Credo che non sarei mai venuto in Giappone, se non fossi stato obbligato dal lavoro. Ho infatti una clamorosa idiosincrasia verso i paesi dove non mi capiscono. E in questa prima giornata nipponica, non è che sia diminuita. Chissà cosa mi dicono, le commesse dei negozi (cosa compro? bevande orribili come succedanei dell’acqua frizzate, che qui deve essere stata bandita) in tutta la recita che fanno tra quando mi presento davanti a loro a quando, dopo aver finalmente capito cosa devi pagare sbirciando la cassa, me ne vado. Il bancomat almeno dice arigato (cioè “grazie”). E prima di pensare che un bancomat che dice arigato sia anormale, ricordiamoci che i caselli automatici delle nostre autostrade augurano buon viaggio.
L’aeroporto di Narita a Tokyo è in mezzo al niente. Così per arrivare a Tokyo propriamente detta, o si pagano tipo 150 euro di taxi o si prende un autobus che passa ogni ora o si opta per il comodo Skyliner, un treno super veloce. Che però ha il trucco: ti deposita a una stazione che si chiama Nippori e che è presa d’assalto da un numero imprecisato di uomini in giacca e cravatta (quasi tutti in blu) e ragazze con le gambe tendenzialmente storte e che camminano a passettini piccolissimi, come se avessero scarpe di un paio di numeri troppo piccole. La larga maggioranza indossa mascherine bianche, tipo quelle che ti obbligano a usare a volte in ospedale: inquietante.
Io poi, rispetto alla media, sono gigantesco. Quindi mi guardano veramente tutti. La sensazione non è così clamorosa come a Taiwan, ma dopo un viaggio di una ventina di ore complessive, può essere fastidiosa.
La stazione di Shinagawa ricorda abbastanza quelle di Londra o Parigi: il fatto che ci arrivino i treni, è un dettaglio. In verità è praticamente un centro commerciale. Lì vicino c’è l’albergo dove sono alloggiato: Grand Prince New Takanawa. Che non è facile da trovare, perchè ci sono ad un passo anche il Grand Prince Takanawa propriamente detto e il Prince (semplice…). Che è dove vado, solo per documentare l’imbarazzo della ragazza della reception, quando mi spiega che non ho una prenotazione.
Andando nell’albergo giusto, ho messo chiaramente tutto a posto.
Leggo che siamo in una zona molto importante di Tokyo: uno dei 23 quartieri speciali. So che una delle fermate del treno era proprio “Tokyo”. Che immagino sia il centro. Qui siamo a sud.
Chissà se riuscirò a vedere qualcosa delle attrazioni di Tokyo. Per il momento, mi sono aggirato per la zona della stazione, che almeno non posso perdermi. Non vedo gente a passeggio. Sono tutti di corsa, con una destinazione.
Dentro l’albergo invece sono tutti servizievoli oltre misura. Fanno l’inchino per qualsiasi cosa e io sono quasi infastidito al riguardo; non sono convinto di dover rispondere con l’inchino, perchè se abbozzi un inchino, loro ne fanno un altro. E si rischia veramente di non finire più.
Rispetto ai cinesi, i giapponesi hanno un alfabeto alternativo agli ideogrammi e quindi il giapponese si può scrivere anche in lettere comprensibili. La fonetica non è dissimile dall’Italiano (accenti a parte) e quindi, se si ripete qualcosa a pappagallo, c’è anche la speranza di essere capiti. Quando parlano loro, meno. Contrariamente a ogni aspettativa, pronunciano le “r” colme “l”, proprio come nei film. E quindi, si finisce con il non capire nulla, il più delle volte.
Ho nel bagno della camera un water che ha la possibilità di scaldare la sedietta (un cartello sconsiglia di attivare il meccanismo per bambini o anziani) e che ha un sistema di bidet incorporato.
E’ inutile forse dirlo, ma non sono l’unico che lo ha fotografato.
Spero di scrivere ancora qualcosa sul Giappone, anche se credo che il Paese e la sua storia meritino visitatori più attenti di me. Dal settimo secolo, quando si delineò la dinastia imperiale, al Giappone bellicoso dell’inizio del ventesimo secolo è successo di tutto. E meriterebbe la pena di provare a capirlo con più calma.
Quando sul display di un bancomat italiano comparve la scritta “Oggi è un giorno importante per te, la tua banca ti augura buon compleanno”, mi sentii sotto l’occhio del Grande Fratello. Gran brutta impressione.
l’articolo non mi è piaciuto
Me ne farò una ragione…
Caro Riccardo, in Corea anche noi avevamo quel tipo di water che di notte, tra l’altro, emetteva una simpatica luce blu per non rischiare di mancarlo… Dove te le mando le foto? se ti vuoi divertire chiedi loro di pronunciare lo scioglilingua trentatretrentinitransitaronointrentotuttietrentetretrotterellando. Quando avranno finito sarà ora di tornare in Italia. Buon lavoro!
Già con ‘bread’ fanno la loro bella fatica…vuoi dire che avevi un modello di water più tecnologico del mio???? Voglio assolutamente la foto!