L’attrazione di Cabo San Lucas è El Arco, una conformazione rocciosa quanto meno suggestiva, che il vento ha creato proprio dove il Mar di Cortez e l’Oceano Pacifico si incontrano. Tutti ci vanno con il taxi d’acqua; servono solo pochi minuti di barca e poi si prosegue la giornata sulla Playa del Amor, dove si può fare il bagno perché l’acqua è calda e relativamente tranquilla. Certo, salire e scendere dalla barca non è così agevole. Io, per non aspettare, salto in acqua atleticamente. Peccato che il calcolo sull’arrivo dell’onda sia sbagliato e io finisca in acqua lungo disteso.
Dal Mar di Cortez ci si può affacciare sull’Oceano arrivando a piedi alla Playa del Divorcio, dove si infrangono onde terrificanti. Il posto è, senza mezzi termini, meraviglioso, il clima è perfetto e la giornata passa veloce. Poi si ritorna alla Marina con il taxi d’acqua; questo ammesso che vi venga a prendere. Il viaggio di andata e ritorno costa 10 dollari, ma il mio consiglio è pagare solo metà della tariffa, anche se il barcaiolo farà l’offeso, di fronte alla proposta. Ma è meglio che vi tenga il broncio il barcaiolo, piuttosto che pagare 2 volte.
L’alternativa ai taxi d’acqua è andare a piedi. Ma non bisogna caricarsi eccessivamente, perché ci sono punti in cui si deve arrivare in acqua fino alla vita, specie al ritorno quando la marea è alta.
Le spiagge più vicine alla Marina sono frequentate essenzialmente dai residenti, che arrivano al mare con pacchi di roba da bere e da mangiare e improvvisano attività all’aperto, tipo schemi di football americano. C’è un gruppo di ragazzini coordinato da un trentenne (lo zio?) che ha decisamente dato fondo alla sua scorta di birra e ride come un matto. Il gruppo ha 2 o 3 american pitbull, tipo di cane particolarmente diffuso qui al Cabo e che i pellicani, che continuano a pattugliare la costa, guardano con estremo sospetto.
Lasciamo Cabo San Lucas alla mattina alle 8, quando è ancora deserto. Completiamo il periplo della penisola e risaliamo verso San José del Cabo, località ormai invasa dai Resort All Inclusive.
La perla della zona dovrebbe essere Cabo Pulmo (ma c’è da fare una deviazione di 39 chilometri e, a malincuore, soprassediamo), dove si trova una barriera corallina e le cui acque sono frequentate dallo squalo martello. Spiagge dedicate ai bagnanti si trovano anche a Los Barriles. Sono posti incontaminati, ma non si sa per quanto. C’è persino un’associazione (www.pulmoamigos.org) che si batte per preservare questo lembo di costa dalla speculazione edilizia.
Viaggiando verso nord, attraversiamo il Tropico del Cancro. Come noto, i Tropici sono 2: quello del Cancro è nel nostro emisfero, quello del Capricorno è nell’emisfero australe. Il Tropico del Cancro corrisponde al parallelo più settentrionale in cui il Sole è allo zenit nel solstizio d’estate. Più a nord del Tropico, i raggi del Sole non cadono mai perpendicolari alla superficie della Terra. Si chiama così perché, quando il Tropico venne ufficialmente misurato, nel solstizio d’estate il sole si trovava nella Costellazione del Cancro, cosa che oggi non è più vera.
L’impiegato della Hertz non salta di gioia, quando scopre che ci deve accompagnare al porto di Pichilingue, a poca distanza da La Paz. Da lì ci dobbiamo imbarcare per Los Mochis.
La coda per ritirare il biglietto, prenotato settimane fa via internet, risente della presenza di uno sconvolto, che vorrebbe cambiare il suo biglietto in cambio di soldi. La cosa non si può fare, ma lo sconvolto (che parla solo Inglese e si deve far aiutare per comunicare) non ci crede e se la prende con la bigliettaia: “Sei il male assoluto” le dice “E andrai all’Inferno”. Non posso fare a meno di notare che lo sconvolto non si lava da almeno 15 giorni.
I controlli di sicurezza sono ai limiti della paranoia. Dobbiamo esibire i documenti di identità almeno 5 volte e un poliziotto ci registra. I bagagli sono scansionati come in aeroporto.
Sul Ferry della compagna Baja Ferries salgono anche diversi container merci. Per salpare, gli addetti del porto devono raggiungere gli ormeggi in barca e sganciare le corde.
Sulla nave non tutti hanno la cabina o il posto a sedere, così c’è molta gente che bivacca sdraiata per terra o al ristorante, dove almeno ci si può sedere. Il pasto è incluso nel biglietto, ma la sala non può ospitare tutti i passeggeri contemporaneamente. Così gli altoparlanti annunciano: “Chi ha già consumato il pasto, è pregato di liberare i posti”.
La cosa più bella, tra i servizi a bordo, è l’angolo del Karaoke, gestito da una ossigenatissima showoman piuttosto in carne. Stendiamo un velo pietoso sulle esibizioni, naturalmente. Comunque, l’unica canzone che conosco è Feliz Navidad y prospero ano y felicidad che mi era così piaciuta qualche anno fa a Quito, in Ecuador.
Sulla nave siamo tra i pochissimi non messicani. E io sono, ma di gran lunga, il passeggero più alto.
Il viaggio dura 6 ore e la procedura di sbarco è assolutamente delirante. Prima di arrivare al terminal, dove si possono recuperare i bagagli, è necessaria un’ora di incomprensibile coda. All’esterno ingaggiamo un taxista che mi sembra centenario e che ha una macchina della sua stessa generazione. I nostri bagagli sono eccessivamente grandi per il suo bagagliaio, così decide di legarli con una corda. Durante tutto il tragitto verso l’hotel Corinthos, la macchina cigola tremendamente.
Sono già in camera quando leggo sulla guida ‘Lonely Planet’ che “Questo albergo ha probabilmente conosciuto giorni migliori”. Ho appena recuperato la cena da un Burger King aperto 24 ore e la colazione del giorno dopo da un provvidenziale supermercato Oxxo che aveva già chiuso, ma che ha avuto pietà di me.
Alla fine, abbiamo superato la mezzanotte. Il treno per la nostra prossima destinazione (il Canyon del Rame) parte all’alba e ci sarebbe bisogno di dormire. Ma la nostra camera è adiacente a una discoteca.
I tappini anti rumore che ci ha dato in dotazione la British Airways assumono un valore inestimabile.