Perchè un giornalista sincero diventa “non gradito”?

CALCIO, SCHIROPENSIERO, SPORT

“Majo, io glielo dico una volta per tutte: lei Majo a me non rivolgerà mai più una domanda da oggi in poi, perché lei non è persona gradita al Parma, lei ha intentato una causa per arricchire le sue tasche e l’ha persa, perciò vuol dire che la giustizia ha fatto il suo giusto percorso. Perciò lei, da oggi, a me non rivolge più parola. Non le verrà impedito di venire alle conferenze stampa: i tesserati, se vorranno, le potranno rispondere, ma lei a me non rivolgerà mai più una domanda. Perché chi non è amico del Parma, come lo è lei, non lo è neanche del suo presidente”.

Quando ho visto il video di una conferenza stampa del Parma calcio e ho Tommaso Ghirardisentito il suo presidente Tommaso Ghirardi rivolgersi con le parole che ho trascritto sopra a Gabriele Majo, prima di tutto mi sono preoccupato. Vuoi vedere, mi sono detto, che sono così preso dalla mia attività che non mi accorgo di un casino che riguarda un mio collega, che oltre tutto è un caro amico? Ma subito dopo, se posso usare l’espressione, mi sono tranquillizzato. Mi aspettavo che la stampa locale avesse dedicato pagine indignate a questo. E invece, nulla. Quindi mi è venuta voglia di scriverne io.

Voglio iniziare analizzando le parole di Tommaso Ghirardi:
1) “le Majo a me oggi non rivolgerà più una domanda da oggi in poi”. Beh, poteva limitarsi a dire “Io non risponderò più a una sua domanda, da oggi in poi”.
2) “lei non è persona gradita al Parma” questa è pesantuccia, ma Ghirardi ci spiega anche perchè
3) “lei ha intentato una causa per arricchire le sue tasche e l’ha persa” Ah, ecco. Tra qualche riga, parliamo della causa
4) “non le verrà impedito di venire alle conferenze stampa” Ci mancherebbe altro
5) “chi non è amico del Parma, non lo è neanche del suo presidente” E chi ha parlato di amicizia? Qui si parla di lavoro. E per lavoro, un giornalista che scrive di una squadra di calcio dovrà pure rivolgere domande al presidente. Anche se non è suo amico.

Dicevamo della causa. Dopo qualche anno di lavoro come Addetto Stampagabrielemajo del Parma calcio a forza di contratti annuali, Gabriele Majo si aspetta di ricevere la proposta di una assunzione a tempo indeterminato. Non accade. A Majo viene proposta un’assunzione con scadenza a un anno (in teoria, dopo 3 assunzioni a tempo determinato, non si potrebbe riassumere a tempo determinato) con firma di una liberatoria per quanto eventualmente dovuto per i rapporti pregressi. Majo non firma e non viene confermato. Al che, intenta una causa al Parma calcio: vuole vedersi riconosciuto il suo ruolo.
Non conosco le carte, ma so che il Giudice di primo grado non accoglie tutte le richieste di Majo. Anzi, ne accoglie solo una: il Parma calcio gli dovrà versare una certa cifra per lavoro notturno e straordinari non pagati. Ma non dispone la reintegrazione sul posto di lavoro. Ovviamente, ci sono altri gradi di giudizio, prima di dire “l’ha persa” (la causa, si intende). Ma non è questo il punto. Il punto è che non trovo accettabile che si insinui che Majo è stato critico nei confronti del Parma a causa di questo verdetto (per lui) negativo del Tribunale.

Conosco Gabriele Majo dal 1984 e non è che siamo andati sempre d’accordo. Anzi, nella primavera del 1988 sono stato anche chiamato a sostituirlo come Amministratore di radio Onda Emilia e poco tempo dopo ho chiuso il suo programma di Dediche e Richieste (era molto seguito, ma c’era la pressione dell’editore a cambiare linea). Ma ho sempre riconosciuto a Majo una grande onestà intellettuale, così come penso (anzi: ne sono sicuro) lui abbia riconosciuto a me una solida professionalità e una notevole serietà. Per altro, io sono molto diverso da Majo. Sono molto meno generoso e molto più geloso del mio tempo libero e della mia vita privata. Al punto che nel 1988 proprio a Majo confidai, prima di sostituirlo: “Spero lo sappiano, che io non ho intenzione di vivere in radio come fai tu”.
Majo si definisce “vecchio, inguaribile democristiano”. Ma è certamente tutt’altro che doroteo. Lui sposa un punto di vista e lo fa al 100%. Lo abbiamo (io e altri colleghi di Onda Emilia) definito Talebano (non ha mai minacciato di farsi esplodere, state tranquilli). Qualcuno anche Il nemico di tutti (cattiva, e profondamente ingiusta; ma il tempo l’ha cancellata).
Quando il Parma licenzio Zdenek Zeman (1987), Majo chiese al Presidente di allora Ernesto Ceresini: “Come mai una decisione del genere? La città è contro…”. E Ceresini gli rispose: “Ma che domande del cavolo fa, lei?”.
Con il Parma neo promosso in Serie A, Majo venne accusato di aver falsificato una richiesta di accredito. Naturalmente non era vero (anzi, c’è da vergognarsi, a fare un’accusa del genere). Successivamente, il Direttore Sportivo del Parma Pastorello passò a vie più spicce: se non controllate Majo, tolgo le tessere stampa.
Ma Majo nel frattempo aveva scelto una strada diversa e intrapreso una nuova avventura professionale. Io lo avrei ritrovato qualche anno dopo in giro per i campi. Prima per caso, poi per scelta, abbiamo iniziato a girare in lungo e in largo l’Italia per le rispettive testate. Rivali (di ascolti) durante la partita, ma amici prima e dopo. Specie dopo, in interminabili cene della domenica sera, a volte notte.

Quello che voglio aggiungere è che non ho mai visto tanta dedizione nella preparazione del servizio (giornalistico) come in Gabriele Majo. E tanta voglia della verità. Che a volte, sia chiaro, è la sua verità (magari contestabile, ma sempre onestamente espressa) e Majo la difende energicamente.
Il suo sito Stadio Tardini è oggi uno degli esempi di contenuto meno embedded del giornalismo sportivo italiano dedicato al calcio. Lui dice come la pensa e offre un contenuto estremamente interessante per qualsiasi appassionato di calcio, dando voce a più fonti di informazione. Non è quello che deve fare un giornalista?
Roberto DonadoniPoi con Majo si può anche non essere d’accordo. Io, ad esempio, alla prima occasione gli chiederò conto della solidarietà espressa per Alessandro Sallusti (che a pubblicare un editoriale, protetto da un nome d’arte e quindi anonimo, di qualcuno espulso dall’Ordine dei Giornalisti, non merita nessuna solidarietà). E, se devo dirla tutta, non sono d’accordo sulle sue punzecchiature a Donadoni (allenatore del Parma e, ai tempi in cui io e Majo lavoravamo a Onda Emilia, astro nascente del calcio italiano) e al suo “calcio propositivo”. Perchè è tutto da dimostrare che, a parità di organico, chi si difende ottiene più risultati di chi cerca di imporsi.
Sono invece pienamente d’accordo con Majo sul fatto che un giornale importante come la Gazzetta di Parma non dovrebbe fare titoli come “Parma derubato”. Nemmeno quando l’arbitro concede 2 rigori (che non c’erano, secondo me: sto parlando di Genoa-Parma di qualche settimana fa) contro il Parma. Anche se probabilmente Tommaso Ghirardi riterrà “amico” il giornalista che il titolo lo ha fatto.

Ci tengo però a spiegare a Majo che scrivendo queste cose, non ci si deve aspettare di sentirsi dire grazie.

Ci tengo anche a spiegare a Tommaso Ghirardi che può ritenere Majo ipercritico, scomodo, anche fastidioso, persino antipatico. Ma non può insinuare che sia stato critico nei confronti del Parma per vendicarsi di una causa civile che non è andata come voleva lui. Lo dico a voce alta: Gabriele Majo non lo farebbe mai.

2 thoughts on “Perchè un giornalista sincero diventa “non gradito”?

  1. Intanto ringrazio Riccardo Schiroli per aver trattato di questa vicenda sul suo blog. Tra l’altro, pochi giorni prima, essendo sensibile al processo di decadimento della nostra professione, aveva scritto: “Visto che nelle ultime 2 settimane mi è toccato sentir dire che è normale, pubblicare il materiale di un ufficio stampa come se fosse produzione della redazione (in tempi di crisi…) e che i giornali si fanno con le agenzie di stampa, per fermare l’urto della nausea ho assunto un farmaco importante: mi sono andato a rivedere il film “Tutti gli uomini del Presidente” di Alan J. Pakula (1928-1988, autore anche di ‘La scelta di Sophie’, ‘Presunto innocente’ e ‘Il rapporto Pelikan’). Quel post aveva il significativo titolo: “Il mestiere di giornalista: dal Watergate a Indro Montanelli”, già Montanelli che chissà quante volte si rivolta nella tomba quando sente certi suoi allievi diretti o indiretti che dicono di ispirarsi a lui e poi si fanno condizionare pesantemente dal primo dirigente calcistico dal telefono facile. Riccardo scrive che sono un “talebano”, e per certi versi è vero, sono un integralista. Ma la cosa più importante è che lo sono da tempo immemore: lui ricorda quel “Che domande del cavolo che fa lei…” che mi disse Ceresini nell’87 e che da allora noi ripetiamo ogni volta che ci incontriamo facendo il verso del compianto predecessore di Ghirardi. Io stesso, in un commento ebbi modo di elencare, per diverse ere, i vari contrattempi in cui sono incappato proprio per il mio interpretare in modo integerrimo il ruolo, tipo: “Il dipende da dove lei vuole arrivare” che mi pronunziò minaccioso Stefano Tanzi, pochi mesi prima del crac (e del mio ingaggio a capo ufficio stampa nel club precedentemente da lui presieduto), oltre alle varie ritorsioni paventate da Pastorello. Io, per la mia condotta, non mi aspetto certo un grazie dai miei “clienti”, non sono un illuso, Riccardo, ma nemmeno di esser colpito sotto la cintura, perché come avversario penso di essere tanto ostico, quanto corretto. Il palese tentativo di screditarmi agli occhi dei tifosi da parte del presidente (e di Leonardi, il quale, il giorno precedente, alludendo a me, aveva accennato al concetto di malafede) è grave perché va a colpire l’unico bene che mi è rimasto: la credibilità che mi sono costruito in circa 30 anni di attività, durante i quali ho perso – proprio per mantener sempre la spina dorsale diritta – importanti opportunità. So che è difficile credere che uno non abbia il dente avvelenato quando scrive di qualcuno con cui ha avuto delle tensioni, eppure nel mio caso è così. E la produzione di stadiotardini.com è tutta qui a dimostrarlo. Sfido chiunque ad avere lo stesso equilibrio. E allora, proprio per questo, non ci sto a sentirmi diffamato e offeso come Ghirardi ha sguaiatamente fatto il 19 settembre scorso, accusandomi persino di volermi arricchire alle spalle del Parma! Il mio avvocato difensore Riccardo Schiroli, però, cade in contraddizione comportamentale, però, quando mi pone le domande a conclusione del suo pezzo, perché quelle, sì, tradiscono un po’ di dente avvelenato (peraltro poi ammesso dall’interessato…) nei confronti di Sallusti, o il “tifo” per l’ex (per ora) rossonero Donadoni (eh sì, perché Schirolone è milanista)… Allora se ha ragione Riccardo nel biasimare la condotta di Sallusti (l’aver ospitato lo scritto di un giornalista radiato, il contenuto non veritiero della notizia offerta, e l’’iperbole della pena di morte), non penso che questa nel 2012 possa essere punita persino con l’incarcerazione. Non la chiederei neppure io per la diffamazione di Ghirardi nei miei confronti, tanto per capirci… I reati di opinione non possono portare in gaglioffa. E anche sulle pene pecuniarie ci sarebbe di che ragionare (comodo tappar la bocca a chi poi ha il timore di smenarci dei quattrini). E sul calcio propositivo di Donadoni io non sono contrario “a prescindere”, quanto solo sull’applicazione sistematica in una piazza come Parma, che non è il Milan o il Barcellona. A parte che parlo a suocera affinché capisca nuora. E comunque il dibattito sulla filosofia del pallone è vecchio come il mondo: e il mondo di porlo educato e garbato (sia pure ironico) che ho dovrebbe mettere al riparo da rischi. Ma quando c’è di mezzo la coda di paglia di qualcuno è tutto possibile… Ringrazio Riccardo per l’outing a proposito di Dedichevolissimevolmente: non ricordavo fosse stato lui, in quella occasione, il braccio armato di Pallini, e non sapevo che fosse stato lui a cambiar la serratura della radio (come mi ha scritto in privato, ma lo ringrazio anche per avermene dato la copia). Non fu una bella pagine chiudere un programma che aveva fatto breccia e che ancora oggi in tanti ricordano. Bigadel, direi. Ho rivisto pochi giorni fa la Chiara, una mia ascoltatrice dell’epoca, colei che inventò il mio soprannome “Gabo”. Bei tempi. Riccardo ricorda anche la scomoda etichetta “Il nemico di tutti” che mi affibbiò con una certa cattiveria l’allora leader carismatico della redazione sportiva (di cui tacerò il nome per carità di patria) di Onda Emilia. Completo l’aneddoto rendendo pubblico che proprio quella persona fu la prima “gratificata” dal sottoscritto con l’elargizione di una “tessera stampa” del Parma FC. E quando gliela consegnai gli dissi: “Questa te la dà il nemico di tutti”. Sul resoconto della mia causa di lavoro Riccardo, pur non essendo in possesso degli incartamenti, ha cercato di essere il più preciso possibile, pur scrivendo qualche inesattezza. Ma non è fondamentale. Puntualizzo solo che la famosa firma sulla liberatoria non mi fu chiesta direttamente dal Parma, bensì da una sindacalista (da loro identificata per assistermi !), tale Avanzini, la quale rispondendomi al telefono se ne uscì dicendo: “Ah sì, Majo, quello del tombale”. Capito? A Ghirardi e ai suoi uomini non interessava che Majo rinnovasse – alle loro condizioni capestro – per un ulteriore anno il rapporto di lavoro. Interessava che firmasse un foglio di non aver nulla a che pretendere. E’ stato lì che, con la morte nel cuore, ho deciso di fermarmi. Di dire stop dopo aver lavorato per cinque anni, nel momento più difficile del club, senza alcun risparmio di energia. Non sentivo fiducia. Se volevano che firmassi quel foglio – del quale nessuno di loro mi aveva detto niente, e peraltro non c’era stato alcun tipo di trattativa (giacché lì funziona così: o mangi la minestra o salti la finestra) – significava che temevano ritorsioni (appunto una causa di lavoro) che io non avevo per nulla in mente, poiché mi interessava solo proseguire un rapporto nel quale avevo dato tutto e di più. Come di tutto e di più avevo dato a Onda Emilia e in tutti i posti dove mi è capitato di lavorare. Gabriele Majo, direttore http://www.stadiotardini.com

    Ci sono cose sulle quali io e Majo non andremo mai d’accordo. Ma ci tengo comunque a precisare che se anche Donadoni avesse vinto lo scudetto con l’Inter o la Juve, non cambierei idea sul “calcio propositivo”. E voglio anche dire che il fatto che Sallusti sia esattamente il contrario di quello che io voglio essere come giornalista, non giustifica condanne ingiuste. Fermo restando che se 3 gradi di Giudizio in Tribunale stabiliscono una condanna, in uno Stato di Diritto bisogna accettarla. Non vorrei che fossimo anche pronti a giustificare certe intemperanze del fratello del datore di lavoro di Sallusti…

  2. Un articolo completo, analitico ed equilibrato che mi sento di condividere in pieno.

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