Calisto Tanzi in Tribunale

Quello che ci stiamo scordando del crac Parmalat

ECONOMIA

Nel ricordo di Calisto Tanzi che ho pubblicato su StadioTardini ho solo accennato a quello che è passato alla storia come Il Crac Parmalat. Ci torno con questo articolo.

Nel dicembre 2003 ero in vacanza in Australia e quando appresi dell’arresto di Calisto Tanzi commentai sul mio diario di viaggio “mi fanno tutti pena, quelli che hanno collaborato a questo progetto banditesco”.

Il me stesso del 2003 non aveva insomma dubbi sul fatto che l’arresto di colui che conoscevamo come Il Cavaliere fosse avvenuto sulla base di evidenza di un progetto criminoso.

A distanza di 18 anni abbondanti, non mi riprometto di scoprire nulla e neanche di fare rivelazioni. Del caso Parmalat si sono occupati in moltissimi e ci sono un paio di film che mi preme segnalare.

Il primo è Il gioellino (2011), scritto da Ludovica Rampoldi, Gabriele Romagnoli, Andrea Molaioli e diretto da Molaioli stesso. Questa è fiction, tanto che la Parmalat non viene nominata. Toni Servillo interpreta il potente plenipotenziario Ernesto Botta (facilmente riconducibile a Fausto Tonna) e Remo Girone presta il volto ad Amanzio Rastelli (che è Tanzi).

Segnalo anche Il crac Parmalat, un documentario del 2019 passato su SKY e su Netflix. Si tratta di una produzione FremantleMedia Italia per A+E Networks Italia. Alessandro Garramone è il curatore, mentre il regista è Giampaolo Marconato. Gli autori sono Alessandro Falcone e Gian Piero Palombini. Tra gli altri, vengono intervistati Domenico Barilli, Gabriele Romagnoli, Mauro Coruzzi alias Platinette e Giovanni Salvarani, il figlio di Renzo, fondatore della storica azienda di cucine scomparso a 95 anni lo scorso ottobre.

Proprio le dichiarazioni di Salvarani sono le più interessanti. Esprimendo un grande affetto per Tanzi, l’imprenditore (da quel che so, lancerà quest’anno una nuova linea di cucine componibili) dà voce alla tesi “è l’unico che ha pagato” che in questi giorni ho sentito tornare di moda. Salvarani si lascia anche andare a un commento al riguardo del giudizio pubblico su Tanzi che mi lasciò veramente perplesso: “Vedo molta ipocrisia”.

Da studente di Economia degli anni 80 del secolo scorso, quelli in cui la scuola neo classica nell’interpretazione di Milton Friedman e della celebre Scuola di Chicago era l’unica delle interpretazioni possibili e Keynes era il male assoluto, mi chiedevo come fosse possibile che il latte Parmalat costasse molto di più rispetto a qualsiasi altro latte a lunga conservazione. E soprattutto, come mai i consumatori fossero disposti a pagarlo quel prezzo.

All’indomani del crac, il top management della Nestlè dichiarerà (vedi Parmalat, il teatro dell’assurdo di Paolo Dalcò e Laura Galdabini) che Parmalat era basata su un “modello di business sbagliato”. Facendo appunto riferimento al margine non elevatissimo che ci si poteva aspettare dalla vendita di latte a lunga conservazione (più una materia prima che un prodotto). L’idea di confezionare il latte in tetrapak, ancorché geniale, poteva essere facilmente copiata.

A parte il ritardo di 40 anni nel fare l’osservazione, non credo che sia in discussione il modello di business di Parmalat o la bontà delle scelte del suo management. Quelle erano state messe in discussione già da tempo. Il libro di Dalcò e Galbadini ci informa del fatto che Maria Teresa Cometto da New York aveva fatto notare sul Corriere della Sera che “fin dal 1989 Tanzi si finanziava piazzando bidoni fra i risparmiatori”.

Fu proprio in quel 1989 che nacque lo sbarco in borsa del gruppo Parmalat, che non avvenne però tramite una tradizionale offerta pubblica di acquisto, ma tramite un’operazione di reverse take over che iniziò con l’acquisizione della Finanziaria Centronord.

Tanzi si dovette liberare del circuito Odeon TV, che aveva totalizzato solo perdite, ma iniziò a diversificare in altri settori, primo tra tutti il calcio e poi quello dei viaggi.

E’ chiaro, Tanzi non avrebbe potuto fare tutto da solo. I capitali per la serie di acquisizioni da qualche parte devono pur essere arrivati. A fine anni 90 non esisteva una banca di rilievo al mondo che non avesse in qualche modo preso impegni con il gruppo Parmalat.

Nel 2002 ci fu però una banca che un segnale chiaro lo lanciò. Si tratta di Merrill Lynch, che bollò i bilanci Parmalat come “non trasparenti”.

Il giudizio non spaventò più di tanto i revisori dei conti di Grant Thornton e Deloitte & Touche, che continuarono a certificare i bilanci del gruppo, prendendo per buono anche il famoso conto Bonlat (da 3.95 miliardi di euro) presso la Bank of America. Che il 18 dicembre del 2003 risulta essere falso.

Noi gente semplice, ovviamente, ci chiediamo come sia possibile che un importo di quella portata non sia stato verificato prima. Specie alla luce di quanto emerso negli anni successivi, ovvero che il documento falso era stato fabbricato in economia in un apposito ufficio di Collecchio.

Il 2 febbraio 2004 la società Price Waterhouse Coopers ha completato una nuova revisione dei bilanci del gruppo, che ha messo nero su bianco che la reale situazione debitoria veleggiava verso i 14 miliardi di euro. Si tratta della cifra che ha provocato il default dell’Argentina, una cifra che noi umani facciamo persino fatica a concepire e che messa in lire fa davvero spavento: ventottomila miliardi. Sui bilanci, si trovava traccia solo di 1.98 miliardi di euro sui 14 di cui sopra.

L’impianto accusatorio ha retto ben 3 gradi di giudizio. Tanzi è stato condannato in via definitiva (4 maggio 2011) a 8 anni e un mese per aggiotaggio (ovvero la divulgazione di false informazioni per aumentare il valore di un titolo) e ostacolo agli organismi di vigilanza.
Il 7 marzo 2014 la Cassazione ha condannato in via definitiva Tanzi a 17 anni e 5 mesi per bancarotta fraudolenta e associazione a delinquere. Per gli stessi reati sono stati condannati anche Fausto Tonna (9 anni, 11 mesi, 20 giorni; la determinazione della pena verrà riformulata dopo un nuovo processo d’appello e successivo iter in Cassazione), Giovanni Tanzi (10 anni e 6 mesi), Domenico Barilli (7 anni e 8 mesi) Luciano Silingardi (6 anni)
Tanzi è stato condannato anche a 9 anni e 2 mesi per il crac Parmatour.

Il Tribunale del Riesame bocciò una richiesta di scarcerazione dei legali di Tanzi con motivazioni che contenevano anche una frase di Martin Lutero: “La radice di tutti i mali è l’avidità del denaro”.
Il Giudice Libero Mancuso ha dichiarato: “Calisto è andato avanti a caccia di arricchimenti sempre più sfrenati con espedienti truffaldini”.

A confermare la tesi dell’illecito e consapevole arricchimento, l’Ufficio Italiano Cambi segnalò l’8 gennaio 2004 la movimentazione di 700.000 euro da parte di Anita Chiesi, moglie di Calisto, dopo che la stessa aveva fatto visita al marito in carcere.

Nel dicembre del 2009 la Guardia di Finanza ha rinvenuto decine di quadri di grande valore (tra gli autori Picasso, Van Gogh, Cezanne) in una cantina di Parma. La proprietà è riconducibile ai Tanzi.