Zanzibar è un angolo d’Italia

Kenya, Tanzania e Zanzibar 2013-2014, VIAGGI

Riprendo il racconto del viaggio africano in maniera più diretta parlando della permanenza a Zanzibar. Si tratta di 2 articoli: questo sul soggiorno più in generale, ne seguirà uno sulle immersioni.

Abeid Karume negli anni '60
Abeid Karume negli anni ’60

Zanzibar mi ha accolto con un sacco di cartelli che annunciano il cinquantesimo anniversario della rivoluzione. Siamo al 27 dicembre e la data in questione è quella del 12 gennaio 1964.
Ottenuta l’indipendenza dall’Inghilterra (che era stata presente fin dalla fine del 1800, avendo di fatto interrotto l’egemonia del Sultano dell’Oman), il 19 dicembre 1963, Zanzibar era una Monarchia Costituzionale, retta dal Sultano (di Zanzibar, a tutti gli effetti, dal 1842). La situazione  era tutt’altro che stabile, visto che sulla scena operavano ben 2 partiti rivoluzionari: l’Umma Party (UP), con il leader Abdulrahman Babu (un arabo poco meno che quarantenne) e la sua spiccata vocazione marxista e  il socialista Afro Shurazi Party dell’esperto (classe 1905) Abeid Karume.
La rivoluzione fu però, e a tutti gli effetti, una sollevazione popolare. Probabilmente aiutati da qualcuno, diversi cittadini si impadronirono di armi della polizia e, in poche ore, occuparono tutti gli edifici di Stone Town. Il Sultano non ci pensò troppo e fuggì in Inghilterra.
In quei giorni sia Babu che Karume erano all’estero e un certo John Okello emerse come leader della rivoluzione. Ugandese, millantò di essere membro dei Mau Mau. In verità era un mitomane, per quanto pericoloso. Organizzò bande per fare una pulizia etnica di Zanzibar, al fine di eliminare arabi e indiani. Il film Africa Addio di Gualtiero Jacopetti racconta questi drammatici momenti.
Babu e Karume lo destituirono (per quanto Okello abbia tentato di compiacerli, nominandoli Presidente e Primo Ministro) e lo esiliarono. Okello poi scrisse (1967) un diario (Revolution in Zanzibar) che gli storici considerano del tutto inattendibile.
Abeid Karume fu nominato primo Presidente di Zanzibar e portò il paese verso l’integrazione con il Tanganica, il che fece nascere la Repubblica Unita di Tanzania (26 aprile 1964). La Tanzania che ne uscì era una Repubblica Parlamentare, nella quale il Presidente ricopriva il ruolo di Capo di Stato e Vertice di un Esecutivo del quale facevano parte il suo Vice, i Ministri e il Presidente di Zanzibar.
Nel 1972 Karume fu assassinato. Le indagini appurarono che si trattò di un ampio complotto, del quale faceva parte anche Babu. Quest’ultimo fu in un primo momento condannato a morte, poi graziato (1978) e subito dopo esiliato. Morì nel 1996.
Zanzibar ancora oggi ha un suo Presidente e una sua Costituzione, per quanto subordinata a quella della Tanzania. Il Chama Chama Madinduzi esprime il Presidente, che è Amani Abeid Karumi, il figlio del primo Capo di Stato. Il problema principale che il Presidente, in carica da 2 mandati, deve affrontare è quello rappresentato dal Civic United Front, un partito indipendentista dell’isola di Pemba. A essere precisi, Zanzibar (dall’Arabo zinjel barr, la terra dei neri) è il nome dell’arcipelago. L’isola principale si chiama Unguja, nella lingua dei Bantu, la popolazione originaria dell’isola.

Amani Abeid Karumi
Amani Abeid Karumi

La guida Lonely Planet garantisce che: “Quasi tutte le spiagge di Zanzibar sarebbero considerate eccezionali, se si trovassero altrove”. E’ un fatto: a Zanzibar si va più che altro per andare al mare. I lasciti dell’epoca araba sono praticamente scomparsi, se si eccettua la Moschea di Kizimkazi, nel sud di Unguja. Stone Town in sé è interessante, ma visitarla è anche un tormento: è impressionante il numero di persone che si offre come guida per farvi conoscere il mercato delle spezie o farvi acquistare tessuti. Una passeggiata per le sue vie indubbiamente merita, anche se le indicazioni e le informazioni sono sommarie. Non si sa nemmeno se è proprio quella indicata, la casa del figlio più celebre di Stone Town: Faroukh Bulsara, divenuto piuttosto noto con il nome d’arte di Freddy Mercury.

La casa di Freddy Mercury a Stone Town
La casa di Freddy Mercury a Stone Town

Con un’ora di macchina dall’aeroporto arriviamo a Waikiki, un resort che si affaccia sulla meravigliosa spiaggia di Matenwe. Avremmo desiderio di cambiarci e fare un giro in spiaggia, ma c’è un addetto alla reception probabilmente pazzo (impareremo che si fa chiamare Miraggio) che ha tutto un suo rituale di presentazione, che va dai servizi dell’hotel, all’orario dei pasti a una breve visita guidata. Miraggio ci parla in un Inglese faticoso del quale si scusa: “Scusate, ma so meglio l’Italiano”.
Sinceramente, penso di aver avuto un’allucinazione. Ma quando Miraggio ha in mano i passaporti, passa effettivamente a parlare in un Italiano sicuro, quasi gergale: “Scusate, ma questa sera c’è una festa. Faremo un po’ di casino”.
Waikiki è a gestione completamente italiana. Si presenta un romano con barba che si definisce Food and Beverage Manager e si fa chiamare Raffo. Il capo si chiama Flavio ed è sposato con una Inglese che si chiama Sarah e che, a occhio, è il vero capo. Lui (dico Flavio) in compenso chiacchiera un sacco. Dichiara di essere un DJ, poi all’ultimo dell’anno va in console e non sa neanche mixare.  Mi  sarei voluto proporre io….
Il Waikiki è un bel posto. Si impegnano un sacco, anche se non sono proprio di una professionalità cristallina. Hanno il fiore all’occhiello del forno a legna, con un bravissimo pizzaiolo (che chiamano Balotelli). A colazione bisogna ordinare quel che si intende mangiare sia a pranzo (ma noi per il pranzo ci affidiamo a Balotelli con sistematica coerenza) che per la cena.  Leggo sul mio diario un 4.5 al risotto della prima sera e una certa insofferenza per l’attesa della grigliata di pesce. Stando a Raffo, c’è la cicala di mare che è una rarità, ma io l’ho veramente mangiata anche a Rimini e più di una volta.
La sistemazione è spartana. Non abbiamo trovato posto nelle camere con aria condizionata e questo è un limite, perché senza zanzariera non si vive e il ventilatore fa e non fa. Nelle stanze non c’è lo shampoo e, a mala pena, danno la saponetta. Per comprare lo shampoo (ovviamente, non per me) ci incamminiamo verso un presunto paese: 4 baracche senza corrente elettrica. Ma alla fine lo troviamo, grazie alle indicazioni di un Masai che parla clamorosamente italiano.
Al Waikiki pago un’imprudenza che, con il sole africano, non ci sta. Mi faccio incastrare dai papasi o beach boys che offrono vari prodotti (“Con noi le gite sono uguali a quelle dell’albergo, solo costano meno”) che si presentano come Ali Baba e Raggio di Sole. Mi fermo 10 minuti, ma basta per avere fastidio alle spalle.
Come detto, la spiaggia è meravigliosa. Ma quando c’è bassa marea, fare il bagno è praticamente impossibile.

Indimenticabile Kendwa
Indimenticabile Kendwa

Il bagno si fa tranquillamente a Kendwa, la spiaggia dove alloggiamo per gli ultimi giorni a Zanzibar.
E’ un posto da sogno, anche se la Lonely avverte: “L’atmosfera di un tempo è stata cancellata dall’invasione dei turisti italiani e dei loro pacchetti all inclusive”.
Come il nostro alla Gemma dell’Est, posto piuttosto esclusivo (tecnicamente, svizzero; ma la lingua ufficiale è l’Italiano) e che ci coccola nel modo che desideriamo. Ci risolve anche il problema della crema solare finita, sia nelle nostre scorte che nel negozio della Gemma, un impiegato della reception, che recluta un suo amico e ce la fa comprare a Nungwy, il centro abitato più vicino.
L’unico problema è che il mare è mosso, quindi l’acqua non è cristallina come a Matenwe. Però alla mattina si gode di uno spettacolo fantastico con la bassa marea, che qui (la spiaggia è in pendenza) non impedisce il bagno. Per il resto la permanenza è spettacolare. Abbiamo praticamente un appartamento, con frigo bar open e aria condizionata in tutte le stanze. La scelta per la cena è ampia (anche se il ristorante principale a buffet è il meglio). C’è perfino un cuoco (John) che cucina la pasta al momento, facendo scegliere gli ingredienti per il soffritto.

Onestamente: questo lusso stride molto con la miseria in cui vivono i locali.
Ma non lo negherò: lasciando la Gemma, penso che la cosa veramente brutta è che siamo dovuti ripartire.