Alle Maldive c’è uno squalo grigio diverso

Maldive, squali

Gli squali grigi sono un incontro sempre molto emozionanti. Su questo sito ne ho parlato con dovizia di particolari sia in riferimento alle immersioni a Fernando de Noronha in Brasile, sia a quelle a New Providence alle Bahamas. In quelle acque ho familiarizzato con il carcharhinus perezi. Ma quello dell’Oceano Indiano è uno squalo grigio diverso.

Quando riemergo dalla prima delle 2 immersioni programmate per martedì 2 gennaio, chiedo subito al dive master Nasif che squali pinna bianca sono, quelli che ci circondavano, che mi sembravano troppo grossi. Nasif non si scompone e mi fa: “Quelli più grossi sono squali grigi“.

Lo squalo grigio di barriera dell’Oceano Indiano ha il nome scientifico di carcharhinus amblyrynchos, definizione coniata dall’ittiologo olandese Pieter Bleeker nel 1856. In Greco rynchos è il muso e ambli significa arrotondato. In effetti, quasi tutte le descrizioni che si trovano di questo squalo parlano di muso “spuntato”.
Bleeker lavorava per la compagnia olandese delle Indie Orientali. Non a caso, questo squalo è molto comune, oltre che nell’Oceano Indiano, in tutto il Pacifico, dove la compagnia navigava. Quasi certamente, dunque, erano amblyrrynchos anche gli squali grigi che ho visto in grandi quantità in Polinesia, alle Fiji e anche il solitario che mi ha puntato alle Galapagos.

Per rendere l’idea della differenza, questo è lo squalo grigio di barriera dell’Oceano Atlantico, fotografato nel gennaio 2016 alle Bahamas

Si tratta di squali che si possono definire più sociali, che territoriali. Per questo di giorno si riuniscono in gruppi anche molto numerosi. Cacciano invece solitari. E se li si incontra da soli, possono diventare aggressivi. Sono proprio questi squali che hanno permesso di classificare alcuni comportamenti potenzialmente aggressivi, tipo abbassare le pinne pettorali o agitare la testa, dando l’idea di essere in preda a un tick. Esattamente quel che fece con me lo squalo grigio delle Galapagos.

In gruppo questi squali grigi invece rappresentano un’attrattiva per i sub e una bella comodità per le guide subacquee, visto che tendono a tornare nei pressi delle stesse creste coralline. Come Kandooma Thila, dove ci siamo immersi nella mattina del 2 gennaio e dove ero già stato il 13 novembre del 2004.
Si tratta di una immersione profonda, visto che si scende rapidamente fino a 30 metri. Stando al mio computer, non sono mai andato sotto i 27.6 metri. Scelta saggia, che mi permette di risparmiare aria. L’immersione dura in effetti 39 minuti, un tempo decisamente accettabile. Nel 2004 il mio log book dice che ero risalito dopo 32 minuti.
Sarebbe potuta durare di più, ma uno dei nostri compagni di immersione (un francese accompagnato da moglie e figlia) va in chiara difficoltà a causa della corrente e finisce con il provocarsi una serie di abrasioni profonde e dolorose.

A Kanddoma Thila non è in effetti tanto difficile trovare gli squali, piuttosto il bello arriva quando si cerca un posizione per osservarli, evitando di galleggiare tra loro e il reef. I maschi di squalo grigio dell’Oceano Indiano arrivano a superare i 2.5 metri di lunghezza e non li vogliamo veder diventare aggressivi. Insomma, è meglio non stuzzicarli.
Per stare fermi, bisogna però aggrapparsi da qualche parte. Ed è bene prestare molta attenzione a non strusciare contro il corallo, un po’ per non danneggiare la barriera, ma soprattutto (egoisticamente…) perché il corallo è urticante. Oltretutto, con l’acqua a 28 gradi, siamo quasi tutti senza muta. Nasif (previdente) ha in barca dell’aceto, che serve a calmare il bruciore. Ma le abrasioni da corallo resteranno comunque un ricordo per settimane a venire.

Lo squalo grigio è tale in lontananza, ma se ci si avvicina (e c’è abbastanza luce, quindi vicini alla superficie) il suo colore ricorda più il bronzo. Come detto, avevo confuso questi squali per i pinna bianca proprio perché la punta della pinna dorsale è bianca. La coda e le pinne ventrali sono invece orlate di nero. Come Bleeker aveva opportunamente osservato, il muso è leggermente appiattito. L’occhio (ovviamente pallato, da buono squalo) è piuttosto grande e, avvicinandosi abbastanza, si notano a lato della mascella svariate file di denti (ovviamente non sono riuscito a contarle, ma i testi dicono 13 o 14).
“I pescioni sbucano dal nulla” scrivo entusiasta sul mio diario “Poi puntano dritti verso di noi. Ma a qualche metro deviano e si allontanano. Solo i più grandi fanno un secondo giro”.
Ne conto fino a 10 nel mio campo visivo, e tutti in una volta. Un sub di Pesaro, che come me è alla costante ricerca di squali, racconterà che il giorno dopo a Kandooma Thila ne ha visti addirittura di più. Ma non mi tocca, sono più che soddisfatto. Lo sono così tanto da prestare relativamente poca attenzione a 2 tonni giganteschi e a una coppia di aquile di mare.

Questa foto non è tecnicamente impeccabile, ma aiuta la descrizione dello squalo grigio dell’Oceano Indiano

Riassumendo, lo squalo grigio di barriera dell’Oceano Indiano ha la punta della pinna dorsale bianca. Il suo parente dell’Oceano Atlantico ha la pinna tutta grigia, così come lo squalo dalle punte argentee (carcharinus albimarginatus), che quindi si confonderebbe con il perezi, se non fosse che non vive nell’Oceano Atlantico. Anche gli amblyrynchos della Polinesia hanno la pinna tutta grigia, ma sono mediamente più piccoli. Lo squalo delle Galapagos (che, volendo essere precisi, fin dal 1905 è stato classificato a parte da Snodgrass e Heller: carcharhinus galapagensis) è molto simile agli amblyrynchos (a parte la pinna dorsale più slanciata; sfido chiunque a notare la differenza 30 metri sott’acqua…) ed è anche grande quanto gli albimarginatus.

Per la seconda immersione, non c’è verso di convincere il francese a tornare in corrente. Nasif ci porta allora a Kandooma Beyru, un sito dove si va decisamente meno profondi (17.6 metri) e la corrente è quasi del tutto assente. Ma non manca il nostro squalo di alleggerimento: uno squalo leopardo (triakis semifasciata; la definizione è dell’Inglese John Gray, 1851). Si tratta di uno squalo abbastanza atipico, come aspetto. Gli occhi intanto non sono pallati ma hanno una forma allungata, quasi a mandorla e sono dotati di una tripla palpebra. Per questo, e per le escrescenze di pelle triangolari vicine alle narici, questi squali sono classificati nella famiglia triakidae (triakis in greco significa 3 volte), alla quale appartiene anche il palombo, squalo dalle carni prelibate e quasi estinto nel Mediterraneo perché sottoposto a pesca intensiva.
Lo squalo leopardo non è piccolissimo (può arrivare ai 2 metri) ma è assolutamente innocuo. Ha la coda molto allungata (simile agli squali nutrice) e il dorso maculato. Si tratta di un animale molto schivo, difficile da avvicinare. Ne vidi 2 grossi esemplari in Tailandia nel 2001. Purtroppo (come allora) non ho con me la macchina fotografica, per questo decido di provare a seguirlo e scendo a 22 metri. Provo inutilmente ad attirare l’attenzione di Nasif, che al ritorno in barca commenterà: “Li cercavo anch’io, gli squali leopardo”.

La murena fa sempre la sua bella impressione

Nasif era impegnato ad assistere mia moglie, che si era impadronita della macchina fotografica e stava completando un vero e proprio servizio su 3 murene di differenti dimensioni che avevano la loro tana tra le rocce.
L’immersione prosegue tranquilla fino alla conclusione a ridosso di una barriera corallina che regala tartarughe, anemoni. Risalgo dopo 49 minuti: “che dev’essere il mio record a queste profondità”.

Una volta in barca, abbiamo la compagnia di una famiglia di delfini mentre torniamo verso il resort.

7-CONTINUA