Ivan Gazidis vuole un Milan sostenibile

Gazidis, il Milan e il modello sostenibile

SCHIROPENSIERO

L’Amministratore Delegato Ivan Gazidis ha detto che il Milan deve puntare a un “modello sostenibile”. Ha detto, dunque, qualcosa di clamorosamente ovvio. Ma, in riferimento al calcio italiano di oggi, anche decisamente rivoluzionario.

La stampa sportiva italiana ha accolto con toni di trionfo la notizia che la Juventus emetterà un bond per ottenere risorse. In sè, non è una notizia né buona né cattiva. Come dicono i libri di testo, indebitarsi significa “rinunciare a risorse future per avere più risorse immediatamente disponibili”. Ma bisogna intendersi su cosa significa emettere un bond. Perché nella sostanza vuol dire chiedere soldi in prestito. La Juve ha puntualizzato che il bond è rivolto solo a “selezionati investirori”. Ma sempre di prestito si tratta. E da rimborsare pagando a chi lo sottoscrive gli interessi.

Intendiamoci anche su un altro termine: sostenibile. Ecco, la gestione della Juve non è sostenibile. Spende quasi tutto il suo fatturato, composto per oltre il 50% dai diritti televisivi, per pagare i giocatori. Su quasi 400 milioni di fatturato, solo 143 sono per proventi commerciali: appena il 36% del fatturato. E gli incassi al botteghino incidono per il 13%.

La Juventus prenderà 150 o 200 milioni a prestito per avere risorse che le permetteranno facilmente di vincere qualche altro scudetto, ma anche di perderci vere e proprie fortune. Se tutto va bene, nel giro di qualche anno la Juventus sarà più vincente, ma avrà un capitale sociale azzerato.

Degli ultimi bilanci delle squadre di calcio ho scritto con dovizia di particolari in un articolo pubblicato dal sito StadioTardini, incentrato sul resoconto della cosiddetta MoneyLeague di Deloitte. Ma mi ero occupato della MoneyLeague anche su questo sito.

Torniamo a Gazidis per dire che ha ragione.
Il Milan ha vinto tanto nel passato, più o meno recent,e grazie a un modello che era reso sostenibile solo dalla potenza economica del suo proprietario mecenate. L’attuale proprietà del Milan è un Hedge Fund che ha risorse praticamente illimitate. Ma che ha deciso di stare sul mercato. E oggi un club di calcio per stare sul mercato deve avere un modello sostenibile. E non solo perché questa è la legge dell’economia di mercato. Anche perché glielo impone la Confederazione Europea (UEFA) per avere accesso alla miniera d’oro che si chiama Champions League.

A noi tifosi piace l’idea che il nostro club vada sul mercato e prenda i migliori, senza badare a spese. Ma è sempre meno possibile.
Gazidis, che si vede poco anche perché non parla Italiano benissimo, per ora sta costruendo l’organigramma societario. Di qualche settimana fa è l’ingaggio di Hendrik Almstadt, un laureato della London School of Economics con Master in Business Administration a Harvard.
Almstadt, che di cittadinanza è olandese, ha lavorato con Gazidis all’Arsenal. Successivamente è passato all’Aston Villa con il prestigioso incarico di Sporting Director. L’incarico è durato solo 8 mesi e il sito Birmingham Live lo ha definito “ill fated”, più o meno “che era destinato a fallire”.
Successivamente, il dirigente si è occupato delle relazioni con i giocatori del PGA Tour di golf.

Al Milan Almstadt non avrà l’incarico di Sporting Director. Quello c’è già ed è Leonardo. Almstadt si incaricherà dell’allocazione delle risorse.
Dopo di lui, Gazidis ha ingaggiato altri 2 dirigenti con esperienza in Premier League: Casper Stylsvig, che ha lavorato per Manchester United, Barcellona e Fulham, assume l’incarico di Chief Revenue Officer. Insomma, è quello che deve andare a reperire risorse; James Murray (ex Arsenal) sarà invece il Capo dello Staff dello stesso Gazidis.

Almstadt, Stylsvig e Murrary: per un Milan sostenibile
Da sinistra: Hendrik Almstadt, Casper Stylsvig e James Murray

Una gestione sostenibile passa anche per le cosiddette plusvalenze. Quindi per un modello di gestione tecnica virtuoso, che punta a costruire talento in casa. Per questo Gazidis ha investito anche in un nuovo Capo Scout, che è Geoffrey Moncada.

Un club di calcio è un’azienda atipica, che noi riteniamo di successo quando vince sul campo. Ma le vittorie sportive si possono programmare fino a un certo punto. E le risorse devono arrivare anche negli anni in cui i risultati sportivi sono meno brillanti. Per essere più chiari: il fatturato non si può inchiodare, se per qualche anno si fallisce la qualificazione alla Champions League. Esattamente come è accaduto al Milan.

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