Con gli scimpanzé a Gombe

FICTION E PROGETTI EDITORIALI, Kenya, Tanzania e Zanzibar 2013-2014, le mie bestie, VIAGGI

Il mio rapporto con le scimmie antropomorfe è fortemente influenzato dalla lettura di Tarzan. Per anni sono rimasto convinto che esistessero in Africa 3 tipi di queste scimmie: il gorilla, lo scimpanzé e le grandi scimmie che avevano allevato Tarzan. Visto che sono un tipo pragmatico, e non volevo essere bocciato in scienze alle medie, ho finito con l’accettare che le grandi scimmie sono una invenzione di Burroghs. Ma a quel punto, ho dovuto iniziare tutto da capo. All’inizio del 2010 ero stato in Uganda per osservare i gorilla (ne scriverò non appena finito il resoconto di questo viaggio) e a Gombe è il momento di incontrare gli scimpanzé.

Con le guide Isaia (a sinistra) e Bernardo
Con le guide Isaia (a sinistra) e Bernardo

Ramadam non sapeva perché si chiamano scimpanzé, così l’ho chiesto alla guida naturalistica Isaia (“Sì, proprio come il Profeta”, si è presentato lui. Quindi colgo l’assist e da qui in poi lo chiamo Il Profeta) e tutto quello che ho ottenuto è il suo ghigno da paresi (accompagnato da sguardo sfuggente) che, imparerò, sempre gli viene quando è in imbarazzo. Ad esempio, il Profeta ghigna e parla in Swahili, quando gli chiedono dove sono gli chimp (in Swahili si dice soga, o qualcosa di simile) questa mattina. Comunque mormora: “So che il nome scientifico è Pan Troglodytes….”.
Capirete perché il Profeta ha avuto il ghigno da paresi, parlando di dove sono gli scimpanzé. Per l’intanto, vi comunico che ho fatto in tempo a scoprire che il termine Inglese chimpanzee deriva dal portoghese chimpanzé. Che è come i primi esploratori capivano il nome di queste scimmie (nel 1500-1600 dovevano essere ben più numerose di adesso) pronunciato cimpenzi in Bantu. Chimpanzee è come qualcuno di lingua Inglese scriverebbe cimpenzi detto da un portoghese e scimpanzé è la versione italiana della parola.

Sbarchiamo al centro visitatori di Gombe. Noi e uno svedese nostro coetaneo con 2 figli adolescenti. E’ accompagnato da una guida che si presenta come Bernardo e che scopriremo essere il direttore del nostro lodge. Al quale ancora non siamo andati, perché Ramadam ritiene sia meglio andare prima per scimpanzé e poi pranzare. Da parte mia, sono pronto. Anche se ho un certo timore dell’ascesa, di sudare troppo, di disidratarmi (quando parlerò dell’esperienza ugandese, capirete cosa intendo). Ho con me diverse bustine di polase e continuo a chiedere se abbiamo acqua a sufficienza.
A fianco del centro visitatori c’è una specie di albergo (che costa circa 30 volte in meno del lodge diretto da Bernardo…). Una donna delle pulizie che sembra una fotomodella sta suscitando grande entusiasmo nelle guide e nei ricercatori residenti. Lo sa e fa di tutto per caricarli ancora di più, improvvisando passi di danza quanto meno provocanti.
A Gombe tutto sa di Jane Goodall. Ci indicano la casa dove abitava durante le sue ricerche e ci presentano il suo tracciatore preferito, che oggi è un signore di mezza età e fa ancora il tracciatore. Cioè: si alza tutte le mattine presto e parte a piedi per trovare gli scimpanzé. Poi, via radio, lo comunica alle guide. Che portano i turisti sulle tracce dei nostri lontani parenti.

Jane Goodall con uno dei 'suoi' scimpanzé
Jane Goodall con uno dei ‘suoi’ scimpanzé

Jane Goodall è una signora inglese che compirà 80 anni nel prossimo mese di aprile. Appena laureata in biologia, a 23 anni lavorò in Kenya con il bioantropologo Louis Leakey, specializzato nello studio della evoluzione umana in Africa. Per conto di Leakey, nel 1960 Jane arrivò a Gombe, che ancora non era parco nazionale. La Goodall era laureata, ma non era una ricercatrice di professione. Inizialmente, avrebbe solo dovuto raccogliere dati. Ma il metodo con cui lo fece, colpì Leakey a tal punto che la propose per un dottorato, che Jane ottenne nel 1964.
Fu la Goodall a scoprire che gli scimpanzé utilizzano utensili (dai bastoncini per pescare le termiti dalle tane, alle pietre per rompere i gusci, a vere e proprie lance per uccidere i piccoli di facocero dagli alberi; non disdegnano la carne e infatti a Gombe organizzano vere e proprie battute di caccia per catturare scimmie più piccole, in particolare i cuccioli del red tailed monkey, un tipo di cercopiteco) e a teorizzare la loro complessa organizzazione sociale. Addirittura, e lo ha mostrato il bellissimo film della Disney Chimpanzee con la storia del piccolo Oscar, succede che gli scimpanzé adottino i piccoli delle femmine morte o combattano guerre tra comunità per il cibo.
Goodall riteneva che ogni scimpanzé fosse un vero e proprio individuo e gli attribuiva nomi propri. E’ un’abitudine che a Gombe hanno ancora. Qui le varie famiglie (sono 24, per un totale di 120 individui) di scimpanzé sono definite da una lettera dell’alfabeto e ogni membro della famiglia ha un nome che inizia con quella lettera. La comunità ha un maschio alfa, un vero e proprio Re, che si chiama Ferdinand. La sua famiglia è (ovviamente) definita dalla lettera F e il suo più prossimo parente (e possibile successore) si chiama FaustinoFerdinand ha 26 anni e Faustino poco più di 20. Uno scimpanzé in natura vive tra i 40 e i 50 anni (di solito, supera i 50 in cattività), quindi si può dire che i 2 siano nel pieno del vigore. I maschi adulti riconoscono Ferdinand come Re e hanno ciascuno il compito di inseminare diverse femmine. Le singole famiglie hanno comunque una organizzazione matriarcale e sono di fatto composte dalle femmine e dai piccoli che dipendono ancora dalla madre.
Jane Goodall nel 1977 ha fondato una istituzione che porta il suo nome e che ha una sua sezione in Italia.

Mamma chimp con il suo cucciolo a Gombe
Mamma chimp con il suo cucciolo a Gombe

“Non sono lontani” mormora il Profeta “Ma la strada per arrivarci è un po’ ripida”.
Non vedo se gli si paralizza il sorriso, perché sono dietro di lui. Ma mi rendo subito conto del fatto che quando il Profeta dice ripida, non ha lo stesso concetto di ripido che ho io.
Il sentiero ha solo a tratti degli scalini naturali che aiutano l’ascesa ed è reso scivoloso dalla pioggia dei giorni scorsi. Poi ci sono liane e rami bassi: questa volta rimpiango onestamente di non essere alto 1.65 e di non avere il piede di cenerentola. Leggo sul mio diario: “Se questa è la fatica necessaria, è fatica sana”.
A quel punto mi ero illuso che il falsopiano nel quale era confluita la salita stesse a significare che eravamo in cima. Avevamo anche sentito il verso degli scimpanzé. Ma la fatica necessaria constava in realtà di altre 2 salite, l’ultima fatta veramente ai 2 all’ora perché mi sentivo le pulsazioni un po’ troppo veloci. Ramadam e il Profeta continuano a dire pole pole, che in Swahili significa “piano piano” ed è la parola d’ordine quando si cammina in salita.
Ramadam mi fa segno che dobbiamo addentrarci nella giungla e rimpiango ancora di più di non avere piedini di cenerentola. Poi, vedo diverse persone sedute. Faccio un ultimo sforzo e mi siedo anch’io. Chiedo a Ramadam se oggi abbiamo fatto la strada lunga o quella corta. Lui sorride e dice: “Quella corta”.

Primo piano scimmiesco
Primo piano scimmiesco

Guardo gli alberi di fronte e mi scordo tutta la fatica. Conto non meno di 15 scimpanzé adulti e una serie di piccoli, che sono difficili da contare perché non stanno mai fermi. Questa è la famiglia S e il Profeta indirizza la nostra attenzione su Sparrow, una femmina che ha 55 anni. Insomma, è più anziana di me. Quindi, più anziana della stessa Tanzania ed è sopravvissuta al periodo in cui Gombe era una riserva della caccia. La cosa non è successa al leopardo, che è l’unico predatore che gli scimpanzé temono.
“Ogni tanto” spiega il Profeta “L’aquila si porta via un neonato, ma in generale qui gli chimp sono sicuri”.
Gli scimpanzé sono, stando alla lista rossa IUCN delle specie, in pericolo. Questo anche se in Africa ne restano oltre 170.000. La deforestazione è in effetti il loro principale nemico e risultano estinti in Gambia e potrebbero esserlo anche in Burkina Fasu, Benin e Togo.
Swari, una femmina di 8 mesi, dà letteralmente spettacolo. La madre la richiama spesso all’ordine, ricorrendo anche alle maniere forti (tipo afferrarla per la collottola). Ma Swari, appena può, sfugge. Sale in alto, si appende ai rami, si dondola. Cade anche abbastanza rovinosamente e trotta subito in braccio alla madre per farsi consolare. Ma la calma dura poco. Quando Swari si rimette a imperversare, non posso fare a meno di cogliere sul volto della madre un’espressione molto umana di amorevole rimprovero che sfocia nell’indulgenza. Ho detto volto: da oggi, non posso più definire quello degli scimpanzé un muso.
Tra le più gettonate attività scimmiesche c’è lo spulciamento. Gli chimp si mettono a 2 a 2 (ma a volte, formano anche dei veri trenini) e si tolgono i parassiti, finendo poi ovviamente con il mangiarli.
Si potrebbe rimanere per ore, ma le regole dicono chiaro che a contatto ci si può stare al massimo un’ora. Poi si deve ridiscendere. Purtroppo, mentre scendiamo inizia a piovere.
il Profeta si sacrifica e mi cede il suo poncho. Ma quando mi accorgo che lui non ne ha un altro, gli spiego che mi sono portato il K-Way e glielo posso restituire.

Charles Darwin
Charles Darwin

Mentre ci bagniamo come pulcini nel tragitto in barca verso il lodge, penso che secondo me non è vero che discendiamo dalle scimmie. O meglio: non da queste scimmie.
Non scopro nulla di nuovo, visto che già Darwin (1871, “The descent of man”) sosteneva che l’uomo e le 3 scimmie antropomorfe (il gorilla, lo scimpanzé e l’orango) discendono “from a common progenitor”. Ho anche trovato un interessante articolo del Professor Armando D’Elia che illustra tutto un suo studio sulle abitudini alimentari dei primati e che conferma il pensiero che mi è cresciuto nel cervello sotto la pioggia sul lago Tanganica. Il dottor Ralph Cinque (che purtroppo ritiene che il suo cognome si pronunci sin-che…), un esperto di fasting (la cura del corpo bevendo solo acqua purificata in un ambiente rilassante) ha a sua volta teorizzato: “L’uomo non è una scimmia leggermente migliorata”.
Devo ammettere che, fino a un certo punto della mia vita, ho guardato con sospetto le teorie di Darwin. La colpa è della mia educazione cattolica. Sono ancora cattolico, ma nel frattempo sono andato un po’ troppo a scuola per pensare che l’uomo sia stato creato dal nulla e la donna venga dalla costola dell’uomo.
L’uomo è un primate (secondo la definizione data da Linnaeus, naturalista svedese, nel 1758), ovvero un mammifero che ha 5 dita e il pollice opponibile nelle mani, una dentatura adatta a una dieta onnivora e una visione tridimensionale a colori. Della famiglia dei primati chiamata Hominidae troviamo i gorillini (il gorilla, appunto), i ponginae (come l’orango) e gli hominini. Gli hominini si distinguono in homo (l’homo sapiens, cioè noi) e pan. Gli scimpanzé sono, come accennato, i pan troglodytes. Quelli che stiamo osservando sono i pan troglodytes schweinfurthii, mentre in Congo vivono i pan troglodytes troglodytes. Ci sono altre 2 specie e poi c’è una seconda scimmia del genere pan: il pan paniscus, ovvero il bonobo (o scimpanzè pigmeo, visto che arriva al metro scarso di statura, mentre lo scimpanzè comune può superare 1.60), che vive prevalentemente in Congo. Va detto che molti scienziati ritengono che la divisione in homo e pan sia un errore che andrebbe corretto (esisterebbe solo il genere homo). Non mi spingerò troppo in là con i dettagli, ma questo non fa che rafforzare la mia convinzione: siamo simili, ma non deriviamo l’uno dall’altro. La parte più cattolica di me tenderebbe a pensare che c’è un creatore che ha fatto homo e pan (o homo sapiens e homo pan, vedete voi), ma quella più razionale pensa a un antenato comune.  E torno a Darwin, che riteneva che la differenza tra la mente di una scimmia antropomorfa e quella dell’uomo, visto che dal punto di vista fisico (il loro DNA è il 98.5% del nostro) i cervelli sono simili, era tanto marcata da non poter essere frutto dell’evoluzione.  Mentre scriveva che le differenze tra esseri umani (lui chiamava civilizzati gli europei e selvaggi, ad esempio, gli abitanti della Terra del Fuoco) fossero invece frutto dell’evoluzione. Darwin rifiutava il concetto di razza tra gli esseri umani e riteneva che le differenze (per altro, solo di apparenza) fossero invece prevalentemente frutto della sexual selection.
Tornando alle differenze tra noi e gli scimpanzé,  sottolineo che loro hanno 24 cromosomi. Il 12 e il 13 si sono fusi nel cromosoma 2 dell’uomo, che ne ha (come noto) 23.

Lo stretching di Ferdinand
Lo stretching di Ferdinand

Il secondo giorno di trekking sulle tracce degli scimpanzé è stato particolarmente impegnativo. Alla terza ora di cammino mi sono messo a cantare Dov’è lo scimmion/sto sperando/che sul culo rosso/gli venga un bognon.
Il culo rosso è quello delle femmine pronte per accoppiarsi (a un’età di 10-11 anni). Gli si crea un gonfiore vicino agli organi genitali e, quando è rosso, il maschio sa che è pronta per riprodursi.
Ero a fianco di una ragazza belga quando una femmina si è portata da Ferdinand, gli ha dato la schiena e Ferdinand le ha infilato un dito nella vulva, sentenziando che non era pronta. La ragazza belga mi ha guardato beffarda.
Gli chimp sono così abituati alla presenza umana (ci considerano scimmie non ostili, al contrario ad esempio dei babbuini, e la nostra dimensione li tranquillizza rispetto all’arrivo di eventuali intrusi) che si accoppiano anche in nostra presenza. Il loro atto sessuale dura molto poco e le femmine esprimono ad alta voce il loro gradimento; in caso di disappunto, se ne vanno strepitando. Ma io ho visto anche una femmina ringraziare un maschio con una fellatio. Cosa che mi ha lasciato privo di parole. Non è che me lo sono sognato per la stanchezza?
La salita del secondo giorno è stata terrificante. Anche perché, quando siamo arrivati in cima, gli chimp si sono spostati. Noi siamo dovuti scendere, abbiamo attraversato una valle, siamo risaliti. E io a quel punto ho detto al Profeta (e a Bernardo, che ci accompagnava al posto di Ramadam): “Ne ho abbastanza di giungla”. Bernardo mi ha fatto riposare un po’, poi mi ha portato in una radura dove gli scimpanzé (annunciati da un odore pungente) erano scesi a terra. Per arrivarci, mi sono messo a 4 zampe: “Ho imparato da loro, Bernardo”. E Bernardo ha riso.
Qui è stato incredibile. Ero seduto e Ferdinand, camminando su 4 zampe e appoggiato sulle nocche, mi è passato dietro. Il Profeta ci ha spesso dovuto dire di non avvicinarci troppo.
Stavo in effetti osservando un maschio giovane, quando questo si è spostato verso un albero, è salito sui primi rami e ha evacuato: cercava privacy!. Non conviene in effetti stare sotto un albero sul quale ci sono scimpanzé che mangiano, perché potrebbero fare i loro bisogni su di voi oppure lanciare i resti del pasto.
Quando mangiano un frutto, gli scimpanzé usano l’unghia del pollice per svuotarlo della polpa. O, se sono più pigri, si mettono tutto in bocca e sputano le bucce. Come si vede fare da chi mangia i semi di girasole (ad esempio, diversi giocatori di baseball…).

Ferdinand mi passa dietro, il Profeta osserva
Ferdinand mi passa dietro, il Profeta osserva

La discesa non fa venire il fiatone, però è complessa a causa delle rocce scivolose. C’è anche un piccolo torrente da guadare e poi c’è un serpente stecco, che il Profeta individua e ci fa fotografare. Con una certa crudeltà, in uno spiazzo il Profeta e Bernardo si fermano per mostrarci tutta la strada che abbiamo fatto fino al crinale, poi in discesa e quindi di nuovo in salita. Al campo base incrocio uno dei ricercatori e gli dico: “E’ stata dura”. Lui sorride e mi dice: You are good, I appreciate you. Che fa il paio con la domanda di Bernardo: “Ma tu, quanti anni hai? 40, 42?”. Insomma, ho fatto giornata.
Il terzo giorno ho le gambe di marmo e non avrei nessuna voglia di fare il trekking. Per fortuna, gli scimpanzé sono vicinissimi al centro visitatori. Facciamo conoscenza con Pax, un maschio che è stato castrato (quindi, non è più aggressivo; da qui il nome Pax) durante una lotta per una femmina e, comunque, è accettato dalla comunità. Altri maschi feriti, vengono emarginati e devono vivere in solitudine. Non risponde a verità che gorilla e scimpanzé uccidano la vittima addentando la vena giugulare (come dice Burroghs in Tarzan), ma certo i denti li sanno usare. Il povero Pax se n’è accorto.
E’ ormai ufficiale: gli scimpanzé non fanno l’urlo di Tarzan in segno di trionfo. E nemmeno si battono il petto come i gorilla. Quando vogliono minacciare, si alzano su 2 zampe, arruffano il pelo e si gonfiano. E’ difficile che entrino a contatto, specie con animali più grandi. Piuttosto, tirano pietre o altri oggetti. E quando lottano tra di loro, picchiano con le palme aperte.
Vedo un giovane aggredire un altro, al culmine di un gioco, e batterlo con le palme delle mani e dei piedi. Mi dico che, considerato che sono imbranato dalla nascita, avere 4 mani farebbe comodo.
Ferdinand si mette a fare degli esercizi che definirei di stretching davanti a noi. Faustino dà l’impressione di amare telecamere e macchine fotografiche e di mettersi in posa gonfiando il petto. Dopo un’ora, camminiamo per un po’ in falsopiano e arriviamo alla spiaggia, dove ci sono 2 chimp che mangiano i frutti di una palma. Un altro si interessa al mio zaino e parte veloce a 4 zampe, praticamente procedendo a balzi. Ramadam lo mette in salvo. Il mio zaino, dico.
Rientriamo al lodge camminando per una ventina di minuti sulla spiaggia, fino a che incrociamo la barca che ci riporta alla base.

Al Gombe Forest Lodge abbiamo passato pomeriggi molto rilassanti (ci mancherebbe altro, dopo le fatiche del trekking…) leggendo e bagnandoci nelle acque del lago Tanganica, che sono limpide e tiepide. E libere da coccodrilli e ippopotami, in questa zona.
Per 2 giorni siamo stati gli unici ospiti del lodge e siamo stati davvero coccolati. Addirittura, pensavamo ci avessero rubato i panni stesi i babbuini (con i quali al lodge bisogna rassegnarsi a convivere; offrono anche servizi tipo la sveglia, battendo sul tetto…), ma prima dei babbuini erano arrivati gli addetti della lavanderia a metterli al sicuro.
Il cuoco, sarà stata la fame indotta dalle camminate, è poi un vero fenomeno. Qui costa insomma carissimo, ma vale tutti i soldi, fino all’ultimo centesimo.

Sul mio canale YouTube è disponibile un filmato che sintetizza l’esperienza di Gombe.

Una nota finale: lo scimpanzé più famoso del mondo è Cheeta, animale da compagnia di Tarzan nei film. Ma Cheeta non è un personaggio di Edgar Rice Burroghs, se la sono inventata a Hollywood. Quindi, non l’ho mai presa in considerazione. Comunque, a riprova della sua fama, si chiama oggi CHEETA (Creative Habitat and Enrichment for Endangered and Threatened Apes)  un santuario dei primati che ospita le scimmie utilizzate nello show business (lo stesso personaggio di Cheeta è stato interpretato da più scimpanzè) e poi pensionate. Come si legge sul sito, lo scopo è offrire a questi animali una vita degna di essere vissuta.
La stessa Jane Goodall (che prima di morire vorrebbe far approvare una sorta di carta dei diritti degli scimpanzé) ha visitato il santuario in California.