Si torna a New York con una conferma: il nome Starbucks Coffee è ispirato al personaggio di Moby Dick

BASEBALL, SPORT, VIAGGI, World Series 2009

La serie va avanti. E questa è una buona notizia. Ora bisogna tornare a New York. Partiamo prima che la donna delle pulizie venga a cacciarci, come ha minacciato di fare almeno un paio di volte. Negli Stati Uniti c’è questo di bello: negli alberghi, finchè paghi sei trattato da re, ma appena smetti di pagare (come accade dopo il check out) sei solo un ingombro.

Durante la permanenza a Cherry Hill, ho tormentato l’ufficio delleIl tabellone di 'Citizens Bank Park' Relazioni Esterne di Starbucks Coffee per sapere se il nome della loro catena ha a che fare con il Mr Starbuck di Moby Dick e, in particolare, con la frase: “Ma è una caffettiera, Mr Starbuck”. Chi mi ha risposto, non aveva parole. Dal punto di vista di un americano mediamente colto, deve essere come per noi sentirci chiedere se quando troviamo uno sconosciuto e lo chiamiamo Carneade vogliamo riferirci al personaggio di Manzoni. Comunque, mi conferma che è così.
Nella versione cinematografica più recente, Starbuck era interpretato da Ted Levine, attore che per la prima volta ha conosciuto la notorietà interpretando il serial killer Buffalo Bill nel celebre “Il silenzio degli innocenti” di Jonathan Demme. E Starbuck è un nome che solletica la fantasia degli americani, tanto che in una serie di telefilm non tanto nota (più noto è il recente remake, che circola anche sui canali satellitari in Italia) e dal titolo di “Battlestar Galactica” c’era un tenente Starbuck interpretato da uno dei belli della TV americana di fine anni ’70: Dirk Benedict.
Mr Starbuck è il primo ufficiale del capitano Ahab sul Pequod e colui che pronuncia il famoso: “Dio vi perdoni, Ahab”. Il titolare di Starbuck’s (si dovrebbe scrivere così, ma è diventato Starbucks senza apostrafo per questioni di marketing), Howard Schultz, è invece uno che è andato all’Università partendo da una zona disagiata di Brooklyn, è stato assunto a Starbuck’s nel 1982 per occuparsi di marketing e ha comprato l’azienda nel 1987. Narra la leggenda (le solite storie perfette degli americani) che sia stato fulminato in Italia dal significato che diamo noi al bere un caffè.

Devo passare dallo ‘Yankee Stadium’ a ritirare l’accredito. Quindi costringo Sal Varriale a lasciare prima del previsto il desco di Zio Carlo a Brooklyn per andare nel Bronx. Il ritiro dell’accredito è, da sempre, una cosa che mi provoca ansia. Devo essere stato traumatizzato nell’epoca in cui per le radio private c’era da superare l’ostacolo degli ispettori della Lega Calcio. Per altro, posso vantarmi di aver trovato a suo tempo una falla nel regolamento della Lega in questione, che recitava che le emittenti locali erano autorizzate a trasmettere radiocronache solo se rilevanti sul loro territorio. Scrissi alla Lega che trovavo rilevanti per il territorio di Parma le radiocronache delle gare in trasferta, più di quelle delle gare casalinghe. E nulla ebbero ad eccepire. Ma l’ansia mi è rimasta. In questo caso, a ragione. Vado allo sportello, dove non funziona la stampante. “Domani, sorry”. Torno dove avevo lasciato Sal, che non c’è più. Non mi risponde neanche al telefono. Mi vedo sulla metro per Manhattan e da lì a Penn Station per prendere il treno che va a Long Island. Prima di disperare, torno agli accrediti e c’è Sal. Che non si sa perché, non mi ha aspettato dove eravamo d’accordo che mi aspettasse.
“Mi ha detto la ragazza di tornare da lei”. Ma come, se ci sono appena stato? Sal insiste e, insomma, ci torno e la tipa mi allunga l’accredito tutta sorridente.
Andy PetittePrima di andarmene, mi intrattengo con un tizio della sicurezza. “Qui domani sarà una pazzia” mi spiega “C’è gente che ha dormito qui davanti per essere sicura di essere qui quando alle 9 apre la biglietteria”. Spettacolo, per pagare almeno 500 dollari per un biglietto al terzo piano dello stadio. Le radio locali sono tutte un fiorire di commenti deliranti ed interviste e tifosi che chiamano per dire che non ha fatto bene Girardi a far lanciare Burnett lunedì e che adesso con Petitte che è vecchio e ha avuto poco riposo, rischia di finire tutto a gara 7. Eventualità che a me non dispiace, ovvio. Jerry, il cognato di Sal, ci cucina le cotolette di pollo. Conosco finalmente la nipotina di Sal, Stephanie. E devo dire che valeva la pena conoscerla. Valeva meno la pena di conoscere il suo findanzato, ma non si può avere tutto dalla vita.
Mentre provo ad addormentarmi sul mio divano, faccio il punto sui discorsi della serata. Mi ricordano quelli da Eurostar che ciclicamente mi tocca sorbire in Italia. Si è passati da Obama, che è l’Anticristo o qualcosa di simile, ai banchieri della Federal Reserve, che sarebbero stati coinvolti (forse addirittura i mandanti) nell’omicidio di Kennedy. La fantapolitica non è il mio forte e lo riconosco, ma sinceramente anche impegnandomi non capisco quale sarebbe stato l’interesse dei banchieri a far fuori JFK. Mi addormento pensando come faceva Kennedy ad avere quel ciuffo da Big Jim che non si muoveva mai. Era un parrucchino?

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