Gli Stati Uniti e un piano a lungo termine per lo sviluppo giocatori di baseball

BASEBALL, Mondiale Under 18 2017

Avevo avuto il sospetto fin da subito, ma durante la finale (che hanno vinto 8-0 contro la Corea) è maturata la certezza: gli Stati Uniti erano di una categoria diversa, rispetto alle altre 11 partecipanti al Mondiale Under 18 2017.
Ho ripensato a quel che avevo scritto (l’articolo completo apre questa serie) al termine dell’altro Mondiale Under 18 a cui ho assistito (2008, sempre in Canada ma a Edmonton) e che si era chiuso con una finale tra USA e Corea, dominata però dagli asiatici: “Il Team USA è sembrato andare in campo per esibirare al mondo i suoi giovani fenomeni. La Corea ha giocato per vincere”.

Mentre le squadre si preparavano alla premiazione sono sceso in campo e mi sono avvicinato a Triston Casas, che sarebbe stato premiato di lì a poco come MVP del torneo. Era la prima scelta di chiunque prima della finale, poi nella partita per la medaglia d’oro ha battuto singolo (dopo un chilometrico fuoricampo in foul) in campo opposto al primo turno, doppio al secondo, fuoricampo di incredibile potenza al terzo turno. Niente male, visto che Casas è classe 2000, quindi in teoria eleggibile anche nel 2018 per questa fascia d’età.
La cosa più impressionante di Casas, che mi guarda dritto negli occhi quando parla (il che significa che è molto sereno, non ha soggezione, ma anche che è alto quasi quanto me, ovvero più di 1.90), è che si esprime già come un giocatore scafato. A suon di: “il fuoricampo in foul era solo uno strike” e “voglio diventare un battitore completo, che sa usare tutto il campo”.
Casas è un eccellente atleta. Magari non velocissimo, ma perfettamente pronto per giocare a baseball. Ha iniziato a praticarlo a 6 anni (come molti dei giocatori italiani di primo piano) e gioca a livello di High School, quindi niente di riservato ai soli eletti. Dunque, come fa a essere così pronto?

Triston Casas in battuta durante la finale (Christian J Stewart-WBSC)

Gli Stati Uniti stimano (a fine 2016) un numero di praticanti che supera i 14.7 milioni. Un’enormità, ma comunque in calo rispetto agli oltre 16 milioni del 2007. Sono Campioni del Mondo a livello assoluto (World Baseball Classic 2017), a livello Under 12 e Under 18 (hanno vinto anche questi titoli nell’anno in corso; quello Under 18 è loro per la quarta volta consecutiva). Eppure sentono il bisogno di “ripensare a come viene organizzata, strutturata ed eseguita l’attività nel baseball“. Da qui nasce il Long Term Athlete Development Plan (LTADP) che USA Baseball (l’ente che organizza l’attività delle nazionali) ha varato con la collaborazione della MLB (Major League Baseball)

L’autore principale è Joseph Myers, Direttore della Baseball Performance Science dei Tampa Bay Rays. In premessa dice che lo scopo di questo lavoro è anche “aumentare il divertimento per chi gioca e creare una cultura che porti il baseball a essere uno sport per tutta la vita. Nonostante le ovvie (a cominciare da quei 14 milioni di praticanti: i nostri si contano in migliaia…) differenze tra il nostro movimento e quello statunitense, direi che c’è più di qualche ragione per condividere quegli obiettivi.

I principi chiave del piano sono:
-> allenarsi in sicurezza (sviluppare abilità motorie, arrivare a una buona condizione fisica, prevenire infortuni)
-> istruzione ad atleti, genitori, coach (Myers stima nello scarso livello di molti coach uno dei motivi del calo di praticanti; gli atleti di oggi, sono i coach di domani)
-> creare opportunità per giocare, qualsiasi sia il livello di abilità (il baseball deve arrivare a essere attività di tutto l’anno)
-> rimuovere le barriere, far giocare tutti
-> competere a livello internazionale (a questo l’Italia è arrivata da 50 anni)

Il piano è articolato su 7 diverse fasi, 6 delle quali corrispondono a una fascia d’età.

Per le prime 3 fasce d’età, si prevede solo attività ricreativa.
Fino ai 7 anni si invitano i bambini a provare. Ai futuri giocatori dev’essere proposto un gioco (un baseball modificato) che li diverta, li renda creativi. Accettiamo che non pratichino solo baseball.
Dai 7 ai 12 anni i bimbi sono invitati a scoprire il gioco. Si iniziano a formare le qualità del giocatore di baseball (ad esempio: li si porta a battere contro un lanciatore), ma il gioco può essere ancora modificato, rispetto alle regole standard. Si inizia a motivare i bambini verso l’ ottenimento di un risultato, tenendo conto che in questo momento è comunque molto più importante socializzare, che non vincere.
Dai 12 ai 14 anni il bambino inizia a progredire. Qui si introduce la meccanica. Il lavoro atletico tiene conto dell’età e degli aspetti tecnici che deve supportare. Il bambino lavora per migliorarsi, ma non si dedica a tempo pieno solo al baseball.

Lo sviluppo vero e proprio si ha tra i 14 e i 16 anni. Qui cominciamo a scegliere un (o anche più d’uno) ruolo preferito ed è accettabile che il baseball diventi l’unico sport praticato. Ma l’attenzione massima è ancora sulla socializzazione e il divertimento.

Queste ultime 2 fasi riguardano solo gli atleti destinati a concepire lo sport come qualcosa di più di una attività ricreativa.
Trai 16 e i 18 anni
si parla di applicazione. I migliori atleti si dedicheranno probabilmente solo al baseball e passeranno più tempo a lavorare specificamente sulle caratteristiche del loro ruolo. Non si deve mai dimenticare che il talento nello sport non ne fa ragazzi speciali rispetto ai loro coetanei nella vita di tutti i giorni. Questo devono essere aiutati a capirlo. Il tempo dedicato agli allenamenti e alle partite dovrebbe essere circa uguale. In totale, l’atleta è impegnato 4 o 5 giorni alla settimana. Diventano fondamentali i concetti di squadra e di risultato: si allena anche a gestire la situazione di pressione (conto pieno e punto del pareggio in base, mentre si è in battuta all’ultimo inning). Il ragazzo deve cominciare a saper valutare da solo in cosa sbaglia.
Dai 19 anni in poi si lavora per l’eccellenza. Questi atleti puntano ad arrivare al massimo livello (per noi dovrebbe essere giocare nella IBL). Il risultato diventa importante, ma non al punto di compromettere il futuro dell’atleta. Giunti a questa fase, è probabile che l’atleta giochi solo a baseball, ma non deve essere obbligatorio. Per questi atleti è necessario aumentare le partite rispetto agli allenamenti. Comunque, si va in campo tutti i giorni.

La settima (e ultima) fase è quella dell’ispirazione e si applica a ogni fascia d’età. Anche chi non è destinato all’eccellenza può essere coinvolto in una versione del batti e corri per tutta la vita: lo slow pitch come giocatore o qualsiasi livello di baseball o softball come coach, arbitro o volontario. O anche semplice spettatore. Soprattutto: cerchiamo di ottenere lo scopo che chi si è avvicinato al baseball continui a fare attività fisica.

Tralascio (per ovvi motivi di spazio) di entrare nei dettagli tecnici del LTADP (il piano in totale supera le 40 pagine). Per chi lo volesse leggere integralmente, il file è disponibile per il download al link sotto. Ovviamente, è scritto in Inglese. E auspico che la FIBS lo traduca quanto prima, al fine di condividerlo con il movimento.

LTADP (Long Term Athlete Development Plan) USA Baseball

Dopo aver illustrato il piano, mi aspetto 2 tipi di commenti:
1) Ma noi lo facciamo già
2) Ma in Italia non lo si può fare
Nell’invitare tutto il movimento a riflettere sul piano, cerco di disinnescare i 2 punti di vista standard.

Questo LTADP cancella dal quadro uno dei luoghi comuni più…comuni: “i nostri bambini non giocano abbastanza”. Come si legge, secondo gli americani giocare molto diventa importante quando si è effettivamente capaci di giocare. Fino alla fascia tra i 16 e i 18 anni, non si fa menzione di andare in campo 4 o 5 giorni alla settimana.

Anzi, fino ai 12 anni i bambini devono “provare”. Devono arrivare a battere contro un lanciatore per gradi. Devono soprattutto divertirsi, apprendere per gradi come si tira e come si prende la palla. Di fondamentali, si parla verso i 14 anni.
Quindi: chi vedeva nei ragazzini statunitensi dell’Under 12 “fondamentali perfetti” forse non stava guardando tanto bene. O, almeno, non stava guardando le cose giuste.

I veramente bravi devono poi andare in campo tutti i giorni e, possibilmente, giocare più di quanto non si allenino. Si tratta di una indicazione di cui dovrebbe far tesoro soprattutto l’Accademia di Tirrenia, che ha a disposizione l’eccellenza del movimento. Almeno in teoria, perché so che non sono pochi coloro che ritengono di poter esprimere dubbi sul sistema di reclutamento. L’argomento mi interessa poco: do per scontato che chi sceglie sappia quello che fa. E poi c’è un’altra cosa: nessuno è così idiota da scartare un fenomeno.
A proposito dei più bravi: una cosa che è veramente rivoluzionaria (dal punto di vista italiano) di questo piano è il concetto che i più bravi devono lavorare più degli scarsi. Un concetto forte è anche quello che questi ragazzi dotati devono essere aiutati a capire che nella vita di tutti i giorni non sono necessariamente superiori ai loro coetanei come lo sono su un campo da baseball.

Un altro concetto importante, ma su questo negli ultimi 3 lustri sono stati in effetti mossi molti passi nella direzione giusta, è che per fare un giocatore di baseball serve un atleta. E l’atleta si costruisce fin dall’insegnamento delle abilità motorie di base.

Quello che mi piace di più, e concludo, è il concetto di cercare di legare al mondo del baseball per sempre chi si avvicina al baseball da bambino. Non è per niente banale: pensate a come potrebbero essere pieni i nostri stadi, con tutta quella gente che è fuggita dal nostro movimento a gambe levate e incazzata.

Ah, un post scriptum: questo LTADP è un piano a lungo termine. Nessuno dovrebbe pensare di poter stampare le 40 pagine, applicarlo e mettere in campo nel 2019 una squadra in grado di vincere il Mondiale Under 18.