L’intenzione è raccontare tutta una settimana di viaggio in Giordania. Ma ho urgenza di scrivere di un momento particolarmente emozionante. Quindi, cambio la cronologia.
Viaggiando da Amman verso ovest si arriva alla Valle del Giordano. La mia meta era il luogo dove Giovanni Battista ha battezzato Gesù Cristo quando entrambi avevano 30 anni.
Nonostante la cronica mancanza di indicazioni stradali che caratterizza la Giordania, quello che sto cercando è ben indicato come Baptisme Site, luogo del battesimo.
“Da soli non potete andare” spiega un tizio dal fare un po’ losco. “Questa è terra di confine”. Per arrivare al luogo del battesimo serve quindi aspettare un pulmino e seguire una guida.
Il Giordano me lo aspettavo diverso. Sembra un torrentello, visto da qui. Oltre i canneti c’è quella che in Inglese si chiama West Bank e che noi conosciamo come Cisgiordania. Non ho ben capito cosa sia, visto che è ufficialmente sottoposta al controllo misto da parte della Palestina e di Israele. Ma non è che siano proprio tutti d’accordo sul fatto che la Palestina sia uno Stato. Infatti, al di là del fiume sventola la bandiera di Israele.
Ai tempi di Gesù, non è che ci fossero meno casini. Betania al di là del Giordano, dove viveva Giovanni, era sotto il governo di Erode Antipa. Ma non è che mancasse tensione con i fratellastri Erode Archelao ed Erode Filippo. E poi, dopo tutto, nessuno dei 3 fratelli era un vero Re. I Romani, che erano quelli che comandavano sul serio, li definivano tetrarchi o, nel caso di Archelao, etnarchi. Si tratta di termini origine greca per indicare chi governa un regno diviso in quattro parti o una sorta di capo popolo di grado inferiore. Questi quasi sovrani si rivelavano molto utili per mettere in pratica il divide et impera Latino.
Il Regno intero era quello del padre dei 3, ovvero Erode il Grande, colui che ordinò la Strage degli Innocenti. Ma che era a sua volta Re per modo di dire, visto che guidava comunque un protettorato romano.
Erode Antipa è passato alla storia anche per aver fatto giustiziare Giovanni Battista, che lo giudicava male per la relazione con Erodiade, la moglie di Erode Filippo. Dell’episodio della danza dei sette veli di Salomé, che portò alla decapitazione di Giovanni Battista, io avevo fatto mia una versione maliziosa, nella quale Salomé (che nei Vangeli per altro non ha nome) aveva chiesto la testa di Giovanni per togliersi il settimo velo. A Betania al di là del Giordano invece vige la versione ufficiale: quando Antipa chiese a Salomé cosa volesse per ricompensarla della danza, che lo aveva particolarmente soddisfatto, questa (traviata da mamma Erodiade) chiese le testa del Battista. E la ottenne.
Stando allo storico Flavio Giuseppe, la decapitazione avvenne a Macheronte (Makhaira in Greco, significa spada), una collina sulle rive del Mar Morto. La guida la indica ripetutamente, ma non sono sicuro di averla individuata.
La decapitazione di Giovanni Battista dovrebbe essere avvenuta nell’anno 31 o 32 della nostra epoca. Comunque dopo il 30 (quando Giovanni battezzò Gesù) e prima del 33 (quando Gesù morì in croce).
Giovanni Battista era parente di Gesù. O meglio, sua madre Elisabetta era parente (la guida dice cugina, ma questo indizio nei Vangeli non lo trovo) di Maria.
Quando Giovanni nacque, Elisabetta e suo marito Zaccaria erano di età matura, qualsiasi cosa voglia dire per quell’epoca remota. Gesù sarebbe nato 6 mesi dopo.
Benché conscio del fatto che contiene meno citazioni dirette della parola di Gesù rispetto ai sinottici, io sono molto appassionato del Vangelo di Giovanni. Questo deriva dal fatto che a più riprese Giovanni dichiara di raccontare sulla base di testimonianze oculari.
L’Evangelista Giovanni (figlio di Zebedeo e Maria Salome, che secondo il Vangelo di Matteo è stata testimone della morte di Gesù) non è ovviamente Battista. Se è corretto attribuite il quarto Vangelo all’Apostolo Giovanni, questi è un discepolo del Battista. E se l’Evangelista è l’apostolo che Gesù amava citato nel suo libro, è anche testimone oculare della Crocifissione.
Per questo hanno su di me grande suggestione le parole del Vangelo di Giovanni: “…venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce…”.
Sempre stando al Vangelo di Giovanni, il Battista dirà ai soldati che lo arrestano: “Io sono voce di uno che grida nel deserto” e più avanti “Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo…”.
L’amarezza di scoprire che il mio Jordan Pass non vale per l’ingresso al sito del battesimo mi fa abbandonare le riflessioni sulle scritture. Sono 12 dinari giordani, quindi 15-16 euro. Poi si sale su un pullman assieme a diverse persone di lingua slava, penso russo, e a un gruppetto di francesi accompagnati da un prete cattolico. Dopo una ventina di minuti, si inizia a camminare su una passerella in legno coperta.
Il Giordano emerge dai canneti. Come ho detto, è poco più di un rigagnolo.
“Dovete capire che rispetto ai tempi di Gesù l’aspetto del fiume è molto cambiato” dice la guida. “Dopo la guerra del 1967, Israele ha modificato il corso del fiume”.
Da quel che so io, la guerra del 1967 (o dei sei giorni) scoppiò anche in seguito a un accordo tra Siria e Giordania per creare una diga sul fiume. Dopo che il 5 giugno 1967 l’aviazione di Israele aveva messo in grave difficoltà l’Egitto e la sua alleata Siria, la Giordania entrò in guerra, attaccando Gerusalemme. Il risultato fu che si dovette ritirare da Gerusalemme e perse anche la Cisgiordania. La Giordania si arrese il 7 giugno. La guerra proseguirà con la distruzione di buona parte dell’esercito egiziano.
Israele non aveva mai potuto completare il cosiddetto National Water Project, varato nel 1948 alla nascita dello Stato ebraico. Dopo la guerra ha effettivamente preso possesso della maggiori fonti d’acqua della zona.
Il luogo del battesimo è chiaramente indicato.
Ormai lo riconosce come ufficiale l’UNESCO, ma non sono mancate le polemiche con Israele, che ha un suo luogo di culto (Qasr al-Yahud; fino al 2018 era ritenuto pericoloso a causa delle mine) dall’altra parte del fiume, al quale i pellegrini accedono indossando tuniche bianche e ben vigilati dai militari.
L’Imperatore bizantino Anastasio fece costruire sul luogo la Chiesa di San Giovanni Battista. Ma parliamo comunque di 500 anni dopo il battesimo. Oggi della Chiesa ci sono solo i resti.
La testimonianza più significativa e vicina a noi è quella del Vescovo francese Arculfo, che si recò in pellegrinaggio nel 670. E annotò che di fronte al luogo del battesimo si trovavano gli scalini dai quali Gesù era sceso in acqua. Il luogo oggi ci viene presentato come quello in cui Gesù si tolse le vesti.
La guida indica l’acqua fangosa e, sostanzialmente, declama il Vangelo di Matteo: “Gesù uscì dall’acqua ed ecco si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito Santo scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: questi è il figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciuto”.
Il materiale informativo in Italiano riporta la testimonianza di Antonino da Piacenza, ma la data nel 570, mentre Sant’Antonino risulta morto nel 304. Mi è stato fatto notare successivamente alla prima pubblicazione dell’articolo che si tratta della testimonianza di un anonimo Pellegrino di Piacenza, erroneamente attribuita ad Antonino. Cita anche un Teodosio, che non è l’Imperatore che proclamò il Cristianesimo come Religione di Stato nell’Impero Romano, perché la sua testimonianza risulta essere del 530 e l’Imperatore è morto nel 395. Anche qui, aggiungo: si tratta del Pellegrino Teodosio, che offrì un’accurata testimonianza appunto nel 530.
A questo punto, ho deciso di lasciarmi andare alle emozioni. Mi sono lasciato superare da tutto il gruppo e mi sono raccolto un attimo a osservare il luogo del battesimo. Poi ho girato dietro, ho provato a guardare verso Gerusalemme, come secondo la guida fece Gesù. Ho quindi camminato da solo verso la Chiesa Ortodossa che sta sulla riva del fiume. Da qui una scaletta in legno permette di scendere al fiume e toccare le acque marroni. Il prete francese sta battezzando chi viaggia con lui. Li osservo a distanza. Quando rimango solo, scendo a mia volta la scaletta e mi piego a toccare l’acqua.
Sono cresciuto pensando che i Vangeli andassero letti nel loro insieme. Nel senso: quel che non ci diceva Marco, ce lo avrebbero detto Luca o Matteo. E quel che non ci dicevano Marco, Luca e Matteo, ce lo avrebbe detto Giovanni.
Quando mi sono avvicinato al Nuovo Testamento, il teologo tedesco Rudolf Bultmann aveva già indicato da un 5 decenni che i Vangeli non andavano letti come libri di storia tradizionali. Ma Bultmann aveva il difetto di essere protestante, quindi il mio mentore Don Pietro Rossolini non lo poteva prendere in considerazione.
Come ho scritto prima, ho sviluppato nel corso degli anni una passione per il Vangelo di Giovanni. Amo moltissimo anche l’Apocalisse di Giovanni, ma escludo che l’autore sia lo stesso Giovanni. I Vangeli sinottici sono una lettura esaltante, ma dal mio punto di vista meno frutto di testimonianza diretta. Oggi è opinione comune che Luca e Matteo scrivano sulla base di quello che ha scritto Marco. Quest’ultimo era un ragazzino quando Gesù morì. Successivamente divenne un discepolo di Paolo, che come è noto non conobbe Gesù. Luca, che è ritenuto anche l’autore degli Atti degli Apostoli, era a sua volta un discepolo di Paolo. Matteo, di un paio d’anni più giovane di Gesù, era uno dei 12 Apostoli.
Bultmann ha posto le basi della cosiddetta FormGeschichte, che analizza i Vangeli sinottici sulla base della tradizione letteraria a cui appartengono i diversi brani. Questo gli permette di giungere a conclusioni su cosa possa essere autenticamente attribuibile a Gesù e cosa sia frutto delle credenze di un’epoca. Ma l’insegnamento più importante che mi viene da Bultmann è che, comunque, tutto quanto si trova nei Vangeli è indotto dalla predicazione di Gesù. La figura storica di Gesù mi affascina molto, ma non ha certamente contorni precisi. Flavio Giuseppe, che lo definisce “un saggio”, gli dedica poche righe. Tracce del passaggio di Gesù si trovano nel Corano, che venne scritto però centinaia di anni dopo la sua morte. Per i romani Gesù era solo un altro dei profeti messianici che creavano problemi. Che fosse consapevole o meno di essere lui stesso il Messia, è un problema che ci si è iniziati a porre 1.500 anni dopo la sua morte. Ma quello che fa di Gesù una figura storica è secondo me proprio l’impatto che il suo messaggio ha avuto sul mondo. E per condividere questo, non occorre essere credenti.
Grazie a Luca Bertolotti per le puntualizzazioni.
Antonino da Piacenza, santo. – Martire, forse nella persecuzione dioclezianea, per un malinteso ritenuto autore di un itinerario (noto come Itinerarium Antonini) ai luoghi santi, in realtà opera (circa 570) di un pellegrino di Piacenza.
Il pellegrino Teodosio, verso il 530, visitò la tomba di Callinico in Turchia.