Alessandro Maestri, classe 1985, è secondo me il miglior lanciatore della storia del baseball italiano. Mi rendo conto che si tratta di una affermazione piuttosto impegnativa. Dopo tutto, Maestri nel campionato italiano ha giocato solo a inizio e fine carriera.
Visto che ha annunciato il suo ritiro, forse è arrivato il momento di parlarne con lui.
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Se ti dico che ti ritengo il miglior pitcher italiano di tutti i tempi, il giudizio ti lusinga o ti spaventa?
“Direi che mi lusinga. Però è difficile stabilire chi sia il migliore. Ogni giocatore ha la sua carriera. Diciamo che io sono quello che ha più contribuito a portare in giro la bandiera dell’Italia. Ci sono però altri che hanno fatto la storia del campionato italiano. Su due piedi, mi vengono in mente Ceccaroli e Cabalisti. Comunque, anche se non sono sicuro di essere stato il migliore, sono molto contento della stima e dell’affetto che ho ricevuto dopo l’annuncio del ritiro”.
La tua carriera ad alto livello inizia nel 2005 a San Marino. Nel 2006 passi ai Chicago Cubs. Il percorso di lega minore non ti ha portato alla Major League. Visto che lo prevedevano in tanti, hai capito come mai?
“Al fatto di arrivare in Major League ho creduto tanto. Il primo anno l’ho usato per ambientarmi e capire a che livello dovevo misurarmi. Poi le cose hanno iniziato ad andare bene, quindi è ovvio che ci ho pensato. Ma nel baseball, come nella vita in genere, si vive di alti e bassi. Il 2009 è stato il momento della svolta negativa. La stagione è iniziata nel modo sbagliato, l’ambiente non si è rivelato quello giusto. E’ successo che ho perso fiducia, sono arrivati i risultati negativi. Il baseball è anche questione di numeri. Se vai male nell’anno sbagliato, vanno avanti gli altri. Per questo si dice che ci vuole anche fortuna”.
Rilasciato dai Cubs, sei finito in Giappone. Hai ricominciato da una oscura lega indipendente e ti sei ritrovato nella NPB, le loro Grandi Leghe.
“In Giappone ero andato per fare un’esperienza di vita. Il fatto di essere arrivato a firmare per una squadra NPB” gli Orix Buffaloes, n.d.a. “ti dice quanto la vita ti possa sorprendere. Può sembrare una frase fatta, ma è proprio così”.
Io trovo che sia un motivo di grande orgoglio, arrivare al massimo partendo come outsider. Certo, vivere in Giappone non deve essere stato facile.
“La cosa che mi ha aiutato è essere arrivato con lo spirito dell’avventura. I problemi a comunicare li ho vissuti in modo positivo, come una sfida e un divertimento. Ogni giorno mi facevo insegnare 4 o 5 parole, per cercare di arrivare a comunicare il meglio possibile. Le ripetevo fino allo sfinimento. Va detto che mi ha aiutato molto anche il rapporto con Wilver Perez, un interno dominicano. Siamo andati subito d’accordo.”
La tua avventura in Giappone è durata fino al 2015. E dal Giappone non sei tornato solo.
“In Giappone ho conosciuto mia moglie nel 2014. Ci tengo a dire che mi ritengo molto fortunato ad aver vissuto questa esperienza. Il Giappone è un Paese stupendo, una grande cultura. Ne ho parlato in questi giorni con il mio ex interprete, che mi ha voluto salutare dopo che ha saputo del ritiro”.
Come cambia la vita di un professionista del baseball dagli Stati Uniti al Giappone?
“Non di molto, sinceramente. O meglio, in Giappone ci si allena molto di più e molto più duramente”.
E l’atmosfera degli stadi non ha eguali. Non si può capire, se non la si è vista.
“Hai proprio ragione. Io ricordo la volta che ho subito il primo punto. Ero impressionato dal rumore assordante che facevano i tifosi avversari”.
Un’atmosfera del genere carica o intimidisce?
“Direi che carica. Intimidisce se sei tu che ti senti insicuro”.
Se tu potessi parlare con l’Alessandro del 2006 prima che partisse per lo Spring Training, gli diresti di fare qualcosa di diverso?
“Io sono molto contento di come ho vissuto tutti questi anni. Ho sempre dato tutto e ho ricevuto molto in cambio. Non parlo solo di sport, anche di crescita personale. Si può dire che io giocando a baseball sia diventato grande. Per la prima volta mi sono trovato via da casa e ho dovuto gestire la mia vita, incluse le finanze. Che non è che abbondassero, agli inizi…comunque, ad Ale direi solo di non perdere la fiducia in se stesso, quando le cose cominciano ad andare male”.
Uno scout mi disse nel 2007 che l’unico tuo limite era una certa mancanza di consistenza e che saresti certamente arrivato in Grande Lega, se fossi riuscito a eliminare i troppi alti e bassi. Ti riconosci nel giudizio?
“Sono ben consapevole del fatto che avrei potuto ottenere di più. Gli alti e bassi li avevo, lo so. Se non nella stessa partita, nell’arco di una stagione. Non è un caso che i giocatori che restano ad alto livello sono quelli più continui”.
Consentimi un complimento. Tu, come del resto Alex Liddi, dovete essere presi ad esempio dal baseball italiano. Siete certamente stati baciati dal talento. Nella mia ormai lunga militanza di cronista di ragazzi con il vostro talento ne ho però visti non meno di 100. Ai vostri livelli siete arrivati solo voi.
“Io e Liddi eravamo veramente dedicati, direi quasi devoti, al baseball. Non abbiamo mai cercato scuse, abbiamo sempre guardato avanti e puntato a migliorarci, giorno dopo giorno e allenamento dopo allenamento. E sempre con il sorriso sulle labbra. Il baseball è pur sempre un gioco, un divertimento”.
Ho ancora negli occhi le vostre facce terrorizzate mentre scendevate da un taxi a Taiwan. Il pullman della Nazionale era partito senza di voi.
“Ci sentivamo in modo orribile quella mattina. La sveglia non aveva suonato. Per noi la disciplina e le regole erano sacri. Quindi eravamo perfettamente d’accordo con il manager Marco Mazzieri, che aveva deciso di partire all’orario stabilito”.
Parlaci del Maestri imprenditore, a capo di Dominate.
“Mi piace tantissimo questa attività. Mi motiva al massimo e inizio le giornate con molto entusiasmo. Certo, per fare l’imprenditore devi seminare tutti i giorni, un po’ come per fare il giocatore di baseball”.
E del Maestri consigliere federale, cosa mi dici?
“Mi sento il rookie della situazione. Mi ci sono ritrovato un po’ per caso. Poco prima delle elezioni, diversi altri giocatori mi hanno chiesto come mai non mi impegnavo in prima persona. Vedevo cose che in effetti non mi convincevano, nei rapporti tra società e giocatori e ho deciso di provare. Sono in Consiglio per dare una mano. Per il momento, sono in fase di ascolto. Sto provando a capire, con umiltà”.
Visto che sei un consigliere federale, ti chiedo se mai vedremo il nuovo Maestri, visto il livello di competizione…
“Spero proprio che ci saranno molto ragazzi capaci di arrivare al mio livello, anche oltre. Anzi, se ci sarà qualcuno che avrà l’opportunità di fare meglio, sarò il primo a sostenerlo. Liddi, ad esempio, ha giocato in Major League e io no. Ma sono il primo a dire che se l’è meritato”.
Intendevo dire che i ragazzi di oggi non hanno esattamente un ambiente competitivo che li possa aiutare a crescere. Gli azzurri arriveranno all’Europeo dopo aver giocato 15 partite.
“Gli aspetti negativi della riforma del campionato si possono certamente trovare. Ma io spero che prevalgano gli aspetti positivi, che pure ci sono”.
Prima di lasciarti, ti chiedo un nome di una persona che ti ha aiutato a diventare il giocatore che sei stato.
“Fare un nome solo è difficile, ma devo dire che Bill Holmberg per me è stato immenso. E’ stato lui che mi ha offerto il primo contratto da professionista e tutto le volte che ho avuto bisogno si è fatto in quattro per aiutarmi”.