Red Sox e “gli altri”: fino all’ultimo respiro nella American League Est

BASEBALL

Quando i Red Sox entreranno in campo questa sera a Detroit (Price contro Matthew Boyd e i Tigers), sarà per iniziare la partita numero 99 della stagione 2018. Delle precedenti 98, ne hanno vinte 68. Stanno insomma tenendo un passo mostruoso. Basti pensare che vincendo appena 25 delle prossime 64 partite (il che significherebbe tenere la non esaltante media .390; la media attuale dei Red Sox è .694) chiuderebbero con lo stesso numero di vittorie (93) che nel 2016 e 2017 è bastato per vincere l’American League Est.

Quest’anno, va chiarito, non basterebbe. Perchè gli Yankees hanno 62 vittorie e arriverebbero a 94 vincendo 32 partite. Ovvero giocando sotto media .500 (quelli in pigiama al momento sono a .653), visto che oltre alle 64 partite della seconda fase, ne devono recuperare 3 della prima.
Il bello è che i Red Sox e gli Yankees si devono affrontare ancora 10 volte, di cui 7 a Fenway. E di queste, 3 sono le partite che chiudono la stagione dell’American League Est.
A occhio e croce, il migliore vincerà

Stiamo insomma per assistere a una corsa per il primo posto come ai bei tempi. Con la differenza che, rispetto ai bei tempi, la seconda non sarà eliminata. Ma giocherà uno spareggio, presumibilmente con chi arriva secondo tra Houston Astros (al momento primi con un record 6435) e Seattle Mariners (5839) nella American League Ovest.

Che i Red Sox avessero una rosa di primo piano era chiaro fin dall’inizio. Hanno inserito JD Martinez nella squadra che è arrivata prima nel 2017 e JD ha battuto fino qui 30 homer. Il problema è che nelle prime 98 partite hanno perso parecchi pezzi.
Al momento ci sono 3 lanciatori partenti (Pomeranz, il vero numero due dopo Sale nel 2017, Wright ed Eduardo Rodriguez) fuori per infortunio, Dustin Pedroia che non si sa se rientrerà prima di fine stagione, Vazquez con un mignolo fratturato, Devers con una spalla infiammata e Kelly in crisi.

Detto che Pomeranz sta facendo progressi e potrebbe rientrare presto (per quanto, lanciare bene in Triplo A non è che significhi che si avrà lo stesso rendimento in Grande Lega) e che trovo improbabile che i Red Sox vadano sul mercato per prendere un interno o un catcher, un rinforzo per il bull pen appare necessario. Se poi è anche mancino (tipo Zach Britton degli Orioles), tanto meglio.
Il Presidente Dombrowski non ha però molto da offrire nel mercato degli scambi. Sam Travis, che trova poco spazio in prima squadra, potrebbe essere una buona pedina di scambio, ma incidentalmente sta giocando male: solo 6 fuoricampo in 60 partite per Pawtucket e una media battuta di .235. Il venezuelano Bryan Mata è un lanciatore molto promettente, ma è sostanzialmente un bambino (classe 1999) e al momento gioca in Singolo A avanzato. Blake Swihart, con Vazquez fuori, è diventato incedibile. E non penso che mettere Devers sul mercato abbia senso.

Continuare a fare nomi, è inutile. Tanto sono sempre gli stessi. L’ultimo è quello dell’ex azzurro Ottavino (World Baseball Classic 2009). Ma non si capisce perché i Rockies, tutt’altro che esclusi dalla corsa ai playoff, dovrebbero cederlo.

Prendo atto, infine, del generale gradimento della stampa di Boston per Alex Cora. Che, d’accordo, è impossibile da criticare dopo 68 vittorie su 98 partite. La stampa di Boston però lo esalta per il fatto che “le decisioni che prende sono basate sui dati”.
Cora vince sul suo predecessore Farrell (che ha vinto 3 volte l’American League Est e una volta l’American League e poi le World Series) perché è il nuovo rispetto al vecchio. Farrell era il classico manager di baseball di una volta, quelli che vanno a occhio. E anche quelli che non hanno una vita privata impeccabile e nemmeno un rapporto per forza splendido con i giornalisti. Sono i tempi che cambiano.
Personalmente, resto più vicino al concetto di manager che sa anche prendere le decisioni d’istinto e non consultando 200 pagine di scouting report. Ma sarà che sto invecchiando.

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