Diari del 2002: una calda estate

SCHIROPENSIERO

Mi rivedo nel 2002, mentre mi metto al computer per scrivere il Diario che sarebbe stato pubblicato da Baseball.it il 1° luglio. Mi rivedo convinto di poter innescare una rivoluzione nel nostro sport. Ingenuo? Probabilmente sì….

1 luglio-Riflessioni

Lampedusa nel 2002 era nota solo per le sue bellezze naturali
Lampedusa nel 2002 era nota solo per le sue bellezze naturali

Sono stato assente una settimana. In ferie e, non si preoccupino i dietrologi paranoici di cui il nostro mondo é pieno, ho pagato io, non la Federazione, nemmeno Baseball.it.
E’ stata una settimana magnifica, in una amena isola di nome Lampedusa, bellezza italica che non ha nulla da invidiare ai Caraibi. Neanche qui sono stato sovvenzionato dalla Regione Sicilia, paranoici state calmi…. Prima di partire ho, per la cronaca, ricevuto un simpatico imprimatur dei Vertici Federali: “Spero tu venga pizzicato da una medusa”.
Non é successo. In compenso, il sole e il mare mi hanno aiutato a riflettere, assieme all’assenza di troppi contatti non dico con il Continente, ma anche con la più vicina Sicilia.
Ho riflettuto e ho visto: un baseball italiano che mi lascia perplesso. A dire poco, perplesso.
Tecnicamente, l’Olanda ci spalma su un panino e ci mangia. Da anni, ormai. E l’Olanda gioca con squadre composte da giocatori di scuola olandese in larga parte. Cosa che i nostri tulipani producono in misura massiccia nonostante la presenza degli antillani, i loro oriundi.
Sapete cosa succede in Olanda, che qui non succede? Che si lavora per sviluppare i giocatori.
Gli olandesi son più bravi di noi, c’é poco da fare. Se no non si spiega come fanno a batterci. La loro base di partenza é circa un settimo della nostra e da loro il calcio e la pallavolo rubano atleti tanto come da noi. La differenza é proprio data da come si lavora per il baseball.
Da noi ho notato, girando per l’Italia, che si stanno creando 3 preoccupanti corporazioni: i tecnici, i giocatori e i dirigenti. Se ci fossero giornalisti che si occupano di baseball, forse ci sarebbe anche la quarta, ma per il momento siamo troppo pochi.
I giocatori si suddividono in oriundi e italiani, con gli italiani preoccupati del fatto che gli oriundi rubano il posto. Ad accomunare spesso tutti i giocatori é la (poco) simpatica abitudine di sputare nel piatto dove mangiano (il baseball italiano). L’oriundo standard lamenta “Ah, se fossi rimasto a giocare in Independent League“; l’italiano piange le estati e le ferie che perde per giocare. Sarà, ma l’unica differenziazione che io sono abituato a fare trai giocatori é: giocatore buono e giocatore meno buono.
I tecnici si dividono in quelli che lavorano, quelli che lavorano e parlano (forse troppo) e quelli che non lavorano e parlano (sicuramente troppo). Una cosa non capisco dei tecnici: perché ce l’hanno con i pochi di loro che fanno di mestiere gli allenatori. Io ammiro chi dedica tutto il suo tempo libero al baseball (io non lo farei, lo ammetto), ma non farei nemmeno un vanto di questo fatto. Io sogno un mondo in cui gli allenatori sono professionisti, almeno al massimo livello. Come si può sperare di far crescere buoni giocatori se non si ha al loro fianco personale preparato, che conosce le tecniche per sviluppare il talento? A parte il fatto che il talento ci deve essere e, anche qui, serve gente preparata per scoprirlo. Noi in Italia abbiamo i peggiori esterni del mondo. Anche perché siamo il paese del bambino grasso all’esterno destro, perché gli atleti potenzialmente decenti li dobbiamo mettere interbase e lanciatore, perché se non vinciamo la fase provinciale del campionato Ragazzi lo sponsor ci dà 3 salami in meno. Sviluppare giocatori? A chi importa?
I dirigenti si dividono in dirigenti/genitori e dirigenti/dirigenti. Io preferisco i secondi, perché la protezione del virgulto spesso fa fare e dire cose sconvenienti. Lo capisco, sia chiaro. Io non ho figli, ma sto segretamente allenando mio nipote di 4 anni, nella speranza che arrivi dove io sono giunto solo da…spettatore. Però, un bel dirigente che fa il dirigente per passione dello sport mi piace di più. Non é che si debba fare tutto per un tornaconto, nella vita.
Gli olandesi fanno tutto per un tornaconto. Ma almeno lo dicono. Anche loro hanno i dirigenti/genitori, ma li mettono nelle condizioni di non nuocere. E, siamo sempre lì, sviluppano buoni giocatori. Insomma, lo devo dire: forse l’unica cosa che ci resta da fare é copiare il loro modello. Provocatorio? Certo che sì!
Sull’argomento ho riflettuto abbastanza. Comunque, chiunque ha qualcosa da dirmi non ha che da scrivermi. Dibattiamo, discutiamo, confrontiamoci: non siamo (o almeno non siamo più) la Bulgaria dello sport italiano.
A proposito di itinerare, prima di assentarmi ho seguito la nazionale a Piacenza. Anzi, le nazionali. Stadio pieno, Inno italiano ascoltato tutti in piedi commossi, gadget azzurri in vendita: ma era proprio baseball?
Non é passato troppo tempo da quando le esibizioni amichevoli delle nazionali erano segrete. Ma, grazie al cielo, quell’epoca é proprio finita.

Riporto uno stralcio piuttosto significativo del Diario dell’8 luglio

Cristopher Ralph, autore di "City of Baseball"
Cristopher Ralph, autore di “City of Baseball”

A Modena ho incontrato finalmente 2 cineasti americani che stanno realizzando un documentario sul baseball italiano (è uscito e si intitola City of Baseball). Pur lusingandomi, il fatto che abbiano iniziato dedicando un capitolo al sottoscritto è un po’ esagerato. Già c’è un lanciatore italiano precedentemente residente all’estero, che entra nei forum usando come soprannome il cognome di un celebre lanciatore dei Dodgers dei tempi d’oro (amico, e credi che io non ti abbia beccato?), che mi vende negli USA come una sorta di primo Hemingway. Io sono megalomane, lo so, ma non arrivo a tanto.
Tornando ai nostri cineasti, con i quali mi sono intrattenuto davanti alla classica pizza del dopo partita, devo ammettere che li ho visti un attimo sconcertati rispetto a come funzionano le cose qui da noi. Però sono contenti di essere qui. Incontrare gente come loro fa bene. Pensate che hanno investito i loro risparmi nel progetto, sono qui per passione e mi hanno detto che se non guadagneranno almeno avranno fatto per mesi quel che gli piaceva fare. Rispondetemi: cosa c’è di meglio nella vita?
I cineasti mi hanno anche chiesto: “Ma è normale che i manager entrino da pinch hitter, qui da voi?”
Non potevo esimermi dal commentare l’ingresso in campo di Pantera Bagialemani, perchè lo vedevo già qualche mio amico del forum trovare dietro una mancata citazione la ragione per cui gli Stati Uniti non sono ancora riusciti a catturare Osama Bin Laden.
Non potevo esimermi, ma cosa posso dire? Nel dopo partita Bagialemani mi ha dichiarato: “Non avevo nessuno, ho 7 infortunati. Ci ho provato e mi è andata male”. L’appunto che ho già sentito fare a questo ingresso in campo è un altro: si era detto che la sua carriera da giocatore era finita e invece? Invece, evidentemente, no.
Concludendo: io al posto di Ruggero non sarei mai entrato, ma credo che la valutazione su questo tipo di scelta spetti solo a Bagialemani, che a livello normativo ha tutte le ragioni. A livello di opportunità, forse, le cose stanno in maniera diversa. Ma mi fermo qui.

Del Diario del 16 luglio riportiamo solo un episodio. Nel quale ai protagonisti farà piacere ritrovarsi

Che fosse un fine settimana strano è stato definitivamente chiaro domenica pomeriggio.
Stavo amabilmente pranzando in un locale della periferia sud della mia città assieme al titolare dell’agenzia fotografica Oldman Pictures, le nostre consorti e un interbase di Serie A2 quando un esterno centro e lanciatore (sempre di Serie A2) ha chiamato da un’area di servizio vicina a Parma per dire che la macchina gli era esplosa. Visto che il suo italiano non è impeccabile, ho immaginato che non fosse accaduto alcun dramma. Erano le 14 e noi avevamo in tavola i primi.
Reazione: “Ah, sei a piedi? Hai pensato al treno” e via a ridere (l’alcol circolava). Poi, impietositi: “Non ti preoccupare, finiamo di mangiare e veniamo noi…quando? Tra poco”.
Alle 15.40, alla terza telefonata e ai primi insulti, ci siamo schiodati e portati all’area di servizio, penetrando da un ingresso che i nottambuli utilizzano per il cappuccino e la brioche del dopo discoteca. Notevoli sono apparse le scuse del nostro fotografo con la propria signora per giustificare il fatto che conoscesse quell’ingresso. La macchina non era esplosa. Ma non sarebbe neanche ripartita senza l’intervento di un meccanico, che per abbandonare a sua volta il desco domenicale ha chiesto 120 euro solo per il disturbo.
Naturalmente gli abbiamo detto di bere pure il caffè con calma e aggiustare l’auto lunedì. E l’esterno centro di A2? E’ andato dove doveva andare in treno, ovvio. Morale della giornata? Il baseball ti salva sempre, quando non sai cosa fare.

L’agosto del 2002 è un periodo importante. Al seguito della nazionale Under 18 al Mondiale, Matteo Gandini (che successivamente entrerà a far parte della redazione di Sportitalia) sarà autore della prima imitazione ufficiale del Diario. Ne seguiranno molte altre. Ora: io sono convinto di essere stato un capostipite dei blog e forse in questo la mia megalomania sta tracimando, però quel che non mi è piaciuto dei vari simil Diari che ho letto nel corso degli anni è che nessuno degli autori ha effettivamente capito il mio spirito. Per essere chiari, io non volevo fare una rubrica comica e paradossale, nemmeno una guida ai ristoranti. Volevo mettere nero su bianco i miei stati d’animo durante l’itinerare. Per spiegare le mie motivazioni e aiutare i lettori a contestualizzare gli eventi sportivi che raccontavo in altre parti del sito.
Nell’agosto del 2002 mi accorsi di un altro dei problemi del Diario: qualcuno lo prendeva troppo sul serio e in Sicilia, durante il Mondiale Universitario, mi sentii talmente tenuto sotto controllo dal finire con lo scrivere con il freno a mano tirato.
Per questo di quei Diari riporto qui solo un estratto di quello del 19 agosto.

Uno dei ricordi più vividi che riporterò dalla permanenza in Sicilia durante il Mondiale Universitario riguarda un allenamento. A fine seduta, con gli azzurri che stavano ormai preparandosi a tornare in albergo, a furor di popolo è stato chiesto a Giorgio Castelli di battere. Senza farsi pregare più di tanto, Giorgio si è presentato in battuta, ha guardato il primo lancio del coach Holmberg e poi ha battuto con assoluta tranquillità oltre la recinzione a sinistra. Il campo era corto, è vero, ma non dimentichiamo che Castelli non girava la mazza dal 1983. Come dice un coach azzurro (con i baffi) “Battere è come andare in bici, una volta che impari, sei sempre capace”.
A proposito di Sicilia, vorrei chiudere chiarendo un concetto: a baseball noi siamo l’Italia. Questo per chi storce la bocca sul risultato ottenuto dalla nazionale Universitaria. Il sesto posto in sè non è nulla di esaltante, ma è forse qualcosina di più di quello che valiamo a livello internazionale. Il noi si riferisce all’Italia, ma più in generale all’Europa, che per questo sport è la Cenerentola dei Continenti. Piaccia o non piaccia, purtroppo è così. Bisogna rendersi conto del livello a cui siamo e vedere realisticamente come migliorare, sapendo che non sarà un processo breve.
Tornando nello specifico al Mondiale Universitario, mi stupisce che nessuno o quasi dei miei colleghi (o presunti tali) sottolinei quel che di buono si è visto. Ma è vero, non c’erano. Ed evidentemente io sono stato poco capace di raccontarglielo.

Nel Diario del 26 agosto ho fatto un’altra tirata delle mie

Ho l’impressione che noi del baseball facciamo fatica a renderci conto del fatto che, per attirare pubblico, dobbiamo presentare all’esterno un prodotto accattivante. Invece sembra che godiamo a dare l’idea di un movimento chiuso, di uno sport difficile. A essere in pochi, insomma. Fateci caso: se provate a dire che in America avete visto qualcuno allenarsi in un certo modo, il gotha dei tecnici vi zittisce dicendo “Ma in America è diverso”. Io ho sempre pensato che il baseball sia sempre lo stesso sport, magari giocato meglio o giocato peggio. Ma si sa che io sono un bastian contrario.
Se provate a chiedere: “Ma come mai noi facciamo tanti errori ?” il gotha dei giocatori vi zittisce rispondendo: “Loro giocano tutti i giorni”. Se tanto mi dà tanto, se noi giocassimo tutti i giorni di errori ne faremmo di più, penso. Ma si sa, io non vedo mai niente di positivo.
Se provate a dire che avete visto uno stadio di Doppio A in America e che era molto confortevole, il gotha dei presidenti vi riduce al silenzio dicendo che: “In America è diverso” (visto che tra tecnici e presidenti a volte si va anche d’accordo?). Personalmente, credo che i gusti e le esigenze della gente non siano poi molto diversi, qui o in America. Ma si sa, io ho delle idee tutte mie.
Con tutto questo voglio dire: alla gente per venire allo stadio bisogna dare un motivo. E in quest’ottica anche un po’ di dolus bonus (quello delle pubblicità lava bianco, che più bianco non si può) non guasterebbe. Non è vero e si capisce, ma attira.

La stagione 2002 in Italia si è chiusa con la vittoria del Rimini (decimo scudetto) e con la bruttissima notizia della morte di Bob Roman, mio eroe del Parma degli anni ’80. Aveva solo 45 anni. Il 21 ottobre l’Italia disputerà all’Acquacetosa a Roma la partita che celebrava la prima gara internazionale di baseball giocata in Italia. Nel 1952 (al “Flaminio”) vinse la Spagna, nel 2002 a Roma vinse l’Italia con un rotondo 16-1 e un fuoricampo dell’esordiente Chiarini

22 ottobre- E Joe Lubas disse: “Salutami Labanti”

L'induzione alla "Hall of Fame" di Joe Lubas
L’induzione alla “Hall of Fame” di Joe Lubas

Potenza di Internet, che fa incontrare gente di diverse culture, gusti e generazioni. Gente che ha in comune poco, in questo caso solo la passione per il baseball.
Scena: fine cena dopo la partita celebrativa tra Italia e Spagna a Roma. Uno dei ragazzi del ’52 mi chiede il bigliettino da visita. Legge il nome e trasale. In ottimo italiano, pur con un chiaro accento anglofono, mi fa “Mi raccomando, mi saluti Labanti”.
Eh? Cosa c’entra lei con Labanti, volevo dire. Ma il signore in questione, al secolo Joe Lubas, chiarisce tutto: “Leggo sempre baseball.it”.
Joe Lubas ha preso un aereo dagli Stati Uniti per esserci, il 21 ottobre del 2002. Lui è uno dei ragazzi del ’52. Mi avevano detto che allora era il classificatore.
“Davo una mano agli allenatori” mi ha spiegato Mr Joe. Al quale ho chiesto se era italo americano: “No, io sono americano-americano! Ma mio figlio vive qui”.
Quante emozioni, il 21 ottobre del 2002. Alcune nemmeno troppo positive. Come ad esempio quando io, cerimoniere, non trovavo più i…protagonisti della cerimonia. E guardavo atterrito verso il parterre, dove ne sapevano meno di me. E guardavo atterrito il manager azzurro Faraone, al quale avevo promesso che la partita per le 19 sarebbe iniziata: erano le 18.40.
Poi li ho trovati. Abbiamo fatto la cerimonia e la partita è iniziata alle 19, minuto più, minuto meno.
Altra emozione non positiva: appena detto “Buon divertimento a tutti” mi si è inumidito un occhio. No, niente lacrime: una goccia di pioggia. Propria la nemica per antonomasia del baseball. Ancora: quando mi gridano occhio su una linea di un azzurro che faceva batting practice. E mi sono scansato velocissimo e strap, via il bottone della camicia. Basta cene, ragazzi. O quando ho detto: “Gianni Rivera, me lo ricordo per altre cose” e ho pensato che, considerato le paranoie che circolano nel nostro mondo, adesso salta fuori che io e Rivera siamo stati compagni di merende. E non sapevo più cosa dire, perchè mettermi a raccontare di quando mio nonno mi fece vedere la prima partita del Milan nel 1969 lo trovavo eccessivo. O anche che avevo richiesto la foto con autografo del Golden Boy ed era esaurita e allora con i punti della Nutella mi avevano mandato quella di Pierino Prati. Che era prestigiosa la sua parte, per altro.
E’ stato bellissimo, comunque. E sono orgoglioso di essere stato lì, dietro le squadre mentre si suonavano gli inni, ad emozionarmi perchè i bambini di una squadra giovanile di Nettuno conoscevano l’Inno di Mameli. Che io personalmente trovo un po’ farneticante come parole (ad esempio, chi era Scipio, del cui elmo l’Italia s’è cinta la testa? Boh…), ma che a sentirlo suonare dal vivo quando la bandiera dell’Italia sventola è tutta un’altra cosa, rispetto a sentirlo in televisione.

 Joe Lubas fu indotto alla Hall of Fame del baseball e del softball italiani nel dicembre del 2007. Dichiarò al figlio che sarebbe stata l’ultima gioia della sua vita.  Joe Lubas morì pochi mesi dopo, nell’agosto del 2008