In un interessante articolo sul Financial Times il giornalista inglese Sam Leith ha fatto un’analisi serena quanto spietata dell’eloquio di Donald Trump. Lo ha definito una word salad (insalata di parole; “Ripete termini semplici, ma che suscitano emozioni, in frasi che sono praticamente prive di struttura grammaticale”), infarcita di anacoluti (cioè frasi costruite in modo incoerente dal punto di vista della sintessi; valga ad esempio il celebre “voglio una vita, che non è mai tardi” di Vasco Rossi. Alessandro Manzoni ha dato dignità letteraria all’anacoluto, che è così tipico dell’Italiano parlato) e malapropismi (quando si sostituisce una parola con una che suona uguale ma ha un significato completamente diverso; un mio amico, valga anche questo ad esempio, una volta disse “i miei esegui” intendendo “i miei ossequi”; non è di madre lingua italiana…).
Quella in cui Trump eccelle davvero è però un’altra figura retorica: la simploche. Prendete questa frase: “We will make America proud again. We will make America safe again. And we will make America great again”. Esprime un concetto banale (faremo l’America di nuovo orgogliosa, sicura, grande) e Trump avrebbe potuto esprimerlo in meno parole. Ma la sua simploche (ripetere quasi tutte le stesse parole, in questo caso “we will make America again”, frase dopo frase) si è rivelato particolarmente efficace. Sia chiaro, non è un gran eloquio, però funziona.
Piuttosto, quel che inquieta è il Maestro che Trump ha (volontariamente o meno, non lo so) preso ad esempio. Leggete questa definizione: “(…) una propaganda efficace deve limitarsi a pochissimi punti, ma questi deve poi ribatterli continuamente, finché anche i più tapini siano capaci di raffigurarsi, mediante quelle parole implacabilmente ripetute, i concetti che si voleva restassero loro impressi”.
Chi è l’autore? Adolf Hitler. Si tratta di un estratto della prima parte del suo Mein Kampf.
Non è un caso che il giornalista tedesco Timur Vernes, nel suo brillantissimo Lui è tornato (ipotizza che Hitler attraversi lo spazio tempo e, dopo l’esplosione del suo bunker, si ritrovi nella Berlino di oggi) ci descrive l’incredibile ascesa dell’ex Fuehrer grazie ai suoi monologhi impropriamente (ignoranza e inconsapevolezza, ma forse anche spregiudicatezza dei produttori) collocati in un programma televisivo satirico.
Hitler, come sappiamo, non aveva idee davvero sue. Il suo ispiratore era Benito Mussolini. Il quale a sua volta non si era inventato nulla, ma aveva preso spunti da Psicologia delle Folle del francese Gustave Le Bon, libro del 1895.
Torno al pezzo di Leith e al paragone che fa tra lo slogan elettorale di Trump “Make America Great Again” o quello delle campagna per la Brexit (“Take Back Control”) e quelli flaccidi e senza verbi di Hilary Clinton o della campagna Remain: “Better Together” e “Stronger In”.
Lo stesso Boris Johnson, uno dei punti di riferimento della campagna per la Brexit, ha detto che: “La cosa triste della campagna Remain era la totale assenza di parole cariche di emozioni, chiamate all’azione, al cambiamento, astrazioni appropriate”.
Presentarsi con grafici e statistiche, aggiunge Leith, non ha avuto un “impatto significativo”.
Sulla campagna Remain ha messo il più classico dei carichi da 11 Michael Gove, il Segretario per la Giustizia del Regno Unito: “La gente ne ha avuto abbastanza, degli esperti”.
Insomma, per farsi capire serve un linguaggio emotivo, impaziente, da outsider e non da iniziato. Lo sapeva Hitler negli anni ’30 del secolo scorso (sempre dal Mein Kampf): “La ricettività della grande massa è molto limitata, la sua intelligenza mediocre, e grande la sua smemoratezza”.
L’idea che “la grande massa” di oggi sia pari a quella degli anni ’30 mi fa venire i brividi. Avrete però notato che io (ma lo stesso fa Leith nel testo originale) ho cautamente spiegato cosa significa anacoluto (chi studia Manzoni fin dalle medie, dovrebbe conoscere il termine) e malapropismo (qui siamo a difficoltà media) e simploche (chi non ha studiato le figure retoriche, fa onestamente fatica). Qualunque opinione si abbia dell’interlocutore, quando ci si vuole far capire è meglio non lasciare niente di intentato. E’ anche una forma di rispetto per gli altri e, credo, l’essenza del lavoro di chi deve comunicare.
Nelle campagna elettorale per la Presidenza degli Stati Uniti Michelle Obama e Hilary Clinton avevano concluso: “When they go low, you go high” (più gli altri si abbassano, più tu devi volare alto).
Bene, benchè io condivida in lineo di principio l’idea, temo che non ce la si possa più permettere. In poche parole: Michelle e Hilary hanno lasciato qualcosa di intentato.
Uso (con una traduzione idiomatica e non letterale) la chiosa dell’articolo di Sam Leith per spiegarmi: “La Retorica è uno strumento. Si deve dire quel che funziona”
Sam Leith, classe 1974, ha affrontato per esteso questi temi nel libro You Talking to Me? Rhetoric from Aristotle to Obama.