Istanbul ha un posto importante nel mio cuore

Istanbul, VIAGGI

Penso al mio primo giorno a Istanbul. Era la fine dell’agosto 1985 e la giornata era bigia. Ero con il mio amico Benni e cercavamo la stazione. Proprio quella dell’Orient Express. Ma era una parola trovarla, perché non avevo una cartina e nessuno mi capiva. Così mi sono fatto passare un foglietto e ho disegnato i binari del treno. Con una esplosione di entusiasmo, il venditore di kebab mi ha indicato la strada: sempre dritto. Alla stazione dell’Orient Express ho comprato un biglietto del treno per Atene e ho iniziato il viaggio di ritorno verso casa. Un viaggio che lì per lì mi preoccupava per la sua lunghezza inspiegabile. Perché non pensavo fosse davvero possibile metterci una notte per andare da Istanbul ad Atene. Invece per la verità ce ne abbiamo messe quasi 2.  Ma il punto è un altro: quella del 1985 è stata la mia ultima estate della vita che avevo imparato a conoscere. Poi è cambiato tutto.

Se passeggi per l’Harem del Topkapi, il leggendario palazzo Imperiale degli Ottomani, ti vien da chiudere gli occhi e cercare di pensare che forse stai mettendo i piedi dove aveva camminato Solimano il Magnifico. O magari, se non proprio lui, almeno Dago. Che di

Dago, il Giannizzero
Dago, il Giannizzero

Solimano era un Giannizzero e che quindi è da escludere che potesse passeggiare per l’Harem (gli unici uomini ammessi, oltre al Sultano, erano i suoi discendenti quando erano ancora adolescenti o gli eunuchi). Ma è anche vero che Dago non esiste, perché è un personaggio di Robin Wood, un fumetto. Ma la cosa interessante è che Dago è il motivo principale per cui nel 1985 ho accettato di andare a Istanbul, che allora mi sembrava davvero lontanissima. E che anche oggi, non è che sia vicina, specie se ci arrivi partendo da Losanna, arrivando in treno a Milano. Poi, sempre in treno, a Bologna. E da qui in aereo a Roma. Poi, da Roma e sempre in aereo, a Istanbul. E poi in taxi all’hotel Agia Sofia. E non hai più il fisico di quando andavi a piedi alla stazione dell’Orient Express e crolli mezzo morto sul letto fino a che il Muezzin non inizia quella che ti sembra una lagna (il Turco è una lingua complessa…) ma che in verità è la chiamata alla preghiera. Ma andiamo con ordine.
Grazie a Dago ho conosciuto l’Impero Ottomano al suo massimo splendore. Solimano il Magnifico ha regnato dal 1520 al 1566, periodo di incredibile espansione per l’Impero nato con il Sultano Osman (da qui, la definizione di Ottomano) nel 1299. Dopo Solimano, l’Impero iniziò una lunga e inarrestabile decadenza che lo porterà a perdere tutti i possedimenti a parte il territorio turco propriamente detto e a schierarsi dalla parte sbagliata durante la Prima Guerra Mondiale. Che decretò la fine dell’Impero Ottomano, ma anche l’ascesa di un geniale stratega militare di nome Mustafa Kemal, uscito come eroe dalla tremenda battaglia di Gallipoli (che non è dove ha la barca D’Alema, ma Gelibolu sul Mar di Marmara, teatro di un assedio di inglesi e francesi ai turchi costato oltre 300.000 morti) e che impareremo a conoscere come Ataturk. Ma di lui, parleremo.
Mi piace Dago, perché parla tutte le lingue del mondo, incluso il Turco. Che però nel 1500 doveva essere qualcosa di molto diverso da oggi, visto che nella grande riforma che coincise con la nascita della Repubblica di Turchia (1923) fu compresa una riforma linguistica. Ma adesso spogliamoci dalla razionalità (se così non fosse, mi toccherebbe notare che Dago si esprime come un uomo del 1500 avrebbe fatto certamente fatica a fare; ma io non mi sono chiesto per anni come mai in tutto l’Universo di Star Trek si parla Inglese, quindi figuriamoci se mi formalizzo per così poco) e pensiamo a Dago che esce dall’Harem dopo aver consigliato Solimano (che, dice la Storia, aveva un consigliere molto ascoltato che era stato uno schiavo, proprio come Dago; essere consigliere di Solimano era un privilegio, ma deluderlo era un problema, perché tendeva a far saltare teste…) e vede la Moschea Blu (appena aperta…) e

Il sole dietro la Moschea Blu
Il sole dietro la Moschea Blu

Santa Sofia (quella c’era da secoli…). Davanti alla Moschea Blu (Sultanahmet camii) resto rapito nel 2013 esattamente nello stesso modo in cui venni rapito la prima volta che ci arrivai tutto sudato nell’agosto del 1985. Quei 6 minareti, con il sole alle spalle la mattina sono uno spettacolo che apre il cuore. Poi, entrare nella Moschea è un’esperienza  ancora più incredibile. Le decorazioni, spiegano perché l’hanno definita blu. E tutta la gente che prega.
Ma sto andando in troppe direzioni. Vi voglio parlare della Turchia islamica, della Turchia laica, non voglio scordare la Turchia di Dago (anche se non si chiamava Turchia) e la mia Turchia, mia e del mio amico Benni. Mia, di Benni e del nostro amico Ulzana, quando ci siamo tornati con l’Orient Express l’anno dopo. E abbiamo capito perché sull’Orient Express ci hanno ambientato le indagini di Poirot: perché l’Orient Express da Parigi a Istanbul ci mette una settimana (da Trieste, più modestamente 49 ore), quindi la signora Christie ha tutto il tempo per inventarsi la storia da far risolvere anche a uno non troppo sveglio come Poirot. Che ad esempio, se l’Orient Express andasse come l’Eurostar Milano-Roma avrebbe risolto poco…
Per ora, cammino da Sultanahmet verso il Mar di Marmara, dove le famiglie si trovano a passare il week end svolgendo attività curiose (tipo sparare alle bottiglie con le carabine ad aria compressa) e un sacco di gente pesca e cucina direttamente il pesce. Nel 1985 il percorso era sconsigliabile di sera: buio e sconnesso, con brutti ceffi, quasi pericoloso. Ma era sconsigliabile anche di giorno, perché chiunque cercava di vendervi un tappeto (alla mia protesta: “Ma come me lo riporto in Italia” la risposta fu geniale: “Possiamo anche spedirtelo”). E c’era odore, pieno di gatti (quelli ci sono ancora), case cadenti. Oggi hanno rimodernato quasi tutto e sono sorti alberghi, ristoranti. Per terra non c’è una cartina e come pulizia sembra di essere quasi in Svizzera. Poi potete prendere il tram T1, che è lussuoso e vi porta fin dall’altra parte del Bosforo, a Kabatas, passando per il ponte di Galata. Io e Benni, ma anche io, Benni e Ulzana, a Kabatas ci siamo arrivati a piedi. Non abbiamo mai avuto il coraggio di inerpicarci su per le salite che portano a Istikal, la via dello shopping e quindi a piazza Taksim, il vero centro di Istanbul. Ma il T1 lo hanno aperto nel 1991 e il funikuler che sale fino a Taksim addirittura nel 2006. Io, Benni e Ulzana ci saremmo potuti andare solo a piedi.

Mentre scrivo, mi rendo conto che sono sempre più innamorato di Istanbul. E quindi per adesso mi fermo qui. E mi preparo a scrivere molto di più.