Bruce Springsteen vale sempre la pena

MUSICA, SCHIROPENSIERO

Era ormai notte, domenica 10 giugno, quando mi sono messo alla guida Sì, sono davvero io...per rientrare a Parma da Firenze. Il mio abbigliamento era commovente: boxer bagnati, calze inzuppate, maglietta asciutta (l’avevo appena comprata…). Non potevo, insomma, fermarmi nemmeno in un autogrill e mi auguravo che la polizia non mi sottoponesse a qualche controllo, perchè giustificare com’ero combinato non sarebbe stato semplice.

Domenica 10 giugno ho visto Bruce Springsteen dal vivo e il tempo non ha collaborato. Il concerto è iniziato verso le 8.20 (stiamo parlando ovviamente di sera) e dalle 9 ha iniziato a piovviginare. Verso le 10.30 la pioggia si è messa a cadere veramente forte, tanto che per un attimo ho pensato di andarmene al coperto. Ma poi ho visto Springsteen (classe 1949) che, pur di stare con la sua gente, l’acqua la prendeva tutta pure lui. E allora ho pensato che cosa vuoi che sia, un po’ d’acqua…certo, il mio telefono cellulare (che non ne vuole più sapere di accendersi) non la pensa così. Ed è pure molto probabile che mi prenderò un raffreddore. Ma non potevo abbandonare il mio posto prato, siamo seri.

Ho visto Bruce Springsteen dal vivo 4 volte. La prima nel 1985 a San Siro (Milano), la seconda pochi anni dopo a Torino. Il concerto di San Siro fu un vero evento, perchè era la prima volta che Springsteen veniva in Italia e si narrava che i suoi concerti fossero leggendari. Provare per credere, ovviamente. Nel 1985 Springsteen canto per circa 3 ore e mezzo, ma era un uomo di 36 anni, nel pieno della forma. Il secondo concerto (non ricordo l’anno di preciso, ma penso fosse il 1989) fu altrettanto memorabile. E forse più gioioso. Springsteen aveva appena fatto la sua scelta di vita (lasciare la Bruce Springsteen in concerto a Firenzeprima moglie, seguire il cuore che lo portava verso Patty Scialfa, la sua attuale compagna) e non faceva niente per nasconderlo.

Adesso che Springsteen ha superato i 60 anni, non capisco veramente dove trovi l’energia per fare quello che fa sul palco. Domenica sera ha imperversato a destra e sinistra per quasi 4 ore, senza un secondo di pausa. E mi è sembrato in forma come non mai.
Qualche anno fa a Roma aveva mandato in visibilio lo stadio Olimpico. Il concerto era finito con i giornalisti in tribuna stampa in piedi sui tavoli. Ma io avevo notato che la voce non era, sulle note più basse, convincente come al solito. Ma domenica, Springsteen ha superato se stesso. Quando ha attaccato l’armonica per una sentita versione di ‘The River’, sullo schermo gigante è apparsa una donna che piangeva senza ritegno. Come ripeto sempre, emozionare una sola persona a quel modo è già un grande risultato, ma farlo con 50.000 è veramente sorprendente. Devo dire che non mi ero reso conto del fatto che ai concerti di Springsteen ci sono decine di migliaia di persone che conoscono i testi a memoria e li cantano ad alta voce. Mica solo “Tramps like us, baby we were born to run”, un verso che penso sia noto a chiunque ha mai posseduto un disco. Ma le canzoni meno conosciute, come ‘Tenth avenue freeze out’ e quel “That day a big man joined the band” che è servito per lanciare un omaggio in video (silenzioso e sentito) a Clarence Clemons, lo storico sassofonista recentemente scomparso.

Entusiasmo alle stelle per Springsteen e la E Street BandAll’inizio del concerto, ho sorriso per alcuni momenti alla Gesù Cristo (Springsteen che si concede al pubblico, che allunga le mani per toccarlo). Ma mentre la serata proseguiva (e io ero sempre più bagnato, ma anche il Boss non scherzava) ho capito che in realtà Springsteen è uno di loro e che per lui non c’è nulla di oltraggioso e di eccessivo. Lui ce l’ha fatta, a tanti altri restano solo i sogni. Ma non per questo, lui si sente lontano.
Se penso ai testi che Springsteen scriveva da giovane, ci trovo il perchè di tutto questo.
In ‘Rosalita’: “Lo so che a tuo padre non piaccio, perchè suono in un gruppo rock. Ma fagli capire che è una grande occasione perchè, piccola, la casa discografica mi ha dato un grosso anticipo…”
O in ‘Thunder Road’: “Questa è una città per i perdenti, ma io me ne andrò di qui, per vincere…”.

In Springsteen c’è la vera grandezza. Lo si capisce anche solo dall’architettura delle sue canzoni, a volte forse addirittura ridondante. Ma c’è anche la gioia di suonare, di divertirsi, di scherzare (sotto il diluvio, attacca ‘Waiting for a sunny day’). C’è, insomma, tutto quello che vale la pena.

2 thoughts on “Bruce Springsteen vale sempre la pena

  1. Caro Littlerick,
    ho spedito la tua foto che campeggia nel post al concorso “Mister maglietta bagnata” e devo comunicarti con dispiacere che ti sei piazzato solo al terzo posto. I primi due erano, seppur di poco, più formosi di te. Riprovaci. Ci vediamo al Cavalli.
    Un saluto cordiale
    Davide
    Ma cos’hai capito? Sono muscoli…;-)

  2. Era l’88, carissimo. Concerto a Milano e replica a Torino per Amnesty International Concert, memorabile pure quello.

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