Quando il Vice Ammiraglio Marc Mitscher lanciò l’operazione Hailstone era conscio del fatto che nella base di Truk non avrebbe trovato mezzi militari di rilevanza strategica. Il Giappone si aspettava l’attacco e aveva iniziato a trasferire la flotta. Ma importava poco: nel febbraio del 1944 il destino del Giappone sembrava segnato. L’attacco aereo a Truk doveva solo facilitare l’invasione dell’atollo Eniwetok
La Laguna di Truk era giapponese dal 1914 e dal 1939 era diventata una base logistica importante per la Marina Imperiale.
Come tutti sanno, all’inizio di dicembre del 1941 il Giappone aveva sferrato un attacco a sorpresa alla base americana di Pearl Harbour, isole Hawaii. Fu un atto senza precedenti, perchè la dichiarazione di guerra arrivò solo ad attacco iniziato. Non a caso, il Presidente degli Stati Uniti Roosvelt definì quel 7 dicembre 1941 Day of Infamy.
All’inizio di giugno del 1942 gli Stati Uniti si presero un’importante rivincita. Nella battaglia delle Midway (sempre nell’arcipelago della Hawaii) affondarono ben 4 portaerei giapponesi. Di fatto, con quell’atto il corso della guerra nel Pacifico cambiò completamente. Il Giappone fu costretto ad abbandonare la sua strategia aggressiva e dovette iniziare a pensare a come difendere il suo territorio nazionale. Una dopo l’altra, erano cadute Malesia, Filippine e Singapore (la parte dell’Impero sottratta al Colonialismo occidentale) e nel 1943 gli americani avevano conquistato le Isole Marshall.
Gli americani arrivarono a Truk il 16 febbraio del 1944 con 9 portaerei, che trasportavano 500 aerei da combattimento. Il Giappone basava la sua forza di difesa sui caccia conosciuti come Zero, il simbolo dell’attacco a Pearl Harbour. Ma gli americani potevano opporre ora gli Hellcat, caccia con una potenza di fuoco che poteva spazzare via gli Zero. E così accadde: entro il 17 febbraio era tutto finito. L’Aviazione e la Marina degli Stati Uniti affondarono 32 mercantili armati e distrussero 250 aerei giapponesi. Persero 25 aerei e 40 uomini, ma pochi mesi dopo il Giappone si trovò costretto a consegnare Truk agli Stati Uniti.
Perchè il Giappone non si sia arreso prima dei disastrosi anni che sono stati il 1944 e il 1945 è difficile da capire, se ragioniamo con la nostra mentalità di occidentali nati e vissuti in pace. E’ ancora più difficile da capire alla luce del fatto che l’Italia (paese sconfitto come il Giappone) ha avuto nella seconda guerra mondiale poco più di 300.000 vittime militari su un totale di circa 470.000 morti, mentre il Giappone ha avuto oltre 2.600.000 morti, dei quali 700.000 civili.
L’Imperatore Hiroito aveva detto al suo popolo che la guerra avrebbe potuto concludersi dopo 100 anni e 100 milioni di morti (esagerando: la popolazione del Giappone era di 78 milioni di persone). La gente non aveva altra possibilità che crederci. Hiroito era il nipote di Meji il Grande, che una volta salito al Trono (1868) aveva chiuso l’epoca degli Shogun e riscritto la Costituzione. Meji (che in vita si chiamava Mutsuhito) aveva stabilito che il potere dell’Imperatore trascendeva la Costituzione e che il Governo era subordinato alla Monarchia. Nel Giappone di inizio ventesimo secolo si era fatta strada la convinzione che Meji e i suoi successori (i primogeniti maschi, per sacro vincolo di sangue) fossero semi divinità.
Hirohito salirà al trono nel 1926, ad appena 25 anni. Ma in verità, era di fatto il Monarca dal 1916. Il padre Yoshihito era infatti di salute cagionevole.
Hiroito si arrenderà (15 agosto 1945) per il timore che non solo la bomba atomica potesse distruggere il Giappone, ma che potesse “estinguere l’umanità”. Il suo biografo Herbert P. Bix (vincitore del Premio Pulitzer) scriverà senza mezzi termini che Hiroito era un uomo disposto a sacrificare il suo popolo, pur di salvare la sua posizione.
Questo secondo obiettivo lo ha certamente raggiunto, visto che ha miracolosamente scampato l’accusa di crimini di guerra (già l’attacco a Pearl Harbour sarebbe stato un motivo sufficiente per condannarlo) e ha finito con il rimanere sul Trono fino al 1989, passando alla storia come l’uomo che ha guidato il Giappone verso la modernità.
Dopo la sua morte, il nome ufficiale è diventato Showa.
Il primo a immergersi nella Laguna di Truk fu Jacques Cousteau nel 1969. Quando il leggendario oceanografo arrivò in Micronesia con la sua squadra, non c’erano coordinate precise per ritrovare le navi affondate. Cousteau trasse dalla sua esperienza il documentario Lagoon of lost ships, che fu un successo clamoroso all’epoca ed è ancora oggi disponibile on line.
Ad accompagnare Cousteau c’era Kimiuo Aisek (allora poco più che quarantenne), che da quella esperienza trarrà lo spunto per dare il via (1973) all’industria del diving a Truk. Di lui, della sua famiglia e del loro dive shop parlo nell’articolo precedente. Qui devo aggiungere che le immersioni a Truk ottennero un lancio formidabile nel maggio del 1976 da uno speciale del National Geographic e che Kimiuo, assieme allo scrittore Klaus Lindemann (1930-2004), ha effettuato una accurata serie di esplorazioni che hanno permesso di scoprire tutti i relitti di cui si ha conoscenza oggi e che, stando a Rod Mac Donald e al suo libro Dive Truk Lagoon, sono ancora la minima parte di quelli effettivamente presenti sui fondali. Scrive Mac Donald: “Le immersioni nella Laguna di Truk possono dare qualcosa a chiunque”. Intendendo con questo che non è necessario impegnarsi a 70 metri in una immersione tecnica, per vivere un’esperienza indimenticabile.
Mac Donald stesso indirizza per altro a WW 2 Wrecks of the Truk Lagoon (pubblicato da Dan E. Bailey nel 2000) come testo maggiormente completo sull’argomento.
Come è facilmente comprensibile, buona parte del turismo a Truk viene dal Giappone. Non dimenticherò certamente l’entusiasmo di Hinoshi, che viaggiava da solo e aveva deciso di passare un paio di notti su Jeep Island, proprio per vivere l’esperienza in solitudine a contatto con la natura. Salvo poi confessare, in un Inglese estremamente faticoso, che: “Una notte OK, 2 notti…” e, dopo essersi fermato a riflettere, aver deciso che il suo sentimento lo esprimeva meglio delle parole un furioso gesto di diniego con il capo. Hinoshi faticava tremendamente a raggiungere la barca da Jeep Island, anche perché più interessato alla sua preziosa macchina fotografica (che teneva sollevata fuori dall’acqua, incurante del fatto che il resto del suo corpo affondasse…) che alla sua stessa salute.
Sempre giapponesi erano Big Man e The Doctor (i nomi ce li hanno detti, ma non li ricordo), che prima di noi hanno sperimentato i problemi dell’overbooking United Airlines. Dopo il primo giorno, alle immersioni hanno preferito la pesca, cosa che ha anche prodotto un eccellente Sashimi di tonno che hanno condiviso con noi.
Ma in immersione non sono venuti solo giapponesi. Hanno diviso ogni giorno in barca con noi 2 scozzesi che vivono in Nuova Zelanda e 2 fratelli statunitensi, in questa parte del mondo per lavoro ma pronti a concedersi una pausa pur di immergersi a Truk.
Spero che quello che scriverò nei prossimi articoli sia brillante abbastanza da farvi capire che esperienza unica sia il mondo sommerso della Laguna di Truk.
10-CONTINUA
1-INIZIO DALLA FINE 2-MOMPRACEM NON E’ POI COSI’ VICINA
3-LA VISITA DI KUALA LUMPUR 4-SUMATRA, DOVE MORI’ NINO BIXIO
5-L’INCONTRO CON L’ORANGO 6-IL BAGNO DEGLI ELEFANTI
7-LE FILIPPINE 8-GUAM E I “SOLDATI FANTASMA” GIAPPONESI
9-NIENTE SQUALI A TRUK