Svegliandomi questa mattina ho scoperto da Japan News (pagine in Inglese dello Yomiuri Shimbun) che in Giappone l’arrivo dell’inverno è segnalato dal ritorno dei cigni al lago Inawashiro, nella Prefettura di Fukushima. Ce ne sono circa 500. Stando a Ken Kitami, dell’Associazione di Conservazione della Natura del lago, sono in anticipo di una settimana e per febbraio ce ne saranno circa 3.000. Vengono a svernare dalla Siberia.
Certo che 3.000 cigni sono tanti. Nel laghetto del Parco Ducale di Parma ricordo che ce n’erano 2: uno bianco e uno nero. Ma poi sono morti e non mi risulta che siano stati rimpiazzati. Quando morì Pippo (quello nero) lo scrisse anche l’ANSA.
Ho avuto un ottimo rapporto con i cigni fino ai 18 anni, quando in un laghetto della zona di Karlastad in Svezia disturbai una femmina con i suoi pulcini (che, come noto, sono piuttosto brutti e poi si trasformano nell’elegante anatide che ben conosciamo), che reagì emettendo una specie di soffio e aprendo le ali.
Non mi piacciono poi molto, i cigni.
Oggi è una giornata bigia a Tokyo. Ma la temperatura non è fredda (tipo 16 gradi; a Sapporo, ad esempio, la minima è già vicina allo zero)
Mi piacerebbe dialogare con un po’ di tifosi per sapere come hanno preso la batosta di ieri sera. In Italia un manager che inizia il nono inning della semifinale di un torneo come il Premier12 (che non è propriamente un Mondiale, visto che il titolo di Campione del Mondo lo assegna il World Baseball Classic, ma ha rilevanza mondiale) in vantaggio 3-0 e perde 4-3 e poi dichiara che non ha sostituito il rilievo che stava prendendo i legni perchè aveva “un piano”, non solo lo licenziano, ma non gli danno neanche la tessera per tornare a vedere le partite.
Ora, è possibile che la doppia traduzione (Kokubo, il manager dei Samurai, parla solo in Giapponese e a me le sue parole sono state tradotte in Inglese) abbia un po’ snaturato il suo pensiero, ma a me Kokubo non convince neanche un po’. Capisco anche come allenare una squadra come i Samurai non sia facile (sono tutte stelle strapagate, quindi mi immagino i limiti che chi li paga pone sul loro utilizzo e, diciamolo, anche i loro capricci), ma secondo me un allenatore che ottiene che la squadra abbia un atteggiamento professionale ma adatto pià a una esibizione che a una battaglia (sportiva, lo recita lo slogan del Premier12) ha sbagliato qualcosa.
La sfinge In Sik Kim, manager della Corea, non è chiaro se sia serio o ti prenda in giro, quando parla. Sempre per quel che mi traducono, perchè anche il quasi settantenne Kim si esprime solo in Coreano. Però come manager mi convince. In questo senso: la squadra è la traduzione in pratica della sua filosofia di gioco. Invece i Samurai, bellissimi da vedere e tecnicamente inapputanbili, una filosofia di gioco non ce l’hanno.
E’ sempre stato così quando hanno mandato una selezione interamente composta da giocatori NPB: al Mondiale 2001 (persero la finale per il terzo posto con Taiwan), al Mondiale 2003 (persero la finale per il terzo posto con Panama), soprattutto alle Olimpiadi del 2004 di Atene, quando vennero eliminati in semifinale dall’Australia (persero 1-0) nonostante Dice-K Matsuzaka in pedana.
Rinforzati, penso soprattutto nella mentalità, dai giapponesi sotto contratto con le Franchigie MLB hanno invece vinto invece 2 Classic consecutivi.
L’organizzazione del Tokyo Dome è qualcosa di incredibile. Parlo di quel che succede sugli spalti, dove tutto funziona come un orologio svizzero e le code sono limitate al minimo anche con 40.000 persone sugli spalti come giovedì sera.
E’ ovvio che è anche merito dell’educazione del pubblico, che è talmente cristallina che mi porta (come frequentatore di stadi italiani di tutti gli sport da una vita) a riflettere non poco e a vergognarmi anche il giusto.
Il giapponese medio è letteralmente terrorizzato dall’idea di ostruirvi la visuale. Quindi vedete la gente che si alza durante il gioco ingobbirsi e sgusciare via a passetti piccoli e rapidi.
Lo stesso fanno le venditrici di bevande: diversi tipi di birra (ce n’è una che servono sostanzialmente ghiacciata), la Coca Cola e la Pepsi. Sono ragazze piuttosto graziose e abbigliate secondo il tema scolaretta birbante che qui funziona parecchio. Segnalano la loro presenza alzando la mano e voi, per attirarle, dovete a vostra volta alzare la mano. Quando arrivano a servirvi (riepmpiono il bicchiere da uno zainetto/dispenser piuttosto ingegnoso) si inginocchiano. Appunto per non ostruire la visuale di chi sta loro di fronte.
La pulizia del Tokyo Dome è quasi offensiva. I bagni appaiono in condizioni perfette all’ottavo inning, quando mi decido a seguire il richiamo della natura che le bevande di cui sopra hanno acuito. E questo nonostante le persone entrino ed escano a decine, ovviamente arrivando ai vespasiani in ordinatissime file nelle quali nessuno passa davanti a nessuno. Come se non bastasse, un paio di volte a partita un’addetta passa con un sacco dei rifiuti, non si sa mai che qualcuno si scordi qualcosa vicino al posto che occupava.
Nel settore stampa non posso dire che le cose funzionino così bene, ma facilmente è perchè sconto i miei limiti a comunicare. Essendo la partita Giappone-Corea, la mia presenza è ritenuta quanto meno superflua e nessuno mi si fila (non è che negli stadi MLB sia molto diverso, sia chiaro…). Mi devo muovere così a tentoni e tutto va bene finchè devo raggiungere la tribuna stampa (il percorso è segnalato per terra) e chiedere i line up e la password per la connessione internet (ho individuato un tizio della NPB che avevo conosciuto a marzo; non ho idea del suo ruolo ma, seppur con un malcelato fastidio, mi risponde). Ma quando si tratta di raccogliere dichiarazioni a fine partita è un disastro. Apparentemente, sono l’unico che non sa il Giapponese e/o il Coreano e sono arrivato troppo tardi per avere il macchinino per la traduzione simultanea.
Per paradosso, mi trovo a pochi centimetri da Otani (il partente giapponese), ma non capisco nemmeno una parola di quello che dice in una lunghissima intervista concessa a una televisione non meglio identificata.
Il peggio del peggio succede quando provo a rientrare all’hotel dal tunnel che porta dal campo al seminterrato dell’albergo. Il percorso è infatti riservato ai Samurai ed essendo io invece un comune mortale devo tornare indietro e uscire dai cancelli dello stadio. Il che, sembra facile a dirsi. La strada che porta al tunnel è diventata la mixed zone per le interviste, colonizzata da diverse decine di giornalisti coreani che si scambiano commenti entusiastici ad alta voce (almeno, da quel che si arguisce dal tono) e che fanno blocco come una squadra di basket, temendo che io voglia appropriarmi di una posizione migliore della loro.
A fine giornata, ormai notte inoltrata, mi concedo un Big Mac nel Mac Donald’s aperto 24 ore che si trova dall’altra parte della strada.
E’ incredibile l’umanità che staziona in solitudine ben oltre il tempo necessario per consumare il pasto. C’è chi giochicchia con lo smartphone, chi proprio si abbiocca e c’è anche un gruppo di ragazze cinquettanti manco fosse mezzogiorno.
Mi piacerebbe tanto chiedere cosa ci fanno lì nel cuore della notte. Ma ho già il mio da fare a spiegare all’addetto che mi serve che voglio una confezione di ketchup e nessuna delle altre salse orrende che mi sta offrendo.