Osservare gli animali: riflessioni e nostalgia

FICTION E PROGETTI EDITORIALI, Kenya, Tanzania e Zanzibar 2013-2014, le mie bestie, VIAGGI

Osservare gli animali per me ha una grande importanza.  Negli ultimi anni sono riuscito a vederli nel loro ambiente naturale, ma da sempre li osservavo: negli zoo e nella mia fantasia. Il progetto Le mie bestie riguarda proprio  questo: l’importanza che ha sempre avuto per me osservare gli animali. E rappresenta quindi un ringraziamento a chi questa passione l’ha sempre incoraggiata.

Il 22 dicembre al parco Gombe stavo poltrendo sul letto e scrivevo gli appunti da cui ricavo questa serie di articoli. Improvvisamente, mi è partita la penna. E dopo pochi minuti avevo riempito una pagina e mezza ed ero commosso. Dicono che scrivere dei propri ricordi sia una sorta di terapia psicologica e, in questo caso, penso sia stato proprio così. Riporto letteralmente:

1968 a Nettuno: io in braccio ad Arnaldo, che accarezza Zorro
1968 a Nettuno: io in braccio ad Arnaldo, che accarezza Zorro

Caro Arnaldo, questa lettera mi sarebbe piaciuto scrivertela quando eri vivo. Ma mi devo accontentare. Grazie per quei venerdì pomeriggio a Orzi di Baganza, che per andarci prendevamo l’1 e sembrava esotico. Perché l’1 aveva i fili e il 3 e il 4 (che prendevamo per andare dallo zio Dolfo dopo San Lazzaro) sbuffavano fumo dall’alto. Cosa vuoi che si vedesse, a Orzi di Baganza. Non c’erano ancora neanche le nutrie. E io non mi attentavo a salire sugli alberi per vedere i nidi degli uccelli, nonostante il tuo incoraggiamento. Grazie per quei pomeriggi del lunedì (era cambiato il giorno di chiusura del ristorante San Biagio), quando in Giardino (che sarebbe il Parco Ducale di Parma) andavamo a cercare le lucertole e i cervi volanti. E: “Papà, pechè ci sono 2 nudi, nascosti là in mezzo?”. Forse eravamo andati troppo lontani. E grazie per quel  giorno che eri andato a scegliere le mozzarelle di bufala e mi avevi portato con te e io ho il ricordo che i bufali ci erano venuti contro. Ma tu ridevi, quindi evidentemente non c’era pericolo. E ancora grazie, per tutte le giornate allo zoo di Roma e per avermi spiegato da dove era uscito quel cucciolo di lama. E tutte quelle foto con i leoncini in spiaggia.
Grazie ancora per non esserti arrabbiato quando avevo voluto mettere una sanguisuga (l’avevo catturata al laghetto di Nettuno) dentro l’acquario dei nonni. Io sostenevo che fosse un’anguilla, ma aveva ucciso un sacco di pesci. E grazie per le foto con il cane Zorro e il cavallo Pippo. Grazie, caro Arnaldo. Perché senza di te oggi non sarei qui

Arnaldo Schiroli era mia padre. E’ nato il 4 ottobre del 1929 a Roma ed è morto il 25 febbraio 1988 a Parma.
Le nostre ferie estive (l’ultima volta che ho fatto le vacanze con i miei era il 1978) passavano inevitabilmente da Roma. E, sempre inevitabilmente, io trascinavo tutti allo zoo. Arnaldo lo pronunciava proprio così: “zo-o”, prolungando la seconda vocale.
Appena rientrato dall’Africa, nonostante un certo scetticismo di tutti quelli a cui l’ho detto (“Ma cosa vuoi andare allo zoo, tu che sei stato in Africa”) ho deciso di tornarci. Tecnicamente, la mia visita è avvenuta in 2 tempi, perché la prima volta la zona dei felini era chiusa e così ci sono tornato. Ma questo al racconto non è tanto funzionale, quindi  la cronologia sarà quella della seconda visita. Perché fa più comodo così.

L'ingresso dello zoo di Roma
L’ingresso dello zoo di Roma

Quando a Roma Termini sono salito sul taxi e ho detto all’autista che volevo andare allo zoo, lui (un tizio smilzo e con i capelli lunghi da ex giovane) ha ripetuto a pappagallo: “Lo zoo”. Ma il tono era tipo ma chi è che va ancora allo zoo. Nella corsa in auto, mi ha preso il mutismo. Mi guardavo intorno per cercare di cogliere quella eccitazione che mi colpiva da bambino. Forse (grazie a un gran sole) era la suggestione, comunque mi ricordavo: i palazzi signorili, la caserma di via Rossini. Poi il tassinaro ha detto: “La lascio qui…è dove si entra, per quel che ricordo”.
Dentro a Villa Borghese, non sembrava nemmeno inverno. I colori sono quelli dell’autunno, ma io sto pensando a quelle estati di quasi 40 anni fa e mi domando se allo zoo ci andavamo in taxi anche allora. Conoscendo Arnaldo, è anche possibile che ci abbia fatto attraversare tutta Villa Borghese a piedi, dalla stazione. Ma a ben pensarci, presumo che la Mirella (sua moglie e mia mamma) avrebbe preteso di andare almeno qualche ora in albergo, dopo il viaggio da Parma. Che non era mica veloce come quello con le Frecce di oggi.
Prima o poi lo devo fare, di farmi a piedi dalla zona Flaminia a via Veneto passando per Villa Borghese. Se solo ne avrò mai il tempo.
Mi sono armato di app per il mio windows phone per non perdere nemmeno un’informazione (ed evitare sorprese, tipo la chiusura della zona felini…). Oggi lo zoo si chiama Bioparco. Ha conservato quell’ingresso abbastanza trionfale con tanto di scritta giardino zoologico, ma appena superato il residuo di storia, si entra nel terzo millennio. Pioviggina e siamo in pochissimi ad entrare. Io ho uno zaino davvero pesante sulle spalle (con tanto di computer ) che, a logica, avrei dovuto lasciare in albergo o depositare in ufficio. Mi sorridono un po’ tutti: non sono certamente l’utente classico da zoo. Quello sembrerebbe essere la famigliola russa. Ma in verità c’è anche un gruppo di studenti, rumoroso come si conviene a un gruppo di studenti.
Si comincia con la giraffa. Scopro subito che ogni padiglione è dotato di una serie di interessanti informazioni. Non sapevo, ad esempio, che nel 1500 i Medici portarono una giraffa a Firenze. E neanche che gli arabi la consideravano un incrocio tra un cammello e un leopardo e la facevano combattere contro animali feroci, per scoprire se aveva preso più dal cammello o dal leopardo.
Proseguo a passo svelto e mi chiedo se le salite c’erano anche allora. Presumo di sì, ma certamente facevo meno fatica. E’ anche vero che Arnaldo e la Mirella mi avrebbero convinto a lasciare a casa lo zaino pesante.
La recinzione del bio parco mi provoca un flash. Da bambino era questa recinzione, non tanto le staccionate o le gabbie, a darmi l’idea che gli animali non fossero liberi. Nemmeno oggi gli animali sono liberi. Ma non sono nemmeno prigionieri. Dietro il bioparco c’è un progetto scientifico serio. Arrivo agli orsi bruni e mi impressiona una sequenza di 3 foto: una ritrae un orso circondato dalla gente nell’Italia del 1935, una seconda ritrae un orso in gabbia allo zoo nel 1999 e una terza è l’immagine degli orsi oggi, in uno spazio dedicato a loro e che punta a ricreare, per quanto possibile, il loro ambiente naturale.

La coppia di leoni asiatici allo zoo di Roma
La coppia di leoni asiatici allo zoo di Roma

Non ci sono felini africani. C’è una coppia di leoni asiatici (in libertà ne restano poche centinaia) ai quali si può arrivare a pochi centimetri di distanza, visto che li separa dai visitatori solo un vetro. Il maschio ha uno sguardo piuttosto malinconico, e non fiero come quello di Simba (termine Swahili per dire leone) come l’ho visto al Serengeti. Ruggisce, poi si fa coccolare dalla femmina. In effetti, com’è la vita di un predatore che non ha più bisogno di cacciare per mangiare?
La tigre siberiana è sdraiata e dorme. Ma resta meravigliosa. Ho cercato la tigre in natura in India (quella è la tigre del Bengala) ma senza fortuna. Anche la tigre è in un ambiente che riproduce quello suo naturale. Qui almeno non c’è nessuno che le spara per farne medicine e afrodisiaci.
Adesso piove sul serio. Salgo velocemente verso i lupi, che si guardano bene dall’uscire dalle tane. Poi punto verso il padiglione dei rettili. Ho un altro flash: la scalinata che porta a quello che era un vero e proprio palazzetto. Ho il ricordo della gente che, dall’alto, lanciava le monetine ai coccodrilli. Come se fossimo stati alla Fontana di Trevi.
Il palazzetto però è in disuso. Si entra viceversa in un padiglione molto ben organizzato e nel quale si vedono rettili che non pensavo nemmeno esistessero (tipo alcune rane amazzoniche davvero variopinte). Il boa e il pitone mi hanno sempre affascinato e resto per un po’ a guardarli. Dove ci sono coccodrilli e alligatori c’è un caldo umido quasi insopportabile.
Ricordo che da bambino il padiglione dei rettili significava la fine della visita. Oggi proseguo verso gli elefanti asiatici e l’ippopotamo. Che è fuori dall’acqua e buffo come non mai. Mi fermo per un po’ a guardare il leopardo iraniano, che è in effetti in gabbia e rende esplicito il perché del luogo comune come una belva in gabbia. In Iran è letteralmente perseguitato e si sta cercando di salvarlo dall’estinzione. Ci sono persone e associazioni che adottano letteralmente i leopardi e contribuiscono al loro sostentamento in cattività.
Gli scimpanzé sono da molti anni un’attrazione dello zoo di Roma. Bingo ha 24 anni e se ne sta appollaiato su un palo. Oggi è integrato nel gruppo, che vive in un’area piuttosto ampia. Ma questo è uno dei comportamenti che aveva assunto dopo essere stato portato a Roma da Pescara. Il Corpo Forestale dello Stato lo ha sequestrato in un night, dove faceva il buffone e stava praticamente impazzendo. All’inizio, rifiutava la luce del giorno (viveva solo alla luce artificiale) e qualsiasi contatto sociale. Incredibile, per uno scimpanzé.
Edy invece è nato nel 1992 e le Guardie Forestali lo hanno sequestrato a Messina, dove era detenuto illegalmente in un Circo.

Lascio il bioparco convinto di poter rivalutare in pieno gli zoo. Oggi servono per supportare i programmi di difesa degli animali in via d’estinzione. E, più modestamente, possono servire per imparare a conoscere gli animali prima di cercare di osservarli nel loro ambiente.
C’è un personaggio (Greywolf) del monumentale quanto bellissimo romanzo Il quinto giorno di Schaetzing, che sostiene che anche la persona con le migliori intenzioni possibili può far danni, se osserva la natura senza essere preparata. A tal proposito, ricordo un safari notturno del dicembre 2009 al campo Namutomi, all’interno del parco nazionale Etosha in Namibia. Senza rendercene conto, ci siamo ritrovati in mezzo a un branco di gnu. Una madre ha cercato di evitare che il piccolo si allontanasse e il vitellino di gnu ha deviato la sua corsa, finendo dritto contro la jeep. Un po’ stordito, è ripartito. Ma poco dopo, è tornato verso di noi: si era perso. Ricordo benissimo il suo muggito, che sembrava un belato. Era appena passata una iena, se non avesse ritrovato la mandria, il suo destino sarebbe stato segnato. Il Ranger Gabriel ha spento le luci della jeep: “Così ha più speranze di ritrovare la madre”. Io avrei voluto proporre di trarlo in salvo, ma mi sono reso conto che sarebbe stato un modo di influenzare ancora di più la natura.

Il bio parco ha incredibilmente anche un’area nella quale si possono vedere gli animali della fattoria. Incredibilmente per me, che con conigli, galline e compagnia ho familiarizzato fin dai miei primi mesi di vita. Ma forse oggi è normale.
Camminando per Villa Borghese, verso il Museo di Arte Moderna, ho visto diversi cani che scorazzavano in un’area dedicata e i loro padroni familiarizzare. E’ l’ultimo momento di nostalgia per oggi: mi sono rivisto bambino, mentre obbligavo i miei a inseguire i cani di razza al fine di chiedere tutte le informazioni possibili ai loro padroni. Mentre salivo sul taxi che mi avrebbe riportato in pochi minuti al presente, sorridevo.