Dando un’occhiata alla cartina riportata nella rivista di bordo della Cathay Pacific, è innegabile che uno che vuole andare da Tokyo all’Italia non passa da Hong Kong. Diciamo che è tutto il giorno che viaggio e il risultato è che mi sono allontanato dalla meta. Per esemplificare: se la meta è Milano e si parte da Tokyo, passare per Hong Kong è come andare da Oslo a Casablanca per volare a New York.
In compenso, l’aeroporto di Hong Kong è sempre un’esperienza interessante. Se uno fosse interessato, si potrebbe comprare ad esempio un Rolex esattamente allo stesso prezzo (neanche tanto caro…) della miglior gioielleria del centro di Milano o Roma. Con il non indifferente vantaggio che magari in viaggio se lo potrebbe far rubare con destrezza.
Se sono a Hong Kong, vuole evidentemente dire che il Premier12 è finito. Con un certo stupore, prendo atto del fatto che per la prima volta da quando viaggio per lavoro non vedo l’ora di tornare. Probabilmente, è perchè sto invecchiando. O forse, sono già vecchio. Fatto sta che non mi sono divertito (semifinale Giappone-Corea a parte). Anche se ovviamente spero che questo non emerga dai miei articoli.
La verità è che vedo il baseball internazionale in un loop che promette poco di buono. Essendo vecchio, è da un po’ che sono in giro. Ho vissuto gli annunci trionfalistici dell’apertura dei tornei ai professionisti. Sono stato a Taiwan al primo Mondiale IBAF nel quale i professionisti abbiano giocato e lo ricordo ancora come un grande spettacolo. Poi è venuto il World Baseball Classic, che è stato un successo importante. Le superstar di Grande Lega hanno rappresentato i loro paesi. Anzi, qualcuno (A-Rod) ne ha rappresentati anche 2. Poi è venuto il Premier12. Che non è il Classic e probabilmente mai lo sarà. D’altra parte, voi se aveste creato un torneo importante, sareste disposti a mettere i presupposti perchè ce ne sia uno altrettanto importante non organizzato da voi? Difficile, credo.
Il punto qui non è stabilire cosa sia meglio di cosa. Ma mettere tutti gli attori attorno a un tavolo e fare un calendario internazionale.
Non so se ci sono solo io a notarlo, ma il baseball è l’unico sport che non ha una stagione internazionale chiaramente collocata. C’è una logica, perchè il baseball è uno sport estivo e le stagioni non sono le stesse nei 5 Continenti. Così in America centrale e nei Caraibi si gioca da ottobre a febbraio. In nord America e in Europa da aprile a settembre-ottobre. Le Major Leagues, per evitare di cannibalizzare le partite dei play off con trasmissioni televisive concorrenti, sono arrivate ormai a finire verso i primi di novembre. In Giappone e Corea sono in pista da febbraio a ottobre. Quindi, quando si dovrebbero giocare le competizioni internazionali?
Il Classic ha scelto febbraio, ma non è che siano tutti contenti. Al primo raffreddore che viene a un pitcher che ha giocato il Classic, tutti subito a dire che ha “iniziato a lanciare troppo presto”. Il Premier12 ha scelto novembre. Ma non è che siano tutti contenti. La nazionale degli Stati Uniti certamente non lo è, visto che ha perso 3 giocatori prima della finale perchè sono stati inseriti nel roster dei 40 delle rispettive organizzazioni. Ma USA Baseball, non ci poteva guardare alle deadline?
L’Europeo si gioca a settembre. Ma così i professionisti europei sono sempre tra coloro che son sospesi. Chi si qualifica per i play off nei rispettivi campionati, l’Europeo non riesce a giocarlo.
Lo ammetto: io non so cosa ci sia da fare. Ma far finta di nulla non è una soluzione.
Le Grandi Leghe pro hanno una responsabilità non piccola: quella di aiutare il baseball a fare il salto di qualità a livello di considerazione. Da simpatico show a grande sport universale. Perchè è ora che questo salto di qualità ci sia. Il baseball è importante nei 5 Continenti. Possibile che non sia capace di farlo capire?
Sabato al Dome di Tokyo ho concesso un’intervista demenziale a una televisione locale, che voleva sapere da me se Otani, Maeda e Matsuda hanno i mezzi per avere successo in Major League. Se lo sapessi, mi avrebbero già ingaggiato come consulente del mercato asiatico per qualche club di Major. Voglio dire: nessuno può sapere come si adatterà un ragazzo a un mondo del quale non capisce la lingua e i costumi e difficilmente apprezza il cibo.
Chissà perchè sono venuti a intervistarmi, fra parentesi. Probabilmente perchè indossavo il vestito blu e griffato Italia ideato per il primo World Baseball Classic e che per qualche selezionata occasione sfoggio ancora. Questa volta mi sono anche concesso un tocco creativo, abbinando la scarpa Bigioni da riposo di ultima generazione e decisamente sportiva. Un’idea che piace.
Dovete sapere che i giapponesi guardano con un occhio diverso quelli che mostrano di essere in una sorta di uniforme. Ho la netta impressione che lo considerino un segno distintivo. Aiutano naturalmente anche la mia statura e la mia stazza, che dal loro punto di vista sono completamente anormali.
Le (ormai leggendarie) venditrici di birra e altre vevande dello stadio hanno una funzione non dissimile da quella delle entreneuse dei locali notturni. Sono sempre prodighe di sorrisi nei confronti degli uomini che ordinano da bere. Sono in servizio al Tokyo Dome anche delle bat girl. Al contrario dei bat boy, sono in braghe corte, con una divisa simile a quella del softball internazionale ma un tantino più maliziosa.
In conclusione: eleggo a mio definitivo idolo del Premier12 l’arbitro giapponese Kayuzuki Shirai, la cui chiamata di strike è così stentorea da rimbombare letteralmente nello stadio.
Shirai è un ex seconda base della NPB e non mi è assolutamente chiaro perchè ritenga necessario questo ululato per sottolineare le chiamate.
Venerdì durante Stati Uniti-Messico allo stadio c’erano poco più di 5.000 persone. Che non sono poche in assoluto, ma si perdevano un po’ nel capiente Dome. Shirai ha continuato a pompare i suoi strike, senza abbattersi quando dal bleecher (effetto delle tante birre acquistate dalle signorine in braghe corte, forse) partiva sempre più di frequente l’effetto eco.