Il Nador Tour di marzo ci porta a Milano. Prima di addentrarmi nella giornata di sabato 26, condivido un’amarezza: il Nador Tour è stato multato sulla tangenziale di Modena per eccesso di velocità. Segnala lo special guest Ceby Vecchi: “avete preso l’unico AutoVelox, siete a media mille”. Questo anche per confermare a chi ha commentato il precedente Nador Tour con uno sprezzante “va a lavorare” che il Nador Tour è un duro lavoro. E anche pericoloso.
Milano dal punto di vista della mia vita nel baseball ha il difetto di aver sempre rappresentato il passato. Nel senso che quando io sono entrato in uno stadio di baseball per la prima volta (1975) era già una nobile decaduta. Ma che fu capace anche di darmi uno dei primi dolori di tifoso. Con le basi piene e il Milano in vantaggio di un punto, Giorgio Castelli battè forte sul terza base (mi viene in mente Pierino Allara, ma non credo che giocasse in terza…) e la partita finì. Fu memorabile il commento di un mio amico: “Non decide le partite come gli altri fuoricampisti”.
Quando Elia Pagnoni, collega e special guest del Nador Tour di marzo, mi ha mostrato la teca con tutti gli scudetti del Milano, ho però fatto mente locale su cosa questa città rappresenta nella storia del baseball italiano. Anche perché nella teca poco sotto si trova la pallina della prima partita di baseball giocata nel nostro paese da giocatori italiani: giugno (chi dice il 26, chi dice il 27) 1948 al campo Giuriati. Stando alle cronache, c’erano 3.000 persone. Leggo che oggi il Giuriati è un centro sportivo ed è parte del Politecnico di Milano.
La sede del Milano 1946 è allo stadio Kennedy.
Non lo descriverò come uno splendido cinquantenne, ma devo dire che mi ha fatto una buona impressione. Sinceramente, mi aspettavo un luogo un po’ triste, invece l’ho trovato dignitoso. Non so se Pagnoni lo riterrà un coplimento, ma sono un ragazzo sincero, lui lo sa.
Bevendo un caffè, ho dato un’occhiata alla partita di baseball per ciechi tra i Lampi e i Thunder’s Five di Milano. Io e gli altri Nador Tourers ci siamo fatti riprendere. Perché a una partita di baseball per ciechi ci si comporta come a una partita di tennis: si deve stare in silenzio. Gli atleti si basano sul loro udito, forse ci sarei potuto arrivare.
Al Kennedy è legato il primo articolo di baseball che ho firmato su un quotidiano. Ero impegnato in una delle prime trasferte della mia attività di cronista radiofonico. Il mio ruolo era principalmente trasportare la troupe con la mia Renault Nove, anche perché gli altri cronisti non erano automuniti. Durante la partita facevo qualche intervento di supporto al radiocronista principale (che quel giorno penso fosse Giampaolo Pelosi). Il mio commento piacque a un tizio tutto elegante, accompagnato da una fatalona che si stava palesemente spazientendo. Il tizio elegante mi mise in mano un biglietto da visita di Canale Cinque e trasalì quando lo speaker Giancarlo Mangini pubblicizzò l’accordo tra la FIBS (presidenza Beneck) e Rete Quattro (proprietà Mondadori). Poi mi disse se ero disponibile a dargli una mano, dettando l’articolo a Il Resto del Carlino. Accettai con entusiasmo e lui mi mise in mano 10.000 lire, andandosene con la fatalona.
Non avevo mai dettato un articolo a un giornale. Quindi il Carlino del giorno dopo scrisse del giovane Pochi (Fochi), dell’allenatore del Parma Iughi (Hughes), del terza base Uatanabi (Watanabe). Ma il tizio elegante si disse soddisfatto. Rintraccio il mio numero di casa e mi chiese di sostituirlo anche per la partita del giorno dopo. Non ho mai più collaborato con il Resto del Carlino.
Al Kennedy mi è anche successo di entrare pagando il biglietto. Ma non da spettatore. Doveva essere la stagione 1986 o 1987, comunque già presidenza Notari. All’ingresso si partì con un “non abbiamo ricevuto l’accredito”, motivazione subito smascherata dalla copia del telegramma, che con tutta evidenza era stato ricevuto. Si proseguì con un “per entrare ci vuole il permesso della SIAE”, altrettanto smascherato da un “no, guardi, è lei che deve pagare la quota di SIAE sul nostro accredito”. Fino a che si avvicinò un Sandro Cepparulo urlante. Che si rivelò essere colui che aveva bocciato il nostro (mio e di Gianluigi Calestani) accredito.
Pagammo il biglietto, commentammo la partita, andammo a mangiare una pizza con una tifosa bionda (ribattezzata Bionda Emilia) e la mamma e corteggiammo (a modo nostro, con quel misto di modo di fare a metà tra il boyscout e il chierichetto) la bionda in modo scoperto. Soprannominanno “occhi sbarrati, denti serrati” il cameriere, per come annuiva sorridendo alle nostre richieste, e passammo l’intera seconda partita a emulare i sui occhi sbarrati e denti serrati. Sarà stata la birra, o Bionda Emilia o il fatto che pagammo ancora per entrare. L’Amministrazione di Onda Emilia non ci ha mai rimborsati.
Sandro Cepparulo, parlandone da vivo, che riposi in pace, non mi era mica tanto simpatico. Ma credo che il sentimento fosse condiviso. L’ultima volta che l’ho visto, nella sede della Gazzetta dello Sport, aveva fatto fatica a salutarmi. Io ero lì in rappresentanza della FIBS e la cosa doveva essergli sembrata inaudita. Responsabile della Comunicazione FIBS quel ragazzino insolente che gli aveva scritto una lettera per smontare il modo in cui seguiva per la Gazzetta il campionato di baseball. Oltretutto, chiudendo la comunicazione con una (non tanto) velata minaccia: “la prossima lettera la scriverò al direttore”.
Cepparulo mi telefonò una domenica sera urlando. Ovviamente, non arretrai di un millimetro e gli rinfacciai anche i famosi biglietti pagati. Al che lui mi disse che aveva messo 15 milioni di tasca sua per permettere al Milano di fare il campionato. Gioco, partita, incontro.
Sempre parlandone da vivo, secondo me Cepparulo non è che di baseball si intendesse. Aveva scritto sulla Gazzetta dello Sport che Ken Spears era il miglior straniero del campionato. Dai, gli avevo detto io, non corre neanche bene. Aveva urlato abbastanza anche quella volta. Era il Mondiale del 1988 ed eravamo al Kennedy sulle tribune supplementari in zona esterno destro. Dove mi aveva confinato benché io avessi regolare accredito, vidimato da Dino Rossi, Segretario Generale FIBS, per conto dell’agenzia AREA. L’Italia giocò piuttosto male. Io feci il mio servizio quotidiano parlando di “umiliazione”. E questa volta gli urli li ricevetti da Aldo Notari in persona. Non furono i primi, non sarebbero stati gli ultimi.
Con Elia Pagnoni ero convinto di discutere un po’, a tavola. Ma stranamente, ci siamo trovati d’accordo su tutto. Sarà che stiamo invecchiando. Entrambi siamo stati avviati a scrivere di baseball da Giorgio Gandolfi e Tuttobaseball ed entrambi abbiamo un ottimo ricordo del Gandolfi giornalista (meno delle sue maniere, almeno io). Siamo entrambi d’accordo sul fatto che l’attuale campionato di baseball non abbia senso. E sul fatto che se non si trova il modo di avere un pubblico pagante, prima o poi si sparisce.
Ho in mano i primi 2 capitoli del film La storia di un sogno, che Elia Pagnoni ha realizzato con Gianluca Aiazzi. Un lavoro che mi fa dire che forse io ed Elia avremmo potuto collaborare di più e meglio. Ma chissà, magari si fa ancora in tempo.
Guida Baldhead-Antica Trattoria Lampugnano
Su segnalazione di Filippo Fantasia, che avrebbe dovuto essere il nostro secondo special guest ma non ce l’ha fatta a esserci, il pranzo del Nador Tour si è svolto presso l’Antica Trattoria Lampugnano di via Trenno, a poca distanza dallo stadio Meazza.
Leggo dal sito del ristorante che l’attuale via Trenno era una volta un centro rurale destinato alla raccolta del riso. La trattoria è l’unica cascina a ricordare cos’era la zona.
Il menu è tipicamente milanese, sostanzialmente impostato su piatti unici. Tale definirei la cotoletta alla milanese con osso che, come leggo dal sito GialloZafferano, si prepara con “tenera carne di vitello”, a differenza della viennese, “realizzata con carne di maiale”.
Questa cotoletta è alta e leggermente rosata all’interno. Lo chef Claudio Sadler dice che “il segreto sta nella doppia panatura” e in una “cottura in abbondante burro chiarificato”. Non è, insomma, il piatto più dietetico del mondo. Al nostro tavolo ne sono state ordinate 2 e hanno ricevuto commenti contraddittori.
Io mi sono invece dedicato a un altro classico: l’ossobuco con risotto alla milanese. Si tratta naturalmente di un piatto unico e dico subito che mi ha pienamente soddisfatto.
Per ossobuco si intende il taglio bovino detto cosciaginocchio, in pratica la tibia del vitello. In ogni fetta rimane l’osso, che contiene il midollo. La lunga cottura lo fa sciogliere e rende il piatto particolarmente gustoso. Quando l’ho finito, ero vicino alla lisciata di testa, considerando anche l’eccellente Barbera fermo, che sinceramente non avevo mai assaggiato. Il mio giudizio finale sul pranzo risente però degli antipasti abbastanza deludenti. Le verdure pastellate erano anonime, il fiore di zucca direi anche scarso. Di mozzarella di bufala ne ho mangiata di migliore.
Il servizio è cordiale, magari non coordinatissimo.
4 teste pelate
4 bacche di prunolo
Nota: le teste pelate (da 1 a 5) si riferiscono alla cucina, le bacchie di prunolo (sempre da 1 a 5) al servizio.
La Garganta del Pato
Avremmo voluto inserire un nuovo parametro, che serve a giudicare il carrello dei dolci: il salto di merenda. I dolci migliori, insomma, indurranno il salto di merenda. Ma un Pato convalescente non ha ordinato il dolce. E io mi sono dedicati a un tris di sorbetti molto soddisfacente ma certo non in grado di indurre un salto di merenda.