Nel pre game della semifinale tra Stati Uniti e Messico gli altoparlanti del Tokyo Dome hanno diffuso in loop American Idiot dei Green Day Anche a chi non conosce bene l’Inglese, il testo lascia poco spazio alla fantasia: “Don’t wanna be an American Idiot” è il primo verso.
Ci sarà stata malizia?
Non poca gente mi scrive dall’Italia per chiedere se i giapponesi hanno vissuto l’eliminazione come tragedia.
Non posso dire di essere immerso nel tessuto sociale di Tokyo, ma la mia impressione qui è che lo sport sia più vissuto come un intrattenimento fine a se stesso e che ha un’importanza vitale solo per le 3 ore dell’evento, ma poi passa in archivio. Quindi no, non mi sembra che qualcuno ne abbia fatto una tragedia e sono convinto che tra poco vedrò lo stadio quasi pieno e concentrato a tifare per i Samurai.
Tokyo è una megalopoli sconfinata da oltre 13 milioni di abitanti, ma Bunkyo (dove ha sede il Tokyo Dome) è di fatto una città a parte dentro la megalopoli (tecnicamente, un distretto che si auto governa in coordinamento con la Giunta metropolitana di Tokyo) di circa 200.000 abitanti con una sua vita, che ruota in buona sostanza attorno al Campus Hongo dell’Università.
Devono essere decisamente studentesse, le ragazze cinguettanti che restano sedute da Mac Donald’s fino a che l’area dei tavolini non viene chiusa e l’unico servizio offerto è quello da asporto.
Ieri uno zelante commesso mi ha staccato un orologio dalla parete per essere sicuro che capissi che entro le 3 mi dovevo togliere di torno. Ma erano le 2.10, come avrei mai potuto stare lì quasi un’ora per mangiare il pur soddisfacente Big Mac e le ancora più soddisfacenti patatine, appena uscite dalla friggitrice?
Non mi sono più posto la domanda quando ho visto una coppia di mezza età a un tavolino dietro: lei stava consultando dei quaderni di appunti scritti in verde (io, ricopiando gli appunti, all’Università sono arrivato al massimo a distinguere alcune parti scritte in rosso da altre scritte in nero, non so voi…) e lui ciondolava col capo riverso sul tavolino. Il che non è che sia proprio una bellissima scena. Voglio dire: se hai così tanto sonno, vai a dormire a casa.
E’ una cosa che non riesco a spiegarmi.
Ieri ho visitato la Hall of Fame e Museo del baseball giapponese. E’ una visita veloce (il biglietto costa 600 yen, quindi meno di 5 euro), non sempre agevole (quasi tutto è scritto in Giapponese e la dispensa in Inglese è quanto meno sommaria), comunque istruttiva e in qualche momento anche emozionante. Ad esempio, mi sono emozionato quando ho trovato esposto il gagliardetto FIBS (l’Italia giocò con i Samurai Japan la partita d’apertura delle Olimpiadi di Atene; quanti ricordi, la mia prima e unica presenza ai Giochi) e quando ho visto la casacca della All Star Europa che ha giocato qui a marzo e riconosciuto l’autografo di Marco Mazzieri proprio nel bavero destro della casacca.
Visitando la parte sulle origini del baseball, ho notato che i giapponesi si sono bevuti da botte la storia del baseball come viene raccontata tradizionalmente e non hanno preso atto degli studi più recenti, che confermano come il baseball in quanto tale sia uno sport Inglese, importato e sviluppato nelle Colonie. Prima di tutto in Canada. Al riguardo, deve essere sfuggito l’interessante Baseball before we knew it di David Block, pubblicato dall’Università del Nebraska nel 2005.
Il baseball d’altra parte in Giappone lo hanno portato gli americani, a iniziare dal Professor Horace Wilson, che introdusse al gioco gli studenti dell’Università di Tokyo nel 1872. Gli americani hanno iniziato a portare lo spettacolo del loro baseball pro fin dagli anni ’30 del secolo scorso, ma il baseball professionistico come lo conosciamo oggi in Giappone è una creatura relativamente recente e figlia degli anni immediatamente successivi alla seconda Guerra Mondiale. Certo, c’erano stati tentativi prima del conflitto (la Japanese Professional Baseball League a 7 squadre nel 1936), ma lo sviluppo inizia con la National Baseball League a 4 squadre del 1947 e si compie con la nascita della Pacific e della Central League nel 1950, anno in cui si giocano anche le prime Japan Series. Nel 1948 in Giappone si giocò la prima notturna.
La Hall of Fame ha iniziato la serie delle sue induzioni (oggi i membri sono 184) nel 1959 con Matsutaro Shoriki, il fondatore dei Tokyo Giants.
Sono ormai padrone del tunnel che porta dall’albergo al campo di gioco. Ho imparato a rispondere con un inchino a tutti i poliziotti in alta uniforme che presidiano il tunnel e capito che, nel punto in cui si devono superare 2 porte a vetri, devo aspettare che l’addetto in guanti bianchi chiuda la prima porta e si precipiti ad aprirmi la seconda. E’ apparentemente disdicevole che me la apra da solo.