“Non chiederti cosa può fare il tuo Paese per te, chiediti cosa puoi fare per il tuo paese” John Fitzgerald Kennedy
Quando (autunno 1960) venne eletto Presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy (JFK) aveva solo 43 anni. Eppure era già qualcuno: laureato a Harvard (1940), aveva combattuto (e con gloria) nella seconda Guerra Mondiale (Marina). Nel 1946 (non aveva ancora 30 anni) era stato eletto al Congresso e, dopo 3 mandati, nel 1952 aveva battuto per un margine abbastanza stretto Henry Cabot Lodge Junior ed era diventato Senatore. Sposato dal 1953 con Jacqueline Bouvier, nel 1956 aveva approfittato della convalescenza a seguito di un intervento chirurgico per scrivere Profiles in Courage. Si tratta di un libro biografico su 8 Senatori (John Quincy Adams, Daniel Webster, Thomas Hart Benton, Sam Houston, Edmund G. Ross, Lucius Lamar, George Norris e Robert A. Taft) e i loro impopolari atti di coraggio. Il libro vinse il Premio Pulitzer 1957.
JFK morì il 22 novembre del 1963 a Dallas, a causa di un fatale colpo d’arma da fuoco alla testa, mentre viaggiava lungo Houston Street a bordo di un’auto scoperta.
Avevo poco più di 3 mesi quando Kennedy morì e comunque la mia famiglia all’epoca non possedeva un televisore. Ma da quando ho memoria ho sentito raccontare in casa mia che a ucciderlo era stata la CIA.
Il 22 dicembre 2016 sono andato da Fort Worth a Dallas appositamente per visitare il Sixth Floor Museum. Arrivando in città, si percorre proprio Houston Street, ma nel senso inverso a quello che l’auto che trasportava Kennedy imboccò quel tragico giorno del 1963. A 7 dollari si parcheggia la macchina a poche decine di metri di distanza da Dealey Plaza, dove si trova quello che mezzo secolo fa era un deposito di libri e che è passato alla storia come il luogo dal quale (secondo la versione ufficiale) Lee Harvey Oswald sparò a Kennedy. Al sesto piano si trova il museo ed è possibile osservare Houston Street dallo stesso punto di vista di Oswald. Fa impressione, perché le fontane di Main Street e la curva secca che porta su Houston non sono per niente cambiate in oltre 50 anni. Solo gli alberi modificano la scena: sono cresciuti tanto, che oggi la linea di tiro sarebbe ostruita.
Dal sesto piano non si possono scattare foto, ma si può salire al settimo appositamente per fotografare e da quel punto è scattata l’immagine che vedete in copertina. “E’ un po’ morboso” sussurra una signora al marito “Ma viene comunque una gran foto”.
Lee Harvey Oswald (classe 1939) era in teoria un comunista e un rivoluzionario. Era stato un Marine, ma aveva vissuto in Unione Sovietica e lì aveva sposato Marina, che era emigrata negli Stati Uniti al suo seguito. Nell’aprile di quell’anno aveva attentato (fallendo) alla vita del Generale Edwin Walker, anticomunista e razzista.
Oswald venne a sua volta assassinato da Jack Leon Ruby (1911–1967), un mezzo balordo e sedicente informatore della polizia che, proprio perché era conosciuto da molti agenti, si introdusse nei sotterranei e fece fuoco senza opposizione. Ruby morì pochi anni dopo in carcere a causa di un tumore, convinto di aver compiuto un gesto eroico e ignaro del fatto che rischiava di essere giustiziato per omicidio premeditato.
Le teorie complottiste sull’omicidio Kennedy si sprecano. Il contributo più serio lo diede il Procuratore della Lousiana Jim Garrison (1921–1992), che contestò fin da subito le conclusioni della Commissione d’inchiesta voluta dal Presidente Lyndon Johnson e presieduta da Earl Warren, allora Presidente della Corte Suprema. La Commissione raccolse una marea di documenti, che però sono secretati fino al 2039, per concludere che Lee Harvey Oswald aveva agito da solo (magari per punire Kennedy dell’opposizione ai comunisti cubani). Oswald era stato in un primo tempo fermato per l’omicidio dell’agente di polizia J.D. Tippit, solo successivamente incolpato dell’omicidio di Kennedy.
Molto rilevanti furono al contrario le conclusioni della Commissione per accertare l’inefficienza delle procedure di sicurezza messe in atto dai Servizi Segreti, che basarono il protocollo su quanto fatto nel 1936 per la visita a Dallas del Presidente Roosevelt.
Le conclusioni dell’indagine di Garrison vennero raccolte in un libro (On the trail of the Assassins; disponibile oggi in lingua originale, fuori catalogo nella traduzione pubblicata da Sperling e Kupfer), firmato assieme a Jim Marrs, che poi ispirò il film del 1991 di Oliver Stone nel quale Garrison è interpretato da Kevin Kostner.
Nemmeno a me convince fino in fondo la figura di Oswald come unico colpevole. Ma prima di abbracciare senza condizioni le teorie complottiste, dobbiamo pensare che il mondo del 1963 non era il mondo di oggi. Per dire: metà della popolazione degli Stati Uniti nel 1960 aveva meno di 25 anni. Quello degli anni ’60 del secolo scorso era un mondo idealista, se vogliamo ingenuo, ma propenso all’entusiasmo.
Kennedy, che diceva orgogliosamente “guido una classe dirigente di persone nate in questo secolo”, non faceva eccezione. Viaggiava su un’auto scoperta benché fosse assolutamente conscio di avere molti oppositori in Texas. Aveva letto le domande molto scomode che alcuni imprenditori gli avevano posto proprio quel giorno con spazi a pagamento sui giornali. Kennedy accettò il rischio probabilmente anche per calcolo: stava a tutti gli effetti iniziando la campagna elettorale per le presidenziali del 1964 e voleva dare l’impressione alla gente di essere avvicinabile. Oltretutto, non si può nemmeno dire che pensare a un attentato al Presidente fosse uno sproposito. Prima di Kennedy, 3 Presidenti erano stati assassinati negli Stati Uniti: Abraham Lincoln (1865 a Washington), James Garfield (1881 a Washington) e William Mc Kinley (1901 a Buffalo).
Per ricreare le condizioni di quei giorni, i curatori del museo hanno fatto un lavoro eccezionale. La ricostruzione della Presidenza di JFK è dettagliatissima e ricca di contributi multimediali, incluso un intervento in TV di Kennedy che, con faccia grave, spiega che l’operazione fatta per rovesciare il regime di Castro a Cuba era stata “un fallimento”.
La visita è molto emozionante. Guidati dalla immancabile audio guida (in Inglese o in Spagnolo), si attraversa la storia di Kennedy Presidente (un resoconto ben lontano dall’elegia) e ci si sofferma ovviamente sulla sua morte, senza che venga negato che ci sono ancora molti misteri a circondarla.
Emergono chiare la visione e la modernità di Kennedy, che aveva vinto le elezioni del 1960 utilizzando in modo magistrale la televisione (allora una novità, almeno come medium di massa) e inaugurando la stagione dei dibattiti televisivi. Furono decisivi: il margine tra il Presidente eletto e lo sfidante Repubblicano Nixon fu esiguo.
Kennedy si oppose a un’opinione pubblica che non riteneva logico spendere cifre ingenti nelle missioni spaziali e si rivelò profetico, dichiarando che l’uomo sarebbe arrivato sulla Luna entro la fine del decennio. Era arguto e abile comunicatore Kennedy. Di ritorno da Parigi, si conquistò le simpatie dell’elettorato femminile dichiarando: “In Francia ho capito di essere l’uomo che accompagnava Jackie, più che il Presidente degli Stati Uniti”.
Fu innovatore anche nella morte. Walter Cronkite, leggendario anchor di CBS, si inventò la prima maratona televisiva della storia per raccontare i dettagli dell’omicidio.
Non è che JFK sia proprio ricordato con piacere da tutti. Stephen King nel romanzo 22.11.63 (divenuto serie televisiva) racconta che l’insegnante d’Inglese Jake Epping (nella finzione James Franco), di Lisbon Falls nel Maine, torna nel passato per impedire l’omicidio di Kennedy, con conseguenze inimmaginabili per l’umanità. Aldo Busi, nel suo Vendita galline km 3, scrive qualcosa tipo (cito a memoria): “Kennedy ha avuto la fortuna di morire prima che il mondo si rendesse conto della sua stronzaggine”. Nella sua autobiografia del 2008 Ted Sorensen (1928–2010), autore di molti discorsi di Kennedy, dichiara di essere il vero autore di Profiles in Courage, pur ammettendo che l’idea e il coordinamento del progetto furono di JFK.
Jacqueline, che era poco più che trentenne, rimase a lungo in lutto per la morte del marito. Fu molto vicina alla famiglia Kennedy e incoraggiò la candidatura alla Presidenza di Robert (detto Bob), fratello minore di JFK (detto anche RFK, era nato nel 1925). Dopo che Bob fu assassinato nel 1968 a Los Angeles (aveva appena vinto le Primarie in California), Jackie si trasferì a Manhattan. Successivamente sposò in seconde nozze il miliardario Aristotele Onassis Jackie Kennedy. è morta nel 1994.
Lascio Dallas facendo esattamente il percorso che fece la macchina di Kennedy in quel novembre 1963. Penso che, a parte il museo, Dallas ha poco da offrire. Il quartiere storico (Westend) è tutto un fiorire di steakhouse e negozi che vendono cappelli e stivali da Cowboy. Una passeggiata lungo Main Street e Commerce Street permette di ammirare un’architettura nella quale le costruzioni di inizio 1900 ben si integrano coi moderni grattacieli in vetro, ma ci porta anche a contatto con un’umanità dolente, in buona parte formata da homeless. A Pioneer Park c’è addirittura un monumento dedicato al Cattle Drive di cui parlo nella puntata precedente.
Di quel giorno ricordo l’impressione che mi fecero gli imponenti lavori di ammodernamento degli svincoli autostradali. Quel ricordo mi permette di dire che nel quinto capitolo saremo on the road, verso Abilene e con l’occasione di parlare di sette religiose.
4-CONTINUA
1-UN PRIMO ASSAGGIO SULLA STORIA DEL TEXAS 2-ESSERE TEXANI
3-IL RODEO E IL RICORDO DEGLI 8 SECONDI DI LANE FROST