Il favoloso Giacomo Leopardi

CINEMA, LETTERATURA, SCHIROPENSIERO

Il mio rapporto con Giacomo Leopardi è iniziato a scuola. Il mio come quello di tutti gli altri, del resto.
Alle Medie, Leopardi era quello brutto e gobbo che era pessimista perchè a Silvia poteva dedicare solo poesie e non portarla fuori. E poi a me toccava studiarla a memoria, la poesia.
Al Liceo su Leopardi feci una grande interrogazione. Svoltai come studente agli occhi della professoressa di Italiano e svoltai come studente in generale, perchè mentre quel verso (il naufragar m’è dolce in questo mar) non mi usciva dalla testa, intuivo la grandezza che c’era dietro. Senza avere idea che Giacomo Leopardi aveva poco più dei miei anni, quando componeva L’Infinito in endecasillabi sciolti.
Non credevo comunque, e non ho mai cambiato idea, che fosse mai stato scritto niente di più bello di: “(…) e mi sovvien l’eterno/ e le morte stagioni, e la presente/e viva, e il suon di lei. Così tra questa/ immensità s’annega il pensier mio/E il naufragar m’è dolce in questo mare”.
E dico bello, perchè i versi di Leopardi questo sono: lo riconoscevano anche i suoi contemporanei, che pure si dicevano sicuri che di lui “Nel novecento non si ricorderanno nemmeno la gobba”.

Elio Germano interpreta Leopardi ne "Il giovane favoloso"
Elio Germano interpreta Leopardi ne “Il giovane favoloso”

Nel film Il giovane favoloso di Mario Martone il ruolo di Leopardi è affidato a Elio Germano. Nella prima parte del film, quando ancora le sue condizioni fisiche glielo consentono, Leopardi sale sull’ermo colle che gli è caro e declama L’Infinito. La prova di recitazione di Germano è assolutamente commovente. Lo è per tutta la durata del film, per essere chiari, visto che Germano si trasforma con il personaggio, sembra viverne la sofferenza, e gli dà la giusta fisicità.
“Ho conosciuto i più grandi esperti di Leopardi” ha detto l’attore in una intervista “Mi sono seduto alla sua scrivania. Lo considero un grande privilegio”.
Germano si augura che il film “ridia al cinema la facoltà di fare poesia” e penso proprio che la sua interpretazione abbia confermato quanto sia possibile “mostrare” (sono sempre sue parole) “ciò che non può essere detto con la razionalità”.

Il film mostra un Leopardi molto diverso da quello che hanno insegnato a scuola a me. E che penso si continui a insegnare, alla luce dei commenti di ragazzi molto giovani che ho trovato su Facebook e YouTube.
Qui siamo al mio terzo incontro con Leopardi, dopo quelli delle Medie e del Liceo. Ero a Roma Termini e stavo gironzolando per una libreria in attesa del treno, quando gli occhi mi si sono posati sulle Operette Morali, un lavoro notoriamente in prosa che Leopardi scrisse nel 1824 e che è una vera e propria summa del suo pensiero.
Quel che accadde quel giorno (del 2006, se non ricordo male) fu che io iniziai a leggere l’introduzione di Antonio Prete (critico e scrittore, esperto di Leopardi e Baudelaire) e a pagina 7 trovai la spiegazione (scritta in Francese da lui stesso) del perchè la filosofia di Leopardi non ha nulla a che fare con le sue sofferenze: “Invito i miei lettori a provare distruggere il mio pensiero, piuttosto che a giustificarlo con le mie sofferenze”.
Ormai il treno stava partendo e decisi di comprare il libro, una edizione economica Feltrinelli, che durante il viaggio iniziai a leggere avidamente.

Il giorno dopo a casa mi rivolsi a mia moglie, che è laureata in Lettere mentre io non ho studi superiori sull’argomento, con un chiaro: “Ma non è vero, che Leopardi era pessimista”.
Nel film lo stesso Leopardi dice: “Ottimismo…pessimismo…che parole vuote”.
E’ il Leopardi che ha letto Schopenhauer e che è molto attirato dalla filosofia orientale. Per lui come per Schopenhauer (ma anche per Gesù Cristo, se vogliamo dirla tutta…), quelli che comunemente consideriamo piaceri sono la strada verso l’infelicità. Più abbiamo, più vorremmo: non saremo mai felici, a questo modo. Se mi consentite l’accostamento, anche Badlands di Bruce Springsteen, che dubito abbia letto Leopardi e Schopenhauer, ma sicuramente ha sentito parlare di Gesù Cristo, dice più o meno le stesse cose: “Poor man wanna be rich, rich men wanna be king and a king ain’t satisfied till he rules everything”.
Dal profano al sacro: la pensa così anche Sant’Agostino nelle Confessioni (“Non essere vana, anima mia, non assordare l’orecchio del cuore con il tumulto delle tue vanità” e ancora “Dalla volontà perversa si genera la passione e l’ubbidienza alla passione genera l’abitudine e l’acquiescienza all’abitudine genera la necessità”). Appare quindi piuttosto incredibile, a noi lettori di oggi, che l’Accademia della Crusca si fosse posta allora il dubbio che Leopardi fosse ateo. Era anti-clericale, questo è certo: “Ho un grandissimo vizio ed è che non domando licenza ai frati quando penso nè quando scrivo”. Ma non significa la stessa cosa.

Gli anni 20 del secolo diciannovesimo sono gli anni della Restaurazione. In poche parole, si cercava di far cadere nell’oblio gli ideali della Rivoluzione Francese.
Finita l’era di Napoleone, in Europa riprendono potere i Sovrani assoluti. L’Italia (che va intesa come espressione geografica e non nazione) del centro nord è divisa in Regno di Sardegna, Granducato di Toscana, Regno Lombardo Veneto e Stato Pontificio (oltre a qualche altro Ducato, più piccolo di quello di Toscana e indipendente fino lì). Il Regno delle Due Sicilie comprende tutto o quasi il sud. Il Conte Monaldo, padre di Giacomo, è un uomo del suo tempo. Durante una cena (anno 1816) dice a Pietro Giordani: “Si è liberi nell’obbedienza della parola di Cristo e nella sottomissione al legittimo Sovrano”. Giordani, che aveva un’amicizia epistolare molto intensa con Giacomo e fu uno dei primi lettori delle Operette Morali, ovviamente abbozza. Come è noto, viveva nel Ducato di Parma e sarà più o meno direttamente coinvolto nei moti piemontesi del 1820. Moti che non portarono a nulla, se non estendere la ribellione al Regno delle Due Sicilie, dove venne soffocata dall’esercito austriaco. E nè in Piemonte nè in Sicilia si voleva una vera rivoluzione: quel che il popolo cercava era la proclamazione di un Costituzione, togliere insomma il potere assoluto al Monarca.

Nell’intervista che ho già citato, Elio Germano spiega che “Leopardi non può non essere attuale”.
Non so se ho voglia di leggere il film come una allegoria, tramite lo Stato Pontificio e il Gran Ducato di Toscana di ieri, dell’Italia di oggi. Ma so che la grandezza vera di Leopardi, al di là della sua abilità (quasi irreale…) nella metrica e nella scelta delle parole, è proprio la sua capacità di interpretare la natura umana. Quella in cui vive la definisce società stretta. Una società, cioè, nella quale il bene di pochi arriva a dispetto della sofferenza di molti (più universale di così…). In un’Italia divisa tra tanti Sovrani, tutti assoluti e a cominciare dal Papa, Leopardi predica (nelle pagine dello Zibaldone, 1823) che: “La perfetta uguaglianza è il fondamento essenziale della società”. Leopardi parla di democrazia (quasi assurdo, a quel tempo e in quella Italia) e che “L’uomo non ha ragione di trattare i suoi simili come individui di specie diversa. Il che egli non manca di farlo”.
In Leopardi, insomma, c’è tutto. Solo che a scuola non ce lo insegnano.

Il film si chiude con Leopardi che recita alcuni versi de La Ginestra, la lunga canzone fuori da ogni schema che compose a Torre del Greco pochi mesi prima di morire a nemmeno 40 anni. Mi ha particolarmente commosso sentire la voce sofferente di Elio Germano pronunciare questo verso: “E piegherai/sotto il fascio mortal non renitente/il tuo capo innocente:/ma non piegato insino allora indarno/codardamente supplicando innanzi/ al futuro oppressor…
Gli autori (Ippolita Di Majo firma la sceneggiatura con Martone; assieme avevano ridotto per il Teatro Le Operette Morali) hanno letto Leopardi molto attentamente. Hanno sparso per il film indizi per risvegliare i nostri ricordi di studenti, come l’incontro con Silvia (nessun verso recitato, ma quando la ragazza appare da più parti del cinema si sente mormorare: Silvia…). Hanno fatto un film importante per l’esperto di Leopardi e anche per chi è entrato in sala credendo che fosse un poveretto obbligato al pessimismo dalla gobba. Soprattutto, sono stati capaci di cogliere la voglia di vivere che Leopardi avrebbe avuto, ma che il corpo disgraziato che gli è stato dato in sorte ha letteralmente imprigionato.

IL SITO UFFICIALE su GIACOMO LEOPARDI

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