Nell’autunno del 1980 l’atto di andare a scuola aveva cambiato prospettiva. Voglio dire: la priorità era sempre compiere un percorso circolare tra l’andata e il ritorno. Fuori di casa, a sinistra (o verso sud), poi a destra (ovest), quindi ancora a destra (nord). Fuori da scuola a sinistra (nord), poi a destra (est), quindi ancora a destra (sud). Ma priorità a parte, ad aspettarmi in cima alle scale c’era regolarmente la Pulzella.
Avevo 17 anni. Ma non essendo stato particolarmente precoce, si può dire che la Pulzella fosse stata la prima ragazza ad aver suscitato il mio interesse. O forse, prima c’era stata la Barbara. Ma andavo all’asilo ed era un interesse ovviamente casto. Quello verso la Pulzella, decisamente no.
Fantasticavo sulla Pulzella, mentre lei mi parlava. C’erano 2 appuntamenti fissi: quello in cima alle scale prima di iniziare le lezioni e l’intervallo. In modo inaudito, per passare più tempo con la Pulzella, avevo anche preso a rinunciare alla tortina del bidello Cocconi. Con il risultato di arrivare a fine giornata con una fame micidiale. Ma il tempo all’intervallo era tutto quello che avevo a disposizione per vedere la Pulzella. Che in cima alle scale a inizio mattina ci si stava pochissimo, visto che alla tortina potevo rinunciare, ma a farmi arrivare in anticipo non ci sarebbe riuscita neanche la Pulzella.
Ma la storia di saltare la tortina doveva finire. Così chiesi alla Pulzella di uscire. A quel modo, avremmo avuto tutto il tempo a nostra disposizione. Anche per vedere se le mie fantasie si potevano tramutare in realtà.
E la Pulzella aveva accettato. Apparentemente con entusiasmo. Poi aveva rimandato. Poi aveva chiesto “ma cosa facciamo, se usciamo?”. E poi, il giorno in cui iniziavano le vacanze di Natale, mi aveva detto che le dispiaceva, ma aveva “il ragazzo”.
Qui subentra Joe Jackson. Da qualche giorno era in mio possesso Look Sharp, il suo primo lavoro. Il disco non era recentissimo, visto che era stato pubblicato nel gennaio del 1979. Ma erano altri tempi e per me il disco era nuovissimo.
Mi manca il crock della puntina quando la appoggi sul vinile, ma One More Time, la prima canzone di Look Sharp, la ascolto ancora oggi. Parte con quella chitarra distorta, decisamente carica, e poi Joe canta “Tell me one more time, as I hold your hand, that you don’t love me”.
Joe Jackson sta tenendo per mano una che gli dice che non lo ama. E io, nel dicembre del 1980, mi sono sentito Joe Jackson. Quella che non lo ama, per il Me del 1980, è la Pulzella.
“Shout it to me and I’ll shout it to the sky above me, that there was nothing after all”.
Insomma, Pulzella, dimmelo che tra di noi non c’è mai stato niente!
Sono andato avanti ad ascoltare Look Sharp di Joe Jackson per tutte le vacanze di Natale. Senza mai curarmi del dettaglio che, a sentire il testo di One More Time, Joe Jackson doveva essere andato al di là dei 10 minuti di intervallo sottratti alla tortina, con quella a cui chiede di ripeterglielo, che se ne andrà.
Dettagli, appunto.
Giovedì 21 marzo 2019, quando ho sentito la stessa chitarra distorta all’Auditorium del Teatro Manzoni di Bologna, Joe Jackson era un signore abbastanza sovrappeso, ma aveva ancora quella voce dall’estensione così particolare da far sembrare che si stia lamentando. Che detto così non sembra un complimento. Ma vuole esserlo.
Joe Jackson ha iniziato maluccio il concerto. Entrato per ultimo in scena, si è seduto al piano e ha attaccato Alchemy, l’ultima canzone di Fool, il disco che ha pubblicato nel 2019. E io mi ero già chiesto, vuoi vedere che hai speso più di 50 euro per uno sfiatato? Poi One More Time ha messo a posto tutto. Azzardo: era una versione più tirata di quella del disco di 40 anni fa. Il giro di basso di Graham Maby era pulsante e Doug Yowell suonava la batteria con un’energia d’altri tempi. La chitarra distorta era di Teddy Kumpel. Questa è la classica formazione di base della cosiddetta New Wave, la musica del dopo punk. La mia musica, insomma. E vorrei confessare a Joe Jackson che mi è sempre dispiaciuto che One More Time non fosse una canzone dei Jam. Avrebbe potuto tranquillamente esserlo.
Dopo One More Time, Joe Jackson ha attaccato senza dire una parola Is She Really Going out with Him. Si tratta di un altro bell’inno alla sfiga (“ci sono delle belle donne che camminano con dei gorilla”), che quindi in quell’inizio di inverno del 1980 aveva avuto il suo bel perché.
Poi Joe Jackson ha spiegato che aveva iniziato con Alchemy, perché l’alchimia (“trasformare la cacca in oro”) la creavano loro tutte le sere.
Il Four Decade Tour è questo: mettere assieme tutta la carriera di questo artista da sempre acclamato dalla critica. E che evidentemente ha un pubblico di riferimento italiano, visto che si è meritato applausi ripetuti a scena aperta. Certo, la costrizione delle file di posti della platea del teatro ha limitato le pulsioni di un pubblico attempato ma entusiasta. E Joe Jackson, inchiodato alle sue tastiere, era forse un po’ statico. Ma il concerto ha regalato 2 ore da ricordare.
“Non è stato facile scegliere le canzoni…sapete, sono in giro da 40 anni” ha detto Jackson, che ha poi confessato: “Rain del 2008 è il mio disco preferito…è solo la mia opinione, sia chiaro…”.
Joe Jackson ci ha salutati con Alchemy, come aveva iniziato. E’ stato il primo a salutare. Poi lo ha seguito la band, uno alla volta. Quando è tornato in scena, per la standing ovation finale, è stato un momento onestamente magico.
Il concerto l’apice lo aveva vissuto con il primo bis: Steppin’ out, dal celebrato Night and Day (1982). Joe Jackson ha cercato di riproporre la stessa atmosfera della versione originale su disco: “Non è facile, perché sul disco suonavo io tutti gli strumenti”.
Uscendo, mi sentivo convinto di non aver partecipato a un’operazione nostalgia. E per una volta, non mi è importato di quel dubbio ricorrente: se è vero che, a un certo punto della vita, si esaurisce la nostra capacità di accettare musica che verrà composta da quel momento in avanti.
Concludo dicendo che questa non può comunque essere una storia a lieto fine. Ho rivisto la Pulzella decenni dopo (potenza di quello che Facebook può far succedere…). Ma dopo 5 minuti che la sentivo parlare di come un complotto, presumibilmente partito da Massimo D’Alema, avesse mandato in rovina un suo progetto imprenditoriale, ho iniziato a chiedermi “cosa ci faccio qui”.
P.S. Ovviamente, la Pulzella non si chiama così. Ma ho pensato che era opportuno garantire la sua privacy
P.P.S. Joe Jackson è nato l’11 agosto, come me (anche se una decina di anni prima). Sarà per quello, che ci capiamo?