Rispetto allo scorso inverno, ho in parte superato l’ansia da immersione con gli squali. Merito del pieno che avevo fatto alle Bahamas, penso.
Mi permetto di aggiungere un piccolo glossario per chi non è subacqueo: il GAV (Giubbotto ad Assetto Variabile) ha la stessa funzione della vescica natatoria dei pesci: si gonfia e si sgonfia per scegliere la profondità; il log book è il diario su cui si raccolgono i dati delle varie immersioni: il dive master è colui che guida l’immersione
Alle Maldive prendono molto sul serio le immersioni. Ogni subacqueo deve avere al polso un computer ed è obbligatorio fare la cosiddetta check dive (prova dell’attrezzatura e della vostra abilità). Ma domenica 31 dicembre 2017, non so come, abbiamo convinto la titolare del diving center di Fun Island (una piccoletta di Singapore sposata con un russo) che non ne avevamo bisogno. Ma ne avremmo avuto bisogno. Io sono sceso con troppi chili addosso e sono andato giù come un sasso. Mia moglie aveva una muta di taglia XL che forse sarebbe andata bene a me.
La prima immersione l’abbiamo fatta a Kandooma Caves, che secondo le guide è uno di quei siti “che non può mancare nel vostro log book”. Le grotte più impegnative comunque non erano praticabili.
Nadif, il dive master, ci aveva invitati a scendere rapidi senza galleggiare. C’è in effetti molta corrente. Quando gli ho chiesto perché non usavamo la corda, mi ha incenerito con lo sguardo: “per non danneggiare la barriera corallina”.
Come ho detto, sono sceso come un piombo e ho dovuto armeggiare con il GAV per trovare una mia posizione (tecnicamente: assetto) lontano dal fondo. Ma appena mi sono potuto concentrare sulla popolazione, gli iniziali fastidi sono svaniti: eravamo circondati dagli squali pinna bianca.
Incontrare i pinna bianca in immersione alle Maldive è abbastanza facile. Si tratta di squali innocui e che raramente superano la lunghezza di 1.5 metri. Danno una certa soddisfazione perché passano e ripassano vicini ai subacquei e danno l’impressione di fissarli con il classico occhio pallato da squalo. Certo, il loro aspetto non è quello del classico pescecane. Il loro corpo è infatti molto affusolato.
La natura, ovviamente, non fa le cose senza un motivo: i pinna bianca vivono sulle barriere e cacciano prevalentemente di notte, infilandosi negli anfratti rocciosi. Fossero più massicci, non potrebbero farlo.
Non è raro vedere questi squali appoggiati sul fondo sabbioso. Possono farlo perché sono dotati di un organo, situato da qualche parte dietro gli occhi, che consente di pompare acqua nelle branchie.
La cosa più divertente dello squalo pinna bianca è il suo nome scientifico: triaenodon obesus. Gli è stato attribuito dal naturalista tedesco Wilhelm Rueppel, che osservò per primo questi pesci nel 1817 durante un viaggio in Sinai e li classificò una ventina d’anni dopo. Pur essendo un carcarinide, lo squalo pinna bianca è di fatto unico e per questo Rueppel cercò un nome scientifico unico. Certo, obesus in Latino significa grasso ed è assurdo che venga definito grasso proprio lo squalo con il corpo più sottile. In effetti, Rueppel intendeva dire tutt’altro, con la scelta del nome. É possibile che ignorasse il termine obesus. Comunque, finì con il comporre una parola fatta da esus (il mangiare) e ob (un prefisso che, stando alle mie ricerche di ex studente somaro di Latino, assume il significato di “al contrario”). Leggo anche che questo significato di obesus corrisponde a un uso arcaico della lingua. E non penso che il termine derivi dal greco, visto che in greco moderno obeso si dice “pachýsarkos” (grazie Google). Fatto sta che il naturalista tedesco intendeva dire che questo squalo mangia poco.
Il pinna bianca, che è viviparo (ovvero i piccoli si formano nel corpo della madre) è forse l’unico squalo di cui sia stato possibile osservare il rituale di accoppiamento.
Oltre che per il corpo affusolato, il pinna bianca si riconosce bene in acqua per la caratteristica punta bianca della pinna dorsale e della pinna caudale da cui deriva il nome. Non è però l’unico squalo ad avere questa caratteristica. Ha la parte superiore della pinna dorsale e della pinna caudale bianche anche il pericoloso longimano (carcharhinus longimanus), uno squalo che vive in alto mare. Per la verità, il longimano è facilmente riconoscibile sia per le differenti dimensioni (quasi tutti gli esemplari adulti arrivano ai 3 metri) che per le pinne pettorali molto lunghe e arrotondate.
La confusione tra questi 2 squali può causare tragici incidenti. Accadde a Sharm El Sheikh a fine 2010. Dopo 2 attacchi che non avevano provocato vittime (ma gravi ferite, con tanto di amputazione di arti, per una turista russa), la spiaggia di fronte all’hotel Hyatt Regency era stata riaperta a seguito della cattura di un pinna bianca di inusuali dimensioni, ritenuto il colpevole. Pochi giorni dopo il vero squalo killer ha ferito a morte una donna tedesca.
Sul Mar Rosso il longimano rappresenta un’attrazione per i sub che si immergono in profondità e viene spesso attirato con esche di vario tipo per dare migliori opportunità di foto. La pratica è assolutamente deleteria, perché se lo squalo si avvicina troppo alla costa per seguire il cibo facile, e a un certo punto non viene più nutrito (per qualsiasi motivo, anche perché calano i turisti che lo vogliono fotografare), finirà con il cercare cibo altrove. Ma senza allontanarsi troppo da dove era solito trovarlo, visto che gli squali sono fortemente territoriali.
Gli esseri umani non fanno parte della dieta degli squali, ma una persona che nuota in superficie attira inevitabilmente il predatore.
Per la cronaca, gli attacchi di squalo (oltre al longimano, un’altro squalo oceanico si avvicina pericolosamente alla costa ed è il mako, isurus oxyrinchus) si intensificano sempre di più nel Mar Rosso. Sugli episodi del 2010 vi propongo questa interessante testimonianza.
Alle Maldive è rigorosamente (e giustamente) vietato interagire con la fauna marina.
A 30 metri di profondità abbiamo fatto un incontro indimenticabile: un intero squadrone di aquile di mare, che si muoveva in formazione, con tanto di vedette a precedere il grosso del gruppo e sentinelle a chiuderlo. Purtroppo, l’acqua era un po’ lattiginosa e non sono uscite foto eccezionali.
Essendo l’immersione profonda, siamo risaliti dopo 37 minuti.
La seconda immersione l’abbiamo fatta a Los Fushi Kandu, un canale che unisce 2 atolli. Lo abbiamo attraversato a favore di corrente, che era molto forte. Il che ha avuto il suo lato positivo: non abbiamo dovuto pinneggiare per niente. “Siamo letteralmente in balia” ho scritto sul mio diario.
Questa seconda immersione è caratterizzata dalla presenza di tartarughe, altra compagnia abituale, per chi si immerge alle Maldive.
Ho già scritto che la tartaruga (quelle delle Maldive sono tartarughe verdi, chelonya mydas, che sono piuttosto grandi). Rispetto ai pesci, nuotano lentamente e per questo danno molta soddisfazione ai sub. Le abbiamo viste in tutte le condizioni possibili: appoggiate sul fondo, di passaggio e anche mentre si nutrivano. Fotografarle non è però così semplice, se non si usa lo scatto a raffica. La tartaruga che nuota avrà l’inquietante tendenza a mettere una zampetta davanti al muso.
Durante questa immersione si è palesato anche uno squalo pinna nera. Il nome scientifico di questo pesce è carcharhinus melanopterus, secondo la definizione data nel 1824 dai naturalisti francesi Quoy e Gaimard. In questo caso non ci sono equivoci sul nome scientifico: melas in greco significa nero e pteron vuol dire pinna (o ala). Anche per lui è comunque possibile la confusione con uno squalo di grandi dimensioni: il carcharhinus limbatus (definizione dei tedeschi Mueller e Henle, 1839) o squalo orlato (limbatus significa in latino appunto orlato, bordato), che vive a grandi profondità e ho potuto osservare da vicino alle Bahamas.
Il pinna nera è viviparo e i piccoli, che appena nati sono perfettamente formati e autonomi, sono un incontro abituale per chi cammina sul bagnasciuga.
Il nostro esemplare si rivela particolarmente socievole. Dopo un primo passaggio, ce ne garantisce un secondo in favore di macchina fotografica.
Risaliti dopo 48 minuti, abbiamo avuto tutto il tempo per rilassarci e prepararci per l’attesissima gala dinner di fine anno. Purtroppo per gli organizzatori, non è andato bene nulla. Ha iniziato a piovere verso le 20, scombinando tutti i piani. C’è stato un fuggi-fuggi dai tavoli (non da parte nostra, che siamo arrivati giusto mentre iniziavano a cadere le prime gocce…) ed è stato necessario riassemblare l’impianto di amplificazione. Il fido Alì, dopo averci convinti a prenotare una bottiglia di spumante, l’ha venduta a qualcun altro e ne ha recuperato una di marca diversa da quella che avevamo scelto, e che oltretutto sapeva di tappo, solo all’ultimo secondo. L’intrattenimento è terminato esattamente a mezzanotte e un quarto.
Ma noi l’abbiamo buttata sul ridere. É andata peggio a una coppia di Ravenna, arrivata al resort alle 21.40 e finita a letto senza cena.
6-CONTINUA