato dal Proceedings of the National Academy of Science, basato sui resti degli animali, e svolto con strumenti molto sofisticati, riconosce che la dieta dei 2 leoni era basata sugli esseri umani, ma esclude che ne possano aver divorati più di 40.
Da parte sua, Patterson nel suo libro racconta di un’altra aggressione di un leone all’interno di una tenda, costata la vita al medico di un campo non lontano dal suo. Cita queste parole della moglie del poveretto: “Ebbi la sensazione che mi togliessero il cuscino da sotto la testa, poi mi svegliai e scoprii che mio marito non c’era”.

Patterson posa con uno dei 'man eater' uccisi
Patterson posa con uno dei ‘man eater’ uccisi

Dal libro sono stati tratti 2 film: Bwana Devil del 1952 e Spiriti nelle tenebre del 1996. Questo secondo film viene regolarmente riproposto da Sky ed è interessante, nonostante un paio di licenze eccessive (i leoni sono dotati di criniera, Michael Douglas interpreta un certo Remington, che io all’inizio credevo fosse Epiphalet,  l’inventore del famoso fucile, che però è morto nel 1861 e, in ogni caso, nel libro non si fa menzione di un cacciatore di supporto a Patterson) e il tono eccessivamente enfatico, perché visualizza molto bene alcuni dei racconti del libro, come il ritrovamento delle ossa di essere umano nella tana di un man eater. Patterson sarebbe comunque contento di sapere che per interpretarlo è stato scelto un superfigo come Val Kilmer.

Pur dovendo a questo predatore il massimo del rispetto (un leone che ha fame è pericoloso per l’uomo anche oggi; nel parco Kruger i leoni hanno divorato diversi clandestini che cercavano di entrare in Sudafrica dal Mozambico), in questo secolo ventunesimo l’uomo si preoccupa più che altro di non estinguerlo. Pare che in Africa ormai non vivano più di 30.000 leoni (in Asia solo poche centinaia) ed è assodato che, quando escono dai confini dei parchi, i leoni vengono abbattuti, visto che la loro convivenza con gli esseri umani è ovviamente impossibile. Ce lo spiega l’associazione Living with Lions.
In particolare, i Masai hanno sempre cacciato i leoni. Oggi è nata l’associazione Guardiani dei Leoni, che sfrutta l’abilità dei Masai nel tracciare i leoni, ma al fine di avvertire gli allevatori sugli spostamenti di questi felini ed evitare che animali e uomini entrino in conflitto.

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