Non sono pronto per scrivere i 2 articoli ispirati dalla lettura di Ilium e Olympos. Esco pertanto dalla cronologia del viaggio di dicembre e gennaio. Ma fino lì, visto che parlo di immersioni e dei rischi che non t’aspetti
Nel 2000 ho fatto 2 delle rarissime immersioni nelle quali non mi ha accompagnato mia moglie (che è anche il mio dive buddy da sempre). Alle Florida Keys ci siamo immersi senza guida. Erano immersioni poco profonde e tranquille e io sono, dopo tutto, certificato advanced, quindi in teoria sono in grado di immergermi con un compagno (non alle Maldive, dove è necessario dimostrare di conoscere i siti d’immersione) e senza istruttore.
Quando si ottiene la certificazione advanced, si fa pratica sull’orientamento. Addirittura, c’è una prova usando la bussola. Sott’acqua assieme a 2 amici, ho provato a mettere in pratica quello che avevo appreso. Non disponendo di bussola, l’unica cosa che si può fare è prendere punti di riferimento. Ma quando ci si immerge su un banco di sabbia, non sono tanti. Insomma, è andata a finire che siamo riemersi a qualche centinaio di metri dalla barca. Niente di male: c’era pochissima corrente e l’equipaggio ci ha individuati. Non ha spostato la barca, però aveva ben presente dove eravamo e le nostre bombole non erano vicine all’esaurimento. Con un po’ di fatica supplementare, siamo tranquillamente risaliti.
Non è accaduto lo stesso a Thomas ed Eileen Lonergan, una coppia di Baton Rouge (Louisiana, Stati Uniti) che il 25 gennaio 1998 è stata dimenticata dalla barca d’appoggio al termine di una giornata d’immersione al St. Crispin’s Reef, sulla grande barriera corallina australiana. Dei 2 sub (che avevano rispettivamente 34 e 29 anni) non si è più saputo nulla. Ma che siano morti in mare è assolutamente certo, anche perchè la corrente ha portato parte della loro attrezzatura su una spiaggia a miglia di distanza e la loro macchina fotografica subacquea è stata ritrovata nello stomaco di uno squalo pescato qualche giorno dopo.
I Lonergan non erano gli ultimi arrivati. Erano reduci da 2 anni di servizi nei Peace Corps, l’agenzia fondata dal Governo degli Stati Uniti nel 1961 al fine di promuovere “pace e amicizia” nel mondo. Non a caso, avevano con loro un cosiddetto diver’s slate, una specie di lavagnetta sulla quale scrivere sott’acqua (e che mi sarebbe stato molto utile nel 2000 in Florida, per riemergere vicino alla barca…). Ritrovato dalle squadre di soccorso, che hanno battuto l’area per 3 giorni invano, lo slate dava indicazioni precise su dove la coppia era stata abbandonata e lanciava un disperato appello: “Veniteci a riprendere prima che moriamo”.
Purtroppo, l’allarme per i dispersi fu colpevolmente dato solo 2 giorni dopo. Un addetto aveva ritrovato la loro borsa mentre puliva la barca
La vicenda ha fornito lo spunto per il film Open Water, girato nel 2003 a bassissimo budget (130.000 dollari), presentato al Sundance Festival e venduto poi al distributore Lionsgate Entertainment per 2.5 milioni. E’ in programmazione sui canali di SKY da diverso tempo, anche se viene presentato per il film del terrore che non è.
Il regista Chris Kentis ha passato oltre 120 ore in acqua con Daniel Travis (lo abbiamo visto in Thank you for smoking) e Blanchard Ryan (ormai ex superbionda, più nota per essere la figlia del proprietario della squadra di hockey dei Philadelphia Flyers), i protagonisti. Tutte le riprese sono state fatte con una telecamera digitale e nessun effetto speciale è stato aggiunto in post produzione. Tutto quello che si vede nel film è quindi accaduto veramente, inclusa la puntura della medusa a Blanchard Ryan. L’attrice è stata anche morsa da un barracuda, ma Kentis non stava riprendendo.
Il film è ambiantato in una località del Caribe di lingua Inglese ed è in effetti stato girato alle Bahamas. Il racconto (tutta la ricostruzione è naturalmente di fantasia) procede tranquillo e minimale, con dialoghi estremamente ordinari, fino a quando la coppia non riemerge dall’immersione con la domanda: “Dov’è la barca ?”.
Il resto del film è angosciante e l’apice della tensione si avverte quando iniziano ad arrivare gli squali. Le Bahamas sono uno dei posti migliori al mondo per vedere gli squali, tanto che c’è un fiorente business attorno al cosiddetto shark feeding. Kentis e la moglie Laura Lau, che sono esperti sub, hanno speso oltre la metà del loro budget per ingaggiare l’esperto di squali Stuart Cove e la squadra di sicurezza. Gli attori e Kentis sono sempre scesi in acqua protetti da un completo di ferro (indossato sotto la muta). Gli squali (tutti squali grigi di barriera, molto comuni alle Bahamas) sono stati attirati tramite un impasto oleoso di pesce.
Ho visto il film 3 volte, perchè incarna perfettamente il mio incubo più ricorrente: quello di trovarmi a galleggiare in mare con gli squali che mi ronzano attorno. Forse è la maniera che trovo per esorcizzare questa paura atavica che ho da sempre. Io amo gli squali e li cerco ovunque sia possibile immergersi in loro presenza. Per fortuna, non mi sono mai trovato in una situazione del genere. Che è veramente da incubo, perchè lo squalo in acqua è velocissimo e silenzioso: vi accorgete della sua presenza quando è ormai vicinissimo. Oltretutto, gli squali di barriera (come aspetto, il classico pesce cane) sono animali timidi quanto curiosi. Oltre che estremamente voraci. Quindi in una situazione del genere è corretto pensare che si siano avvicinati ai naufraghi diverse volte prima di pensare di poter attaccare. Lo squalo grigio adotta sempre questo tipo di comportamento: prima si avvicina per curiosità, poi vuole capire se è in presenza di una minaccia. Se è sazio, quando ha verificato di non essere in presenza di una minaccia, se ne va. Ma se è in cerca di cibo e capisce di aver trovato una potenziale preda, presto o tardi attaccherà
Immaginate a questo punto di essere chi galleggia in acqua e provate a immaginare la sensazione. Oppure guardate Open Water, perchè rende l’idea in maniera perfetta.
Con una ricerca tramite Google ho appurato che quello dei Lonergan non è certamente un episodio unico. C’è un caso addirittura recentissimo: a Ferragosto del 2015 i 3 italiani Alberto Mastrogiuseppe, Michela Caresani e Daniele Buresta e la belga Vana Vanpuyveld non hanno fatto ritorno da una immersione vicino all’isola di Sangalaki (Indonesia).
Nel novembre del 2005 i britannici Louse Woodger e Gordon Pratley, a causa della corrente, hanno passato 6 ore alla deriva sulla grande barriera corallina australiana.
Nel maggio del 2008 l’inglese Richard Neely e la statunitense Alison Dalton, sempre a causa della corrente, si sono trovati a riemergere lontani dalla barca d’appoggio dopo un’immersione nelle isole Whitsunday in Australia.
Nel maggio dell’anno successivo gli americani della Florida Timothy e Paula Allen non sono riusciti a risalire sulla barca a causa della corrente del Golfo del Messico e sono stati recuperati solo 24 ore dopo in maniera del tutto fortunosa da 2 ragazzi che fungevano da appoggio al padre, che a sua volta si era immerso.
Lo statunitense Ian Cole è stato addirittura dimenticato a Michaelmas Cay (Australia) durante una gita di snorkeling. Fortunatamente per lui, lo ha recuperato un’altra barca di turisti
Pochi mesi dopo la barca d’appoggio ha abbandonato Paul Kline e Fernando Garcia Puerta, che stavano facendo un’immersione tecnica vicino a Miami (Florida, USA). Dopo 2 ore li ha tratti in salvo uno yacht che transitava per caso.
Nel novembre 2013 gli statunitensi Lexa e Jake Mendenhall sono stati abbandonati dalla barca (che aveva problemi al motore) mentre si trovavano sott’acqua con una guida in Tailandia. Ma ovviamente la barca ha dato l’allarme e 45 minuti dopo sono stati recuperati.
Concludo tornando al caso dei Lonergan. Jack Naim, lo skipper della barca che li ha abbandonati, è stato rinviato a giudizio e poi assolto dall’accusa di omicidio preterintenzionale. Ma la sua azienda è fallita, dopo aver ammesso la negligenza e pagato una multa pesante. Il Governo del Queensland è intervenuto sulla normativa, rafforzando le misure di sicurezza. Ad esempio, ora in Australia gli skipper e le guide subacquee devono contare separatamente i sub riemersi prima di ripartire.
Open Water ha avuto una sorta di sequel nel 2006 con Adrift-Alla deriva, diretto da Hans Horn e distribuito in sala in Italia nel 2007. Italia Uno lo ha trasmesso in TV nel 2011. Il film ripropone la stessa situazione, e ancora una volta la causa scatenante è una negligenza: un gruppo di amici si butta in acqua da una barca senza ricordarsi di calare la scaletta. I poster del film dichiarano che è “basato su eventi realmente accaduti”.
Per la verità, Adrift venne scritto prima di Open Water, ma faticò a trovare una produzione. Visto però il successo ottenuto da Open Water, al momento di produrlo si penso che fosse una buona idea modificare il titolo in Open Water 2-Adrift.