A Los Roques il giorno di Natale del 2010 c’era Michele Santoro. Sperando che non mi denunci per violazione della privacy, vi voglio confermare: che era molto più tranquillo di come lo vedete in televisione, che però aveva lo stesso sorriso che non si sa se è luciferino o beffardo, che Masi non gli telefonava e che a nuotare è una di quelle persone che riescono a produrre uno sforzo uguale e contrario con le gambe e con le braccia. Quindi, sostanzialmente, alza enormi spruzzi ma non si muove.
Inizialmente, avevo pensato di andargli a parlare. Poi mi sono detto che mi sarebbe piaciuto conoscere più sua moglie di lui. Della moglie, quando faceva le recensioni dei libri a tarda ora con accento francese intrigante (parliamo degli anni ’80), ero anche un po’ cotto. E ho anche pensato che a me, in fondo, Santoro come giornalista non piace. Da giornalista, dico che è giusto esprimere opinioni. Ma non essere fazioso. E Santoro, diciamolo, fazioso lo è. Anche se oggi essere faziosi presenta molte attenuanti, bisogna pur ammettere che lui lo è sempre stato.
Ma grazie comunque, Michele, per avermi teso la mano quando stavo salendo in barca.
Se scrivo che Los Roques è un paradiso, scrivo l’ovvio. Quindi, parlerò prima di tutto delle cose negative dell’arcipelago.
Iniziamo dal giorno in cui ci sono arrivato, ovvero il 22 dicembre. Il nostro contatto Tony ha sentenziato la sera prima che il nostro aereo sarebbe partito dal terminal auxiliario. Con il volo alle 6, ci siamo presentati al terminal alle 5. Eravamo solo noi e 2 tizi che partivano per qualche posto nelle Antille Olandesi. Tutto chiuso, ma in diversi ci hanno garantito che il volo per Los Roques c’era.
Quando è arrivata la tizia della compagnia, non ha trovato i nostri nomi nell’elenco. Poi si è accorta che sul nostro voucher si parlava di una compagnia che decolla dal terminal nazionale. Nel pieno del panico, abbiamo trovato un passaggio per il terminal in questione. Dove il nostro volo risultava chiuso. Sempre più nel panico, abbiamo scoperto che non solo avevamo perso il volo, ma che non ci saremmo saliti nemmeno arrivando puntuali, perchè non avevamo una prenotazione.
Alle 6.30 di mattina mi sono attaccato al telefono, senza ovviamente ricevere risposta. Allora mi sono detto che forse un’altra compagnia volava a Los Roques. E in effetti, ci volava la Chapi, che per un bel 440 euro mi ha venduto 2 biglietti.
A cose fatte, mi ha risposto Vicky, la referente dell’agenzia che avrebbe dovuto fare la prenotazione. Voce assonnata, ha bellamente detto: “Sì, ieri mi avevano detto che non avevate posto. Ma poi ho visto che la Chapi ne aveva…Volete che prenoti io?”.
Per carità, NO!
A Los Roques è quasi come essere in Italia. Ci ha accolti all’aeroporto (come a Canaima, parola un po’ forte…) una ragazza italiana di nome Claudia, che ci ha accompagnati a piedi alla Posada Caracol. Che è a circa 10 metri (da percorrere camminando sulla sabbia) dal posto in cui è atterrato il commovente velivolo che ci ha portati a Gran Roque, come si chiama l’isola principale. Il gestore della Posada Caracol è italiano a sua volta e tutti gli ospiti sono italiani.
Questa è la soluzione migliore possibile, per alloggiare a Gran Roque. Non la più economica (un 200 dollari americani a testa per la camera doppia, crescenti nei giorni natalizi), certo. Però il cibo è ottimo (compresa la pasta, abbondante e al dente), il ragazzo che organizza le gite gentilissimo (si ostina a parlare in Italiano e non lo sa, ma ci passerete sopra) e ci sono solo 4 camere. Insomma, è come essere in appartamento.
La stanza non è grande, ma ci starete solo a dormire. E dà molta soddisfazione stare nella veranda all’aperto. A meno che non decidiate di farlo al tramonto. Quando cala il sole, infatti, le zanzare diventano fameliche e si può essere oggetto di veri e propri attacchi. Considerato che dicembre è un mese in cui le zanzare sono poche, non oso immaginare cosa succede quando la stagione è più umida. Che poi, umida lo è anche quella che loro chiamano stagione secca. Eh, non ci sono più le stagioni di una volta…
Riepilogando: se andate a Los Roques dovete essere sicuri di avere con voi l’Autan quello cattivo e una accettabile dose di pazienza.
Claudia, l’Italiana, si è adeguata ai costumi venezuelani. Taglia di reggiseno compresa. Perchè dovete sapere che in Venezuela non esiste che una donna abbia una taglia inferiore alla terza di reggiseno. Non potendo controllare la natura, hanno fatto fiorire l’industria della chirurgia estetica a livelli impensabili.
Claudia ci ha detto: “Ma andate al mare, che quando tornate trovate la camera pronta”.
Poi, una volta tornati, la camera è stata pronta…2 ore dopo.
Mentre aspettavo, si è avvicinata una nanetta sorridente di origine europea: “Sono Vicky“.
Ami il rischio, volevo dirle. E ancora di più, glielo avrei detto dopo che mi ha spiegato cos’era successo. Di fatto, ammettendo di essersi scordata di dare conferma entro il termine richiesto dalla compagnia. Ma, bella sciolta, è passata da questa scottante ammissione a rivolgermi un ammiccante: “Ma tu non sembri italiano, nè come fisico nè come lineamenti”. E giù un sorriso a 72 denti con tanto di strizzata di occhiolino.
Evidentemente, qualcuno le aveva spiegato come solleticare la mia vanità.
La vita a Los Roques procede così: sveglia non tardi (impossibile, perchè alla sera non c’è nulla da fare), colazione, barca ad un’isolotto (sono tutti o belli o bellissimi, ma Cayo El Agua è qualcosa di più…non sto a citare gli altri nomi: finiscono quasi tutti in qui, che è la versione ispanica dell’Inglese key, isolotto). Lì gli scagnozzi della barca installano il vostro ombrellone, vi dotano della cava (un frigo da campeggio) con dentro di tutto e di più da bere e il pranzo e tornano a prendervi quando volete.
In una settimana, il problema principale sono state le zanzare e i puripuri. Questi ultimi sono moschini bastardi che si nascondono nella sabbia, vi pungono senza che voi ve ne accorgiate e danno un prurito da incubo. Se ci sono, non sdraiatevi ASSOLUTAMENTE per terra. Finireste con il grattarvi a morte, con il rischio di infezioni, con il clima caraibico.
Altre problematiche da segnalare: ho rotto una delle seggioline da spiaggia (pesante io o fragile lei?), un paio di volte c’era il mare mosso e in barca si sono beccate botte considerevoli alla schiena, lo spumante della sera della Vigilia di Natale era scarso. Ah, e in camera c’era una cucaracha, uno scarafaggione tipico di questi climi.
Ma parliamo chiaro: la permanenza è stata una libidine assoluta e l’immersione a La Guasa la definirei il giusto corollario alla permanenza. Siamo scesi oltre i 20 metri in corrente, dove passa di tutto (non gli squali, purtroppo). La fauna in quel punto è variegata, c’è persino il raro gambero pulitore. Non c’è tantissimo corallo, quindi durante l’immersione i colori non colpiscono più di tanto. La visibilità non era eccezionale, ma comunque sufficiente e in acqua si potrebbe stare un mese, visto che la temperatura è 28 gradi.
La seconda immersione l’abbiamo fatta a El Morillo. Lì si scende fino ai 18 metri di un un piccolo relitto, dove vive una murena con un testone enorme e di colore verde.
Quando il 29 dicembre siamo saliti sul volo Chapi per Caracas, ormai mi ero reso conto che a Los Roques sarei potuto rimanere altri 6 o 7 mesi.