Il 1992 è un anno che per me è iniziato abbastanza male. Avevo organizzato il Capodanno al Casino di Campione d’Italia, quando un’improvvisa emergenza mi ha fatto andare all’aria il piano: dovevo realizzare e leggere il giornale radio del primo gennaio. Non ho comunque rinunciato a visitare mia moglie (eravamo sposati da pochi mesi) a Milano, dove a sua volta era di turno al lavoro, e mi sono messo per strada a un orario improbabile per essere pronto all’appuntamento delle 7. A casa ho evitato una palude di alcolici e (temo) vomito che era la conseguenza della festa organizzata dai figli di un vicino nella sala gioco bimbi (purtroppo, i figli in questione non erano evidentemente bimbi…) e sono salito nel mio appartamento. Ho acceso il fido televisore Mivar (regalo di nozze), ho preso appunti da Televideo sulle principali notizie del giorno (anche i notiziari nazionali, che ci arrivavano da un’agenzia, erano sospesi), ho attraversato una Parma deserta e sono arrivato alla sede di Onda Emilia. Lì ho chiamato il reparto di maternità dell’ospedale per sapere l’ultimo nato del 1991 (che era stato una delusione: tipo alle 21.30…) e il primo nato del 1992 (lui sì eroico: poco dopo mezzanotte; oggi mi piacerebbe ricordare chi era, magari si trattava di una lei) e sono andato in onda.
Quando guardo 1992 su SKY, mi viene inevitabilmente da collegare il telefilm ai fatti reali che ho vissuto. A poco più di 28 anni, io facevo già il giornalista. Avevo il mio bel tesserino verde da pubblicista in tasca (e ne ero orgoglioso mica poco), uno stipendio (che era quel che era…) e anche un contratto di lavoro, per quanto assolutamente non adeguato al compito che svolgevo. Dal punto di vista della giornata lavorativa, facevo comunque la vita dei giornalisti veri. La mattina andavo in redazione, sfogliavo i giornali, davo un’occhiata ai comunicati (che arrivavano via fax o posta ordinaria) e cercavo spunti per il radiogiornale. Non avevo avuto una scuola vera e propria. Carlo Drapkind (classe 1941, quindi poco più di 50 anni, anche se dichiarava di averne quasi 60; è scomparso a marzo del 2003) era il direttore responsabile di radio Onda Emilia e un giornalista vecchio stile, di quelli che cercano le notizie per strada. Non aveva però nessuna vocazione a insegnare il mestiere. Ma ad osservarlo c’era da imparare (nel bene e nel male, ma non scenderò in dettagli). Suo malgrado, Drapkind condivideva qualche numero di telefono.
I potenti della politica di allora erano ciarlieri. Fabio Fabbri (classe 1933, l’età di mia madre) era un Senatore socialista (PSI), in Parlamento fin dal 1976. Era anche un Avvocato importante, ma tutti lo conoscevano come Senatore Fabbri. Sarà Ministro della Difesa nel gennaio del 1993, quando i Carabinieri arresteranno Totò Riina. Una telefonata di Fabbri ti risolveva il radiogiornale, sia come minutaggio, sia come temi. Perchè raramente risparmiava anticipazioni. Aveva una di quelle voci abbastanza nasali con tono da nobile e dizione neutra (un po’ come l’attore Fabrizio Contri, che interpreta nella fiction Marcello Dell’Utri).
L’Onorevole Giulio Ferrarini rappresentava il nuovo che avanza dei socialisti Nuovo relativamente, visto che era in Parlamento dal 1983, eletto a poco più di 40 anni (Ferrarini è morto nel 2014). Ma certamente rampante: aveva 2 o 3 cellulari (per i tempi di allora, una rarità) e a nessuno rispondeva lui, bensì una guardia del corpo o portaborse. Che però quasi sempre me lo passava. Mi rivolsi proprio a Ferrarini il 17 febbraio, quando Mario Chiesa venne arrestato. Quella volta si fece pregare per rispondere, poi mi parlò. Ma era molto infastidito.
Dell’inchiesta sapevo solo che Antonio Di Pietro (il Sostituto Procuratore) era lo stesso dell’inchiesta sulla scomparsa della famiglia Carretta.
Non ricordo di preciso la data, ma venne a Parma Bettino Craxi. Si era in piena campagna elettorale, Chiesa era ufficialmente un mariuolo e i socialisti ambivano a diventare ancora più importanti di quanto non fossero. Nell’annunciarmi la visita del leader, Fabulous (come lo chiamavamo in redazione) Fabio Fabbri disse: “Si renda conto, l’Italia ha tenuto uno statista come Craxi in panchina“.
Ricordo benissimo la scena: Craxi, in blu e carismatico, arriva a passo di carica nella sala dell’allora Hotel Baglioni. Più che una conferenza stampa, il suo fu un monologo. Incenerì con lo sguardo un tentativo di domanda impertinente sull’arresto di Chiesa. Al suo fianco, Ferrarini sorrideva spavaldo.
Alle elezioni del 5 e 6 aprile però il PSI si dovette accontentare di una sostanziale tenuta alla Camera (al Senato andò leggermente meglio, con un +2.16%): il 13.62% (-0.65%) e 92 seggi (-2). Certo, molto meglio di una DC in crisi (29.66%, ovvero -4.66% e 206 seggi, cioè 28 in meno). Gli ex Comunisti portarono a casa i 107 seggi del PDS (Partito Democratico della Sinistra) e i 35 di Rifondazione Comunista. Tra PSI e Rifondazione si era insinuata la Lega Nord, che aveva ottenuto l’8.65% dei voti, buoni per 55 seggi.
A quelle elezioni avevano partecipato una trentina di liste.
Il leghista di Parma non era un energumeno come Pietro Bosco (per me, Guido Caprino ne fa il personaggio più riuscito in assoluto) della serie TV. Il referente era l’Avvocato Fabio Dosi, un trentenne che faceva dell’efficientismo la sua bandiera e la cui carriera politica finirà dopo la svolta secessionista di Umberto Bossi. Allora, per me ventenne, fresco di studi di Economia, convinto di avere davanti un grande futuro, se solo l’Italia si fosse decisa a cambiare, Dosi era un personaggio molto interessante. Per rendere l’idea, aveva un atteggiamento abbastanza simile a quello del personaggio di Formentini nel telefilm di SKY: arrogante il giusto, sicuro dei propri valori, convinto di diventare protagonista di una rivoluzione inevitabile.
Io non sono un rivoluzionario, al limite un contestatore, che però crede poco all’utilità delle azioni che mettono tutto sottosopra. Non mi fidai quindi della Lega e votai per il PSI. Fra l’altro, era la prima volta che votavo anche per il Senato.
In quei primi mesi del 1992 non si avvertiva aria di rivoluzione.
L’omicidio di Salvo Lima mi lasciò indifferente. E sono sicuro che molta gente prestò più attenzione alle imprese della barca Il Moro di Venezia di Raul Gardini nella America’s Cup. In quella Italia, era assodato che ci fosse gente piena di soldi che viveva in una specie di mondo dei sogni e che esisteva anche per far star bene noi, i comuni mortali.
Ma che qualcosa non andava, lo capii definitivamente quando il 23 maggio saltò per aria l’autostrada Palermo Punta Raisi. In quella che passerà alla storia come la Strage di Capaci morì il Giudice Giovanni Falcone (con lui la moglie e gli uomini della scorta). Nemmeno 2 mesi più tardi, nell’esplosione di un’autobomba in via D’Amelio a Palermo (dove viveva sua madre) perse la vita Paolo Borsellino (con lui gli uomini della scorta), altro Magistrato Antimafia. Ricordo benissimo che mi diede la notizia una ragazza che era stata mia allieva durante l’anno di Servizio Civile. La ascoltai mentre stavo per entrare in una pizzeria prima di una radiocronaca di baseball.
Il 1992 è anche l’anno delle celebrazioni colombiane (500 anni dalla scoperta dell’America), delle Olimpiadi di Barcellona. E’ l’anno dell’elezione di Bill Clinton alla Presidenza degli Stati Uniti. Nella serie TV, di questi eventi non si avverte nemmeno lontanamente l’esistenza.
Il serial di SKY non ha in effetti l’ambizione di raccontare una pagina di storia. Utilizza gli eventi come sfondo a una serie di storie personali, più o meno tragiche. Ci dipinge un’Italia di fumatori (la sigaretta è ostentata da chiunque e ovunque: è vero che anche da noi alla radio c’era chi fumava. Io no, per esempio) e di viziosi. Come avrebbe detto lo stesso Antonio Di Pietro, “sembra che fossero più importanti le tette delle tangenti” e Stefano Accorsi (ideatore della serie, interprete del pubblicitario Leonardo Notte) si ritaglia un ruolo da tombeur de femmes davvero inarrestabile: non ne perdona nessuna, dai 15 ai 50 anni. 1992, insomma, è una soap opera. E in questo mi ha tutto sommato deluso.
Certo, non manca di spunti interessanti (non sarei mica qui a scriverne, se non la pensassi così), ma non riesce a sembrare vero. Questo a cominciare dalle caratterizzazioni degli attori. Lo stesso Accorsi gigioneggia con il solito personaggio tormentato che gli hanno appiccicato addosso da Radio Freccia, Tea Falco (presa eccessivamente di mira, per altro) non è credibile nemmeno quando fuma, la dizione di quasi tutti i personaggi non la sentireste mai in una città italiana reale. Fanno eccezione il già citato Caprino/Bosco e Antonio Gerardi, che ci regala un Di Pietro consistente.
Gli ascolti sono andati bene e facilmente ci sarà una seconda serie (1993?) e perchè non una terza (1994?). L’esplosione di Mani Pulite, dopo tutto, fu proprio nel 1993.
Tornando a me: ricordo che presi male la decisione di Oscar Luigi Scalfaro, neo Presidente della Repubblica, di non dare a Craxi l’incarico per formare un Governo. Non posso (nè voglio) negarlo: ammiravo molto Craxi e non potevo credere che fosse veramente al centro di un sistema basato sulla corruzione. O forse, nel mio piccolo, quell’Italia in fondo mi stava bene e tutto sommato non volevo cambiarla. Ci dovrò riflettere su.