C’è una storiella che circola tra i sub: quando ci si immerge su un relitto, il primo che arriva si entusiasma, solleva un sacco di sabbia e tutti gli altri non vedono nulla. Come dire: quando ci si immerge su un relitto bisogna prestare attenzione. Anche alle esigenze di chi abbiamo dietro
Mentre cercavo di evitare le botte terrificanti che mi arrivavano ai lombi a ogni onda, provavo anche a ricordare le mie immersioni sui relitti. Quella che mi ha certificato come subacqueo advanced (1999 alle Maldive) mi aveva visto entrare in un piccolo relitto. Ma in tutte le altre avevo solo girato attorno alla nave affondata. Così, quando mi sono ritrovato all’interno della Heian Maru (in Giapponese Maru significa nave) al buio, mi sono sentito un po’ smarrito. E’ inquietante ritrovarsi al buio a 27 metri sotto il livello del mare, specie se si pensa al fatto che si è in assenza di gravità e in uno spazio certamente ristretto. E’ una sensazione che è durata poco, perché la guida Meckenzie ha illuminato con la torcia e lo scenario è cambiato radicalmente. Ma ho fatto in tempo a cercare istintivamente di aggrapparmi (scelta imprudente), ed è andata a finire che ho perso la fede, che evidentemente era un po’ lenta all’anulare sinistro. La cosa mi ha lasciato ancora più smarrito: dal 29 giugno del 1991 non ricordo un giorno interno passato senza la fede nuziale al dito.
La Heian è adagiata su un fianco. L’immersione inizia a 10 metri, con una visibilità eccezionale che permette di leggere perfettamente la scritta con il nome, in Inglese e Giapponese.
Quando fu varata (1929) la Heian era una nave passeggeri e da carico, ma è stata convertita in una nave appoggio per sottomarini e quindi armata. Durante l’immersione le bocche da fuoco si distinguono piuttosto bene. E’ stata affondata dai siluri della Yorktown, che l’hanno colpita nella zona motori.
A 27 metri di profondità mi risulta agghiacciante entrare in contatto con gli oggetti che servivano alla vita di tutti i giorni dell’equipaggio. Penso ai 18 marinai che sono morti prima che il Capitano Tamaki potesse dare l’ordine di abbandonare la nave quando vedo un telefono, il cui modello mi fa ricordare che i fatti si sono svolti nel 1944.
Girando attorno al relitto non si capisce nemmeno più che si tratta di una nave. Il mare ha preso il sopravvento: gorgonie, anemoni, spugne. Leggo sul mio diario: “Una cosa davvero difficile da dimenticare”.
La prima immersione della giornata era stata sulla Sankisan Maru, un vascello molto più recente. Era stata varata nel 1942 in gran segreto, tanto che in Dive Truk Lagoon Rod Mac Donald scrive che non c’è traccia della Sankisan Maru, nel censimento che l’Intelligence americana aveva fatto delle navi giapponesi in servizio a Truk. La Sankisan era essenzialmente una nave da trasporto, grande un quarto della Heian. Nello specifico, nei giorni dell’operazione Hailstone trasportava armi e munizioni e quando fu affondata (non è chiaro se a causa di un attacco aereo o di un siluro), le munizioni esplosero. Quindi, quando si arriva in immersione sulla Sankisan, non si può che notare che è “rotta” (tratto dai miei appunti). Si distinguono però bene l’albero maestro e diverse delle cartucce da mitragliatrice che la Sankisan trasportava. Vicino alla Sankisan transita una razza maculata. Risulterà essere l’avvistamento di vita marina più esotico di tutta la permanenza.
Quella sulla Fujikawa Maru è l’immersione must della Laguna di Truk. Nata come nave passeggeri nel 1938, fu requisita dalla Marina Imperiale nel 1940 e adattata come trasporto ausiliario di aerei. Era armata, addirittura dotata di un sistema anti mine magnetiche.
Si parte dal ponte principale a 18 metri e si scende fino ai a 34 metri della stiva per fare un vero e proprio viaggio nel tempo. Nel relitto si trova di tutto, incluse diverse bottiglie di Sake. Il reperto più spettacolare è una carlinga di aereo. Ma si riconoscono anche il cannone con cui la nave era armata (per quanto sia completamente ricoperto di corallo) e i fusti che contenevano le scorte d’acqua. Mi fa una certa impressione riconoscere una maschera antigas, rimasta appesa per tutti questi anni alla sua rastrelliera.
Benché sia un’immersione piuttosto tecnica, vista la profondità e visto che ci si addentra nella stiva, mi trovo con un assetto molto soddisfacente: ho tolto 3 libre, quindi ho addosso meno di 7 chili (che per il mio peso corporeo, sono abbastanza pochi) e mi muovo molto liberamente. Si capisce anche dal consumo d’aria, che limito al minimo. Posso rimanere ad ammirare il relitto e la vita marina per quasi 50 minuti, contro i 35 previsti da Mackenzie.
La discesa per l’immersione sulla Kensho Maru fa un po’ impressione, perché c’è molta sospensione e sembra di galleggiare nel lattice. Mentre scendiamo si avvicina, ma mai abbastanza da consentirmi di fotografarla, una manta enorme. La Kensho era un’altra nave passeggeri e cargo varata sul finire degli anni ’30 ed era stata requisita dalla Marina Imperiale per farne una nave da trasporto. Era all’ancora e in fase di manutenzione quando è stata colpita da un siluro e poi affondata dalle bombe lanciate via aria. Il punto in cui il siluro ha colpito la nave si distingue chiaramente. Per essere sicuro che non ce lo perdiamo, Mackenzie mima un’esplosione. E’ efficace, anche se sott’acqua riprodurre il bang è piuttosto difficile.
L’immersione si svolge su 2 livelli: prima la sala dei motori e poi quella di pilotaggio. Quando mi segnalano di infilarmi dentro la nave ho un momento di panico. Non vedo nulla e decido di tornare sui miei passi per aspettare la guida che chiude la fila (siamo in 7 in questa immersione). A gesti la seconda guida mi spiega il percorso da seguire e mi addentro, anche se per tutta la durata dell’attraversamento di un cunicolo il mio cervello esamina le varie possibilità di salvezza nel caso rimanessi incastrato. Passare a fianco a quel che resta degli oblo crea non poca angoscia. Uscito sul ponte, quando vedo il sole spuntare da un’apertura del relitto, mi rilasso e mi godo la passeggiata. A 30 metri di profondità ci sono diversi predatori, ma la visibilità non è sufficientemente buona per le foto ricordo.
Quando è il momento di riemergere, devo ammettere che mi dispiace.
L’immersione più profonda è quella alla Nippo Maru. Si parte da 27 metri e si arriva fino a 45. Mackenzie è molto chiaro: giù diretti e si risale tutti quando lo dico io. Tutti assieme.
La visibilità è molto buona e durante la discesa si ha un’idea piuttosto chiara della nave nel suo complesso. Varata nel 1936, la Nippo era una nave passeggeri e cargo. La Marina la usava per trasportare merci e, nello specifico del suo viaggio a Truk, personale civile e militare della base e forniture di guerra. Riuscì ad arrivare a Truk nonostante le navi da guerra che fungevano da scorta fossero state affondate. Mentre era all’ancora, venne ripetutamente colpita e affondata. Il relitto è parte dell’ambiente marino, quindi gli oggetti più piccoli (tipo le pistole) non sono tanto facili da distinguere. Però l’immersione resta uno spettacolo. Il pezzo forte è un cingolato, del quale si distingue perfettamente la linea. Si riconosce anche un cannone per la difesa ed è ben riconoscibile la sala del timone. Anche qui si vedono maschere antigas.
La Yamagiri Maru era nata come nave da trasporto ausiliario nel 1937, per poi essere requisita dalla Marina Imperiale nel 1941. L’hanno affondata le bombe degli aerei, una addirittura l’ha colpita sul ponte. Ed è dalla falla che si entra nel relitto a 15 metri di profondità. Mackenzie ci porta nella sala motori, che è buia. Mi muovo però con sicurezza, anche troppa, visto che non manco di dare una craniata da qualche parte. Non capisco cosa ho colpito, ma per fortuna non si tratta di nulla di acuminato. La sala dei motori è intatta, ma per vedere serve la pila. Mackenzie illumina i poveri resti di un marinaio: si vedono il teschio e alcune ossa. Negli anni ’80 e ’90 i giapponesi hanno recuperato tutti i resti umani, per dare alle vittime una degna sepoltura. Ma qualcosa evidentemente non sono riusciti a portare in superficie.
Per arrivare al ponte principale nuotiamo lungo i tunnel di ventilazione (incredibilmente intatti) e poi risaliamo lentamente verso la barca. Mi perdo completamente ammirando lo spettacolo di coralli soffici, anemoni e spugne. Scatto talmente tante foto da scaricare la batteria della macchina fotografica.
Per completare il riassunto delle immersioni a Truk mancano gli aerei. E’ il tema del prossimo articolo.
Tornando alla mia fede, persa sulla Heian Maru: con un gesto che trovo significativo, con mia moglie abbiamo deciso di abbandonare sullo stesso relitto anche la sua.
11-CONTINUA
1-INIZIO DALLA FINE 2-MOMPRACEM NON E’ POI COSI’ VICINA
3-LA VISITA DI KUALA LUMPUR 4-SUMATRA, DOVE MORI’ NINO BIXIO
5-L’INCONTRO CON L’ORANGO 6-IL BAGNO DEGLI ELEFANTI
7-LE FILIPPINE 8-GUAM E I “SOLDATI FANTASMA” GIAPPONESI
9-NIENTE SQUALI A TRUK 10-PERCHE’ TRUK HA LE MIGLIOR IMMERSIONI SUI RELITTI