Come avevo anticipato chiudendo la pubblicazione delle Cartoline dal World Baseball Classic 2009, nel 2013 mi ritrovo ancora lì. Non ricordavo però che la prima Cartolina iniziava proprio dalla malinconia (indotta, adesso è chiaro, dalla convinzione che quello sarebbe stato il mio ultimo Classic) con cui avevo chiuso l’edizione precedente.
Nella prima Cartolina mi ritrovo assolutamente carico. D’altra parte, la MLB aveva organizzato il mio volo dall’Italia con un comodo biglietto di prima classe.
5 marzo- L’avventura ricomincia dall’Arizona
“A ben pensarci, nel 2013 chissà se sarò ancora qui a spedire cartoline”.
Lo scrivevo il 27 marzo del 2009, alla conclusione del secondo World Baseball Classic. E sono ancora qui, a spedire cartoline e a cercare un’espressione più originale di “certo che il tempo vola”. Anche se poi, c’è poco da fare: il tempo passa proprio velocemente. Tanto velocemente, che te ne rendi conto solo osservando quella ruga sul volto di una persona che c’era anche nel 2006 e non aveva nessuna ruga. E corri velocissimo allo specchio per provare a contare quante rughe in più avrà trovato sul tuo volto questa stessa persona. Se mai ci avrà guardato.
Phoenix è una città che fa un’impressione sinceramente strana. Nel senso che sembra abbastanza finta. La sera che sono arrivato, addirittura aveva l’aria di una città fantasma. Ma anche aggirandomi per il centro con la luce del sole (è cosa sempre consigliabile negli Stati Uniti non giudicare una città per come la si vede con il buio), ho la strana sensazione di trovarmi più in un set cinematografico che in una città vera. Ed è strano, perchè stando ai libri di storia l’area di Phoenix è abitata da più o meno sempre: prima dagli Hohokam (un popolo tutto sommato misterioso), poi da varie tribu dei cosiddetti Indiani.
La città moderna venne fondata da un certo Jack Swilling, un veterano della Guerra Civile, che voleva darle il nome di Stonewall in onore di un Generale dell’esercito Confederato. Il nome Phoenix venne scelto da un altro pioniere, Philip Darrell Duppa, che intendeva dire che questa città nasceva sulle rovine di un’antica civiltà.
Di Phoenix penso di aver sentito parlare per la prima volta nel 1997. Il 13 marzo qui vennero avvistati diversi oggetti volanti non identificati (insomma: UFO) e il fenomeno (che l’areonautica degli Stati Uniti ha abbondantemente spiegato, pur poco ascoltata da chi i dischi volanti vuole vederli a tutti i costi) è passato alla storia come Phoenix Lights.
Qui i cartelli del World Baseball Classic sono un po’ dappertutto. E tutto sommato è stata una buona idea giocare nello Stato dell’Arizona, un posto dove si mastica tantissimo baseball tra febbraio e marzo, visto che nell’area di Phoenix (un’area metropolitana da oltre 4 milioni di abitanti) si allena una buona metà delle squadre di Grande Lega nella cosiddetta Cactus League. Il pubblico non dovrebbe mancare, insomma.
E di pubblico il World Baseball Classic ha sicuramente bisogno. E’ inutile essere romantici: questo grande evento può continuare a crescere se i tifosi lo adottano senza riserve e aiutano così a vincere la resistenza di quei club che vedono come il fumo negli occhi il rapimento (a proposito di alieni…) dei loro giocatori nel cuore dello Spring Training.
Una parte della stampa è schierata senza riserve a favore del Classic. Ad esempio Fox Sports critica le star degli Stati Uniti che non partecipano. Scrive Ken Rosenthal: “Gli Stati Uniti perdono su tutti i livelli, se i loro migliori giocatori non partecipano”. Rosenthal capisce perchè un lanciatore desideri non partecipare, ma afferma che lo stesso non vale per i position players (fa anche i nomi di Prince Fielder e Buster Posey o di giovani come Bryce Harper). Il giornalista conclude dicendo: “Il Classic non è un fastidio, è una opportunità”.
Da parte sua la Major League Baseball, nelle dichiarazioni ufficiali, insiste sul Classic come “traino dello sviluppo”. E qui siamo ad un termine sul quale dobbiamo metterci d’accordo. Sviluppo significa convincere bambini a iniziare a giocare a baseball, vendere cappellini degli Yankees o avere all’estero campionati che attirano pubblico?
E una domanda che lasciamo in sospeso, con il progetto di tornarci su nelle prossime cartoline.
Tra la prima e la seconda Cartolina passa poi quasi una settimana, segno che l’attività al seguito degli azzurri e il lavoro di copertura del torneo per il sito FIBS mi avevano assorbito. A proposito di copertura mediatica del torneo, mi ritrovo nelle consuete polemiche. Le mie controdeduzioni mi sembrano comunque piuttosto convincenti
11 marzo- Il World Baseball Classic e la copertura mediatica
Questo articolo inizia con un paio di “premesso che”:
1) Mi fa molto piacere che si discuta della copertura del World Baseball Classic, perchè questo (banalmente) significa che c’è una copertura. Cosa che non è che sia sempre stata garantita, in passato
2) Io non ho niente contro il rugby. Anzi, sono stato persino un giocatore. Mi piace guardare (a volte) il Sei Nazioni. E poi è un caso davvero da studiare, quello dell’unica squadra della storia dello sport italiano che viene osannata pur essendo inequivocabilmente perdente. C’è poi quella cosuccia: la nazionale di rugby fa giocare stranieri (rispettando, sia chiaro, le regole sugli assimilati della Rugby Union) e nessuno lo trova strano. Mentre i nostri (che sono cittadini italiani), quelli fanno discutere.
Detto questo, trovo la discussione che si è scatenata sul social network Facebook al riguardo della copertura mediatica del World Baseball Classic abbastanza sterile e, come molte discussioni che si
scatenano sui social network, piuttosto inconcludente. Mi spiego, cercando il più possibile di evitare l’approccio da “quello che ne sa”. Che sarebbe ancora più sterile di quanto già non sia la discussione (e forse, questo è il terzo “premesso che”).
Vediamo di riepilogare, comunque.
TELEVISIONE la telecronaca diretta delle partite su ESPN America va bene, ma qualcuno vorrebbe anche la diretta sulla Rai o su un altro canale di lingua italiana.
Anche noi. E io ci ho provato fino in fondo, a cercare di far sì che succedesse. Ma non è successo, perchè nessun canale televisivo italiano ha voluto mettere sul tavolo i 2 soldi che avrebbero coperto i costi tecnici. Non dico i diritti, sto parlando dei costi tecnici.
Mi viene un po’ di malinconia a dirlo, ma non è che la cosa riguardi solo il baseball. Non so se avete notato, ma la BundesLiga tedesca è andata invenduta (ora viene trasmessa in streaming dal sito della Gazzetta dello Sport). L’anno prossimo, chissà se si vedrà in televisione in Italia la Liga spagnola. ESPN è pentita per aver investito in Europa. Le cose non le vanno bene nemmeno in Inghilterra, dove capiscono perfettamente (guarda un po’…) l’Inglese. Figuriamoci qui da noi. Avrei inoltre una domanda: quando mai le partite della nazionale italiana in un torneo giocato dall’altra parte del mondo sono state tutte visibili in Italia?
E scordavo, Sky Sport 24 manda in onda servizi sul Classic quotidianamente.
I GIORNALI La Gazzetta dello Sport è al seguito della nazionale con un inviato (Stefano Arcobelli). Che è uno (e non trino…), ma che scriverebbe anche di più. Solo che i suoi capi sono contenti così. E qui mi pare che, ancora, sfugga un concetto: la Federazione non è che possa andare armata nella redazione della Gazzetta e obbligare a mettere il baseball in prima pagina. Quello che l’ufficio stampa può fare è veicolare le informazioni. Essendo però consapevole del fatto che, a volte, queste informazioni non interessano (nel senso: si preferisce altro, nella convinzione che sia quello che il pubblico vuole). E quando si cerca di veicolare qualcosa che non interessa, bisogna rassegnarsi al fatto che potrà trovare spazio se siamo bravi, ma non a suon di paginate. E il peso politico non c’entra niente. Qui si tratta di pure strategie commerciali. In determinati casi, addirittura da commercianti. Per non dire da bottegai, con tutto il rispetto per i bottegai.
Corriere dello Sport, ad esempio, è un media partner della FIBS dal 2006. Tenete conto del fatto che si
veniva da anni di oblio e di scarsa presenza a livello internazionale (l’ultimo Europeo era stato vinto nel 1997 e quello successivo non sarebbe stato vinto prima del 2010).
Per la prima volta, nell’estate del 2012, il Corriere ci ha chiesto un pezzo spontaneamente. Così ho personalmente preso coraggio, ho proposto una serie di articoli dal World Baseball Classic e la redazione li ha accettati. Non sono pagine e pagine, ma è una presenza quotidiana. E state certi che materiale equivalente (come peso delle informazioni) arriva a qualsiasi altra redazione nazionale. Se fate un giro per internet, vi renderete conto di quali testate stiamo parlando.
C’E’ NATURALMENTE ANCHE UN’ALTRA MANIERA per andare sui giornali, che è quella di fare accordi di co marketing con gli editori (nella sostanza: comprare le famose paginate. Che però non è che siano in vendita a buon mercato). E’esattamente la strada che ha scelto il rugby, Che ha fatto un ottimo lavoro e, oltretutto, se lo può permettere. Nel senso che la Federazione incassa fior di soldi di diritti televisivi. Il tutto per via della mutualità con i paesi (Francia e Isole Britanniche) dove il rugby ha un grosso valore commerciale. Se fosse per quel che la vendita dei diritti rende in Italia, starebbe fresca anche la FIR.
MANDARE LIDDI A SANREMO (come ha fatto il rugby con Castrogiovanni che, non so se avete avvertito, ha un chiaro accento argentino). Forse sfugge un dettaglio: non è che si manda qualcuno a Sanremo. Quel qualcuno deve essere invitato. Il Festival è il più grosso evento televisivo della stagione, fa numeri di audience che neanche ci possiamo immaginare (se siamo abituati, alas, ad avere in mano quelli del baseball) e fattura montagne di soldi in pubblicità. Per altro, anche il Festival è stato vittima della spending review e non ha avuto i mega ospiti a cui eravamo abituati. E poi, anche quando Liddi fosse andato a Sanremo, cosa sarebbe cambiato nella nostra vita?
Un punto che ho trovato davvero interessante nella discussione però c’è: per evolversi, il baseball italiano ha bisogno di avere più pubblico. Come fare ad avere più pubblico, è un’altra puntata. E poi, non voglio riscrivere un articolo di 4 anni fa. Però il concetto è chiaro. E servirà a chiarire un’altra cosa: finchè Liddi gioca a Seattle o Tacoma, non è che come testimonial serva troppo. Perchè non è che si possa vendere il baseball come “lo sport giocato da Liddi” quando Liddi, al massimo, lo si può vedere in televisione.
Liddi e questa nazionale vincente possono sicuramente essere un traino, ma per avvicinare i bambini al baseball, per allargare la base, per fare sì che tra un po’ di Liddi (o Maestri) ce ne siano 30 o 40, e al di là di tutte le chiacchiere, quello che noi dobbiamo vendere è il nostro baseball, quello che si va a vedere allo stadio il venerdì e sabato. Se non ci rendiamo conto di questo, stiamo perdendo tempo.
E’ lo stesso concetto che si vede emergere dalle strategie di promozione del World Baseball Classic: si sta facendo di tutto per portare più gente allo stadio. A Phoenix hanno venduto 115.183 biglietti. Non pochi, ma neanche tantissimi. Solo Messico-Stati Uniti ha sfondato il tetto dei 40.000 spettatori e lo ha fatto grazie ai messicani. Gli statunitensi sono andati in quasi 20.000 a vedere la loro nazionale contro l’Italia e in 22.000 (ma era domenica) a vederla contro il Canada.
Bud Selig dice che il baseball internazionale ha un potenziale inimmaginabile. Sono d’accordo ma, come dicevo in conclusione della cartolina precedente, bisogna mettersi d’accordo su un punto: cosa si intende, per sviluppo?
Personalmente, credo che si intenda lo sviluppo nel medio-lungo termine e che si faccia riferimento al concetto di aumentare il numero di persone interessate al baseball (quindi, potenziali giocatori del futuro), influendo oggi sulle generazioni giovani e giovanissime.
Nell’immediato il mantra è un prosaico vendere più biglietti. Non c’è altro modo: i soldi di sponsor e diritti televisivi non stanno aumentando, l’unico finanziatore possibile è il pubblico.
In conclusione, però, agli organizzatori del Classic ci permettiamo di organizzare una riflessione: un torneo internazionale ha di bello che può provocare sorprese. Se si cerca di rendere le sorprese meno probabili, si organizzano delle esibizioni. Chi si appassiona allo sport ama (inutile far finta che non sia così) la competizione sportiva. Non si possono decidere a priori protagonisti, non protagonisti e caratteristi.
Non siamo a Hollywood.
1-CONTINUA
Magari non lo sa, ma non lavoro più per la FIBS. Quindi non andrò al World Baseball Classic. Intendo però seguirlo (per quanto a distanza) su questo sito
Ho visto che c’è il Classic 2017. Come massimo esperto italiano di baseball per quale media andrà sul posto a seguire questa edizione? Scriverà un diario su questo sito oppure dovrò venire a leggerlo su un sito a pagamento?