Quegli eroi dello sport distrutti dal doping

LOTTA AL DOPING, SCHIROPENSIERO, SPORT

Francesco Moser è stato uno dei miei eroi. Così, quando la campagna elettorale per il Parlamento Europeo lo portò a Parma (il suo Trentino e la mia Emilia Romagna sono nella stessa circoscrizione Italia Nord Orientale), mi misi in prima fila per intervistarlo. Seduti a un tavolino di un bar, gli chiesi se potevo fargli anche qualche domanda di ciclismo per le nostre (dell’emittente TV Teleducato di Parma) rubriche sportive. Parlammo di doping (era appena stato escluso dal Giro d’Italia Marco Pantani) e Moser disse: “Se un professionista, sotto controllo medico, cerca aiuto farmacologico, lo accetto. Ma che cerchino di migliorare le prestazioni con i farmaci gli amatori, è assurdo”.

Francesco Moser in maglia rosa nel 1984
Francesco Moser in maglia rosa nel 1984

Moser era un vincente da ciclista (273 vittorie su strada, nessun Italiano ne ha ottenuto così tante e, in assoluto, lo battono solo il prevedibile Eddy Merckx con 426 e Rik Van Looy, altro belga che dominò le corse in linea negli anni ’60 e ’70, con 379) e lo è stato dai 50 anni in poi come imprenditore e come politico. A quelle elezioni europee venne per la verità trombato, ma non è questo il discorso.
Il 1984 è stata una delle sue stagioni migliori. Ha vinto il Giro d’Italia (primo e unico successo nelle grandi corse a tappe), la Milano-Sanremo (l’unica Classica che gli mancava), e ha stabilito il record dell’ora, polverizzando quello stabilito da Merckx nel 1972.
Moser non fece mistero di aver fatto ricorso alla pratica della auto-emotrasfusione. Che per la verità, era allora una pratica lecita. Sia chiaro, secondo quale logica un uomo giovane e in perfetta salute debba farsi prelevare sangue e farselo poi reiniettare, mi è sempre sfuggito.
Nel 1984 non badai troppo a questo. Le vittorie di Moser mi diedero una grande gioia. E tanto mi bastò. Il nome di Francesco Conconi, a capo dell’equipe medica che seguì Moser durante il tentativo di battere il record dell’ora, per me non era rilevante.

Mark Mc Gwire (ALEX BELLOTTI/AFP/Getty Images)
Un erculeo Mark Mc Gwire (ALEX BELLOTTI/AFP/Getty Images)

Io sono appassionato di sport da sempre e provo una grande ammirazione per chi è in grado di ottenere imprese straordinarie. Quando Ben Johnson distrusse il record del mondo sui 100 metri alle Olimpiadi di Seoul nel 1988 ero davanti al televisore. Mi ero messo la sveglia per non perdermi quella finale. Quando Marco Pantani stravinse il Tour de France nel 1998 ero davanti al televisore. Non provavo emozioni simili dalla stagione 1984 di Moser. Quando Mark Mc Gwire superò il record di fuoricampo in una stagione di Roger Maris, abbandonai la spiaggia di un villaggio messicano per essere davanti alla TV come testimone dell’evento.
In nessuno di questi casi mi ponevo dubbi. Mi sono però fatto tante volte la domanda: ma se mi avessero detto che per vincere Pantani, Johnson e Mc Gwire avevano barato, come avrei reagito?
Perchè la verità è che Ben Johnson risultò positivo agli steroidi dopo la gara da record, Marc Mc Gwire ammise nel 2010 di aver fatto uso di steroidi nella stagione del record (1998), Marco Pantani venne escluso dal Giro a causa del valore troppo alto dell’ematocrito e pochi anni dopo morì in solitudine.

Francesco Conconi
Francesco Conconi

Le vicende sono ovviamente molto diverse tra di loro.
Per dire, oggi la pratica di auto-emotrasfusione è vietata. Tecnicamente, Moser fece ricorso al cosiddetto doping del sangue, ma formalmente non commise nessun reato. Non so però se era a conoscenza del fatto che nel 1981 Fulvio Costa, promettente mezzofondista, morì a soli 22 anni per un’infezione provocatagli dal morso di un cane. Pare che Costa, parlando con gli intimi, si sia lasciato andare a un disperato: “Ma cos’hanno fatto al mio sangue?”. Durante la auto-emotrasfusione le difese immunitarie sono molto basse e il morso del cane fu fatale a Costa.
Anche Mc Gwire non è legalmente colpevole di niente, visto che nessuna legge nel 1998 vietava negli Stati Uniti ai giocatori di baseball di usarli. Che poi gli steroidi abbiano effetti collaterali tipo rimpicciolimento dei testicoli, inibizione della spermogenesi, aumento dell’aggressività, ipertrofia cardiaca, danni epatici non è certamente un dettaglio. Ma avrà saputo quello che faceva.
Quando Pantani venne escluso dal giro, non era positivo al doping. Aveva semplicemente un valore dell’ematocrito alto. Il Sindacato dei ciclisti aveva deciso unilateralmente di stabilire un limite a questo valore (50, ovvero 50% di globuli rossi sul totale) oltre il quale il ciclista doveva essere fermato. L’ematocrito stabilisce la concentrazione di globuli rossi e chi assume eritropoietina (divenuta nota come EPO) ha un ematocrito alto. In effetti, un ematocrito troppo alto può portare a coaguli nel sangue, quindi costare la vita al soggetto. Ciò detto, va sottolineato come l’EPO faccia letteralmente miracoli, trasformando atleti buoni in fenomeni e rendendo irraggiungibili i fenomeni.
Della vicenda di Marco Pantani ho già parlato su questo sito dopo aver visto il film The accidental death of a cyclist. Non mi ripeterò, se non per dire che non c’è nessun dubbio che Marco Pantani abbia assunto la famigerata EPO. E anche per dire che la vicenda umana di Pantani è tristissima e ingiusta e penso la tratti con grande classe e onestà Marco Pastonesi (giornalista de La Gazzetta dello Sport) nel suo libro Pantani era un dio. Quello che voglio aggiungere è semmai un commento su come venne trattata (dai media e non solo) la vicenda di Pantani.
L’opinione pubblica in questi casi fa presto a dividersi in colpevolisti e innocentisti. I giornalisti sarebbero lì invece per spiegare al pubblico come stanno le cose. Ma come fanno a spiegarle, se non fanno le domande ovvie? Perchè nella conferenza stampa che ha seguito di pochi giorni il clamoroso stop di Madonna di Campiglio nessuno ha chiesto a Pantani se avesse assunto EPO?
A rivedere quella conferenza stampa (che si trova su YouTube) vengono i brividi. Pantani si affida a tesi confuse, lascia intendere di credere in un complotto, chiama in causa i colleghi Bugno, Chiappucci e Frondriest come promotori, con lui, di controlli per tutelare la salute dei colleghi. La verità è che Pantani, Bugno, Chiappucci e Frondriest, ma anche Bontempi e l’irlandese Roche, erano tra i 63 atleti ai quali Francesco Conconi e vari suoi assistenti (tra cui Michele Ferrari, che i ciclisti di mezzo mondo chiamavano Il Mito per la sua capacità di far svoltare le loro carriere) somministravano sistematicamente l’EPO.
Il fatto è che Conconi sapeva bene quel che faceva. L’uso dell’EPO l’aveva sperimentato e i vantaggi li aveva anche condivisi. Personalmente, trovo incredibile che un medico ipotizzi di trattare una persona sana con un farmaco che, abitualmente, viene prescritto a soggetti anemici, affetti da insufficienza renale o che stentano a riprendersi dalla chemioterapia. Ma non è così incredibile, se si pensa al concetto di vincere a tutti i costi e all’enorme affare che vincere a tutti i costi è diventato.
Ma adesso mi fermo e riprendiamo da qui.

1- CONTINUA