Da Taiwan al Giappone

Premier12 2015

Questa mattina quando sono salito sull’aereo che da Taipei mi doveva portare a Tokyo, per la prima volta non mi è dispiaciuto lasciare Taiwan. E’ la sesta volta che visito l’isola, la prima risale al 2001 (fu un’esperienza incredibile, molto formativa; l’ho detto e scritto in tutte le salse…) e l’ultima risaliva al 2013 (venni solo per dovere, per la prima volta viaggiando in business class). Ma mai come questa volta mi sono sentito un po’ un intruso. E non è una bella sensazione. Ho trovato tutto difficile e faticoso e immagino che tutto questo abbia a che fare con il tempo che passa, la passione che cala, la tranquillizzante vita di tutti i giorni che mi manca clamorosamente.
Ma sono io sul serio, che sto scrivendo queste cose?

L'insegna della pizzeria "La Pala" a Taichung
L’insegna della pizzeria “La Pala” a Taichung

Nell’ultimo giorno a Taiwan sono anche andato a mangiare una pizza. Non molto tempo fa, mi sarei insultato per questo. Che bisogno c’è, di andare a mangiare una pizza a Taiwan? Tra una settimana scarsa a Parma potrai mangiare tutte le pizze che vuoi. Ma la questione è che avevo bisogno di sentirmi un po’ a casa.
Così sono entrato alla pizzeria La Pala, dove fanno un gran vantarsi di aver seguito corsi su come si fa una pizza a Napoli (tanto di diplomi esposti). E il risultato finale è che la pizza, cotta nel forno a legna, è davvero una pizza napoletana. Forse l’impasto è leggermente insipido, però è una pizza che si potrebbe tranquillamente mangiare in Italia uscendo soddisfatti. E pagando anche lo stesso prezzo, il che è un po’ il limite de La pala.
Il personale si perde a spiegarvi che “nel Tiramisu c’è il Mascarpone, non so se sapete cos’è” e “questo è Limoncello….il limone è un frutto simile al lime”.
Gli sguardi con occhio sbarrato mio e del fotografo Ezio Ratti hanno fatto fare mente locale alla ragazza che ci serviva, che a un certo punto ha buttato lì: “Ma voi, per caso venite dall’Italia?”.
La Pala, era pranzo. Mi sono congedato da Ratti lasciandolo in ostaggio nel ristorante dove abbiamo cenato, perchè il conto (poco meno di 2.000 dollari taiwanes, quindi 55 ragionevoli euro) ha superato le mie aspettative e avevo tenuto poca valuta locale, per il mio solito tentativo (che non mi riesce mai) di spendere fino all’ultimo centesimo.
Il conto si è alzato perchè io ho preso un controfiletto (per altro, strepitoso) che era il piatto più caro del menu e Ratti ha ordinato un mostro di calamaro gigante che sembrava Alien di Ridley Scott. Sfortunatamente, sia io che lui avevamo il telefono scarico, quindi non abbiamo potuto documentare quella sorta di mutazione genetica.
Non ho capito se eravamo in un ristorante cinese o giapponese. Ma tanto, fanno tutto a pezzettini sia gli uni che gli altri.

La visuale dalla mia stanza a Tokyo
La visuale dalla mia stanza a Tokyo

A proposito di ristoranti giapponesi, la mia prima cena a Tokyo è stata disastrosa. Prima ho provato (codardo…) a entrare da T.G.I Friday, ma sono stato respinto perchè non avevo prenotato. Manco fosse l’Osteria Francescana a Modena.
Allora sono entrato in un pessimo posto che serviva noodles (e mi ha impuzzolentito tutti i vestiti) e non sono riuscito a ordinare i noodles. Bensì un brodo con dentro uovo, carne dall’aspetto malsano (o comunque, ipercotta) e riso. Il pastone mi è anche piaciuto, vi dirò. Ma certo con un vocabolario che comprende solo “arigato” (grazie) vado poco lontano. Almeno in Cinese riesco a dire anche “ni hao” (ovvero ciao).
La frustrazione si è fatta massima quando sono entrato in un supermercato per cercare una merendina (risolleva l’umore imprevedibilmente, un twix o un kinder cereali) e non l’ho trovata.

La mia camera all’hotel del Tokyo Dome, oltre che offrire una spettacolare vista proprio sul Big Egg e oltre a essere dotata della solita diavoleria del water con bidet incorporato, mette a disposizione un libro con una selezione di temi portanti del Buddhismo. E’ forse la lettura che mi ci vuole.