Quale giornalismo è in crisi?

La formazione continua dei giornalisti, SCHIROPENSIERO

1) Sottomettersi a un’autorità deviata
2) Subire un’eccessiva influenza delle consuetudini
3) Fidarsi del pregiudizio popolare
4) Cercare di nascondere la propria ignoranza ostentando quel che si conosce

Sono i 4 errori che non si dovrebbero commettere mai in un lavoro di ricerca. Sembrano regole scritte per i giornalisti di oggi. Ma le ho estratte da Opus Maius di Ruggero Bacone: 1265

Secondo me, ormai non c’è da inventare niente. Parlo del giornalismo, ma potrei dire lo stesso per la musica rock, il calcio, la letteratura e probabilmente anche per il governo dell’Economia. Voglio dire: ci sono certezze che ci dovrebbero tranquillizzare. Nel calcio è innegabile che serve segnare un gol in più degli altri. In letteratura e nella musica rock non si deve annoiare lo spettatore. In Economia le risorse sono in quantità finite (il corollario è: mai spendere più di quel che si ha). Nel giornalismo bisogna raccontare la verità.

Restiamo al giornalismo e alla verità. Se i giornalisti rispettassero sempre questo dettame, certamente il cosiddetto citizen journalism godrebbe di meno popolarità. Cercherò di essere più brutale: se facessimo sempre il nostro lavoro rispettando le regole di base (raccontare storie essendo presenti agli eventi e descrivendo quel che vediamo; verificare le notizie che ci vengono da fonti indirette), la crisi in cui il mondo dell’editoria si trova sarebbe più contenuta.
Voglio enfatizzare che non ho scritto: “Se facessimo sempre il nostro lavoro bene”. Quello è impossibile. Solo le macchine non sbagliano (al limite, si rompono). Gli uomini sbagliano eccome, ci mancherebbe, e i giornalisti sono uomini (in senso lato, visto che sono ovviamente anche donne…).
Ma i giornali non vendono meno perchè i giornalisti sbagliano. I giornali vendono meno perchè oggi sono fatti peggio che in passato.

Caricato dal corso mattutino, ho poi parlato alla Convention dei classificatori della FIBS
Caricato dal corso mattutino, ho poi parlato alla Convention dei classificatori della FIBS

Sabato 12 marzo sono stato a uno dei vari corsi di formazione professionale continua (che sono un obbligo, al quale però io ottempero molto volentieri), dove si parlava del rilancio dell’informazione locale nell’epoca dei social network. Alla fine della giornata, sono intervenuto per dire: “Ma scusate, siamo qui che parliamo da 3 ore di crisi e di prospettive fosche e nessuno ha pensato di dire che l’unica salvezza possibile è lavorare sulla qualità”. Ho aggiunto che il direttore del sito della Gazzetta di Parma Gabriele Balestrazzi aveva citato come contenuto di successo pubblicato dal suo sito un video in cui si vede l’asfalto della banchina (a Portovenere, Liguria) sollevarsi a causa del flusso e del riflusso delle onde del mare.
Il video esiste e lo hanno ripreso un po’ tutti, compreso il sito di Repubblica (che è il sito d’informazione più visitato d’Italia). Ma c’è un ma.

Non è che pubblicare un video del genere sia sbagliato o immorale. Ma siamo sicuri che il sito della Gazzetta di Parma abbia dato ai suoi lettori quello che vogliono, a questo modo?
Repubblica è un sito generalista che fa grandissimi numeri e aumentando questi numeri (anche con qualche trucchetto sagace) si fa spazio nella considerazione delle cosiddette centrali media.
La Gazzetta di Parma può fare grandi numeri in proporzione alla sua popolazione di riferimento (poco più di 450.000 persone, “neonati e centenari inclusi”, e tutte di lingua italiana). I click di curiosità per vedere la banchina di Portovenere non cambieranno la sostanza: la Gazzetta non arriverà a insidiare le posizioni dei siti d’informazione di riferimento nell’ottica di chi decide gli investimenti pubblicitari.

Non voglio dare lezioni a nessuno e chiarisco che questa ripetuta citazione non è nemmeno un’auto candidatura (che ci potrebbe anche stare: Balestrazzi ha detto che a inizio estate andrà in pensione…) alla guida del sito della Gazzetta di Parma. Voglio solo provare a centrare il punto. E per questo mi chiedo: l’editore della Gazzetta online vuole che il suo sito sia visitato perchè stimola la curiosità di chi cazzeggia su internet o perchè offre contenuti esclusivi per un lettore che fa parte di quello che i pubblicitari chiamano target ? (letteralmente bersaglio; nella sostanza, i lettori a cui il sito si rivolge).
Secondo me, la risposta è abbastanza scontata. O meglio, l’editore potrebbe anche sorprendermi, ma i giornalisti mi aspetto di no.

Torniamo al termine contenuti esclusivi. Credo che un giornale si sia sempre venduto per questo. Oggi alla parola esclusiva, nel contesto del giornalismo, è sempre più difficile dare un significato. Nel momento stesso in cui mi gioco un’esclusiva, questa non lo è più, perchè la concorrenza ne sarà informata e potrà offrire i fatti dal suo punto di vista. Magari andando ad attingere a fonti delle quali io (che pure ho saputo la notizia per primo) non conoscevo l’esistenza. E quindi offrire qualcosa di meglio, pur essendo arrivata seconda. Ma questo è anche il bello: ci confrontiamo e chi è più bravo otterrà più lettori.

Non ho lo spazio e nemmeno mi sono documentato abbastanza per parlare diffusamente di politiche editoriali. Ma non escludo di poterlo fare in un prossimo futuro.
Per ora voglio solo richiamare l’attenzione dei giornalisti sul valore che potenzialmente ha il nostro lavoro.
Fare il giornalista non significa, questo deve essere chiaro, curiosare sul web e fare copiaincolla di tutto quello che ci sembra interessante. Per quello è sufficiente scaricare una app che convoglia sul nostro sito il feed RSS (RDF, ovvero Resource Description Framework, Site Summary) di ANSA. Non è nemmeno scrivere editoriali incazzosi prendendosela con tutti. Per questo, basta usare la stessa app di prima e riportare sul nostro sito il feed RSS del blog di Beppe Grillo.

Secondo me, se come giornalisti provassimo a cercare di imporre nelle redazioni questi concetti, un passo avanti lo avremmo fatto.
Forse potrà risultare utile anche la mia esperienza di lettore: non compro così tanti giornali in edicola come accadeva 20 o 30 anni fa, ma sono abbonato al Financial Times on line. E ovunque io sia la domenica, mi procuro una copia di Repubblica (cartacea o tramite una comoda app che ho sul lettore Kindle). Perchè non rinuncerei mai ai “Sette giorni di cattivi pensieri” di Gianni Mura.

P.S. Non vengo dalla Luna: so che per fare giornalismo di qualità servono risorse e tempo. Ho confezionato per anni giornali radio e telegiornali locali, facendo servizi di cronaca, politica, economia, spettacoli e sport nella stessa giornata. Sono spesso arrivato a una conferenza stampa insistendo per avere una dichiarazione prima che i lavori iniziassero perchè dovevo liberarmi presto per andare alla conferenza stampa successiva. Ma anche nelle giornate peggiori ho sempre provato a evitare, per dire, di chiedere al relatore di un convegno su Garibaldi: “Chi era Giuseppe Garibaldi?”.

4 thoughts on “Quale giornalismo è in crisi?

  1. Scritto di getto… tanto per rimanere in tema ho replicato il “probabilmente”.

  2. Ciao, probabilmente l’intervento più “fosco” probabilmente è stato il mio, ma sottolineo che l’intento era appunto quello di favorire alla “quantità” tipica dei social network una qualità che online va ogni giorno scemando. Differenziandosi dal modo di comunicare dei social, soprattutto.
    Partendo quindi dal presupposto che se il giornalista viene messo a conoscenza di un problema non può più ignorarlo è importante sapere che gli importanti cambiamenti sono favoriti anche da un certo atteggiamento dei grandi editori che non vedono l’ora di azzerare le redazioni. Presumo siano in attesa di “autocompositori” di informazioni. L’ansa passa la news e il robot compone l’articolo. Scherzi a parte c’è poi un grosso problema dal lato lettori ed è un problema di percezione perchè se all’interno di un sito “superiore” non si fanno distinzioni tra i contenuti di qualità e tappabuchi e/o gossip, quello che attirerà di più sarà sempre il gossip o la notizia “shock”. Comunque spero vengano organizzati più seminari e incontri sull’argomento. Il social continua ad essere visto sotto una lente deformante, il confronto è sempre utile e forse serve una maggiore autocoscienza dei componenti dell’ordine dei giornalisti. Magari seminari a tinte meno fosche… intanto grazie per il contributo.

  3. Un’analisi condivisibile (purtroppo) anche nella parte che riguarda il mio intervento. Sul quale però voglio precisare una cosa che forse ho dato per scontato o forse non ho sottolineato abbastanza. Il video del mare di Portovenere può portare tanti clic (e in fin dei conti parliamo di una cosa che fa ancora cronaca: non del filmato ghard o della notizia gossip), ma ha senso solo se quel video SI AGGIUNGE a un sito serio e che proponga contenuti impegnati e vere news. Se invece SI SOSTITUISCE a una informazione seria e di qualità, allora credo che quei clic alla lunga si rivelerebbero un boomerang: nel senso che il primo giorno ne hai tanti, ma poi finisci per precipitare perchè non sei più nè carne nè pesce: non un sito di video “virali” (ci sono mille siti che possono dare questo servizio meglio di te) nè un sito di news tradizionale. Ecco: il mare di Portovenere può essere una ciliegina, ma la torta deve essere rigorosamente “fatta in casa”, nel senso di genuina e appetitosa. Se abdicassimo a questo nostro ruolo (e in questo concordo pienamente con te) firmeremmo la nostra condanna. Se non è stato abbastanza chiaro al corso, ti ringrazio per l’opportunità di precisarlo qui. E il dibattito fra tutti noi, su questi aspetti, deve certamente proseguire al di là di un singolo incontro. Buon lavoro (serio) a tutti !

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