Jerry Drake è un pilota nord americano che, sopravvissuto alla seconda guerra mondiale, negli anni ’50 non si ritrova nello stile di vita degli Stati Uniti e decice che l’Amazzonia è l’unico posto in cui uno spirito libero come lui può vivere. Vola a Belem dove compra un aereo piper e da lì inizia l’avventura. L’avventura è quella di Mister No, personaggio del fumetto ideato da Guido Nolitta nel 1975.
Guido Nolitta non è altro che lo pesudonimo di Sergio Bonelli, che ha raccolto l’eredità del padre Gian Luigi, il creatore di Tex. La Sergio Bonelli editore pubblica una serie di personaggi che hanno fatto la storia del fumetto (oltre a Mister no e Tex, anche Zagor, Martyn Mistèrre, Dylan Dog, Nathan Never…). Sergio/Guido Nolitta ha ispirato Mister No al Capitano Vega, un pilota di aerei da turismo che ha conosciuto personalmente durante uno dei suoi viaggi in Brasile.
Il numero 1 di Mister No arrivò in edicola il 1° giugno 1975. A 12 anni scarsi ero un avido consumatore di fumetti e avrei voluto essere un collezionista. Mi dissi che, essendo al numero 1, potevo farcela ad avere la serie completa di Mister No.
Non ce la farò: non ho lo spirito e la costanza del collezionista. Ho smesso e ripreso la raccolta varie volte, finendo con il rinunciare. Oggi posso anche dire che non ne sarebbe valsa la pensa, visto che Mister No era stampato in tirature da 200.000 copie ad albo, quindi la collezione non avrebbe mai assunto un valore troppo elevato. In compenso, la lettura di Mister No mi ha convinto che Manaus fosse un luogo mitico.
A Manaus non è stato tanto facile arrivarci. Il volo da Campogrande prevedeva uno scalo a San Paolo, aeroporto di Campinas. Il volo dal Mato Grosso è decollato in ritardo e abbiamo perso la coincidenza a Campinas. La linea area Azul ci ha riprotetti su un volo del giorno dopo dall’altro aeroporto (Guarulhos), che dista da Campinas 2 ore d’auto. Abbiamo saltato la cena (che ci avrebbero dovuto e voluto offrire, ma nessuno ce l’ha detto; mi sono nutrito con un Kinder Bueno del frigo bar) e, dopo poche ore di sonno, il giorno dopo di buon mattino ci siamo imbarcati per Manaus su un volo Gol. Abbiamo perso una notte d’albergo a Manaus già pagata e mandato una serie di accidenti ad Azul, che ci aveva già costretto a cancellare la gira a Bonito (e perdere lo snorkeling nel Rio da Prata) anticipandoci il volo di un giorno da Campogrande a Manaus.
Agitato perchè avevo scoperto che il nostro agente viaggi non era al momento a Manaus (“ma possiamo comunicare via e-mail”), preoccupato che la guida Hernan non ci venisse a prendere la mattina del 26 dicembre per iniziare la scoperta vera e propria dell’Amazzonia, agitato ulteriormente dal fatto che l’autista incaricato di portarci dall’aeroporto all’albergo doveva chiamarsi Walter e invece si chiamava Josè e delirava (“la prossima volta, non andate in albergo, venite a casa mia”), preoccupatissimo di non riuscire a trovare ristoranti aperti il 24 e 25 dicembre, mi sono scordato di essere in un posto che desideravo visitare da quasi 40 anni. Poi, rimpinzatomi con un enorme Tambaqui (una pesce caraciforme, ovvero con lo scheletro fatto di ossa, come i piranha e il cui nome scientifico è Colossoma Macropopum) al celebre ritorante Tambaqui de Banda (ha lanciato il fish&chips di Tambaqui, molto apprezzato dalla nazionale inglese, durante i Mondiali di calcio), tranquillizzato da una e mail dell’agente viaggi, il mio umore è cambiato.
Prevedendo il tutto chiuso, per la sera della Vigilia ci siamo procurati una cena da consumare in albergo (un misto di pigrizia e prudenza: non si sa mai, chi ci potesse essere in giro…), inclusi spumante e panettone al cioccolato. La sera di Natale invece abbiamo osservato la grande festa che ha radunato nel centro di Manaus tutti gli abitanti dei sobborghi e abbiamo mangiato il Pirarucu, un grosso pesce che è la specialità dell’Amazzonia (soggetto anche a una pesca massiccia) e che noi conosciamo come Arapaima. La sua conformazione a lingue ossee ce lo fa risalire a tipo 100 milioni di anni fa. Parlando di fauna del fiume, ci siamo nutriti anche di Matrinxa, un altro grosso pesce che viene servito ripieno.
Manaus non si può dire che sia una bella città. Forse un giorno lo è anche stata, e il centro (in particolare, il Teatro dell’Opera) merita sicuramente una visita. La città è stata fondata nel 1832 come Nossa Senhora da Conceiçao, ma si chiama Manaus dal 1856 in onore di una tribu nativa che è stata cancellata dalla dominazione portoghese.
Nei primi anni del ventesimo secolo i Baroni della Gomma (dopo che venne scoperto il processo di vulcanizzazione, la gomma aveva un valore altissimo) si erano messi in mente di farne una Parigi Tropicale e affidarono il progetto ad architetti e imbianchini europei. Nacque il porto flottante, importato direttamente dalla Gran Bretagna e che aveva lo scopo di assecondare il livello del Rio Negro, in crescita durante la stagione delle piogge; il sistema funziona ancora. Manaus fu la sede della prima Università del Brasile.
Purtroppo per le fortune dei Baroni e per lo sviluppo di Manaus, gli Inglesi riuscirono a coltivare con successo l’albero della gomma nel sud est asiatico. Perso il monopolio della produzione di caucciù, iniziò una lenta decadenza.
Diciamo che il passaggio tra la Parigi dei Tropici e la città industriale che Manaus diventerà negli anni ’60 si vede tutto nella zona tra il centro storico e il porto, dove convivono palazzoni mal tenuti ed edifici di stile europeo che devono essere stati splendidi.
Il porto flottante è proprio quello da cui partono le avventure di Mister No. Secondo me, non è tanto cambiato, ma oggi non è più il ritrovo di avventurieri. E’ un importante porto passeggeri, perchè Manaus è l’unica metropoli di questa parte dell’Amazzonia e la sola maniera che chi vive nella foresta ha per raggiungerla è la barca. Ci sono imbarcazioni attrezzate con amache per viaggi che durano anche una settimana e che sono in attesa di partire. Le persone sono accoccolate sulle amache, con la loro bella valigia sotto quello che è il giaciglio per la notte. Sorridono e non si possono far prendere dalla fretta. Ho l’impressione che gli orari di partenza siano molto elastici e i tempi di percorrenza piuttosto variabili.
Le zone commerciali del centro sono frenetiche. Quando i negozi chiudono, nelle vie principali resta lo sporco. Le viuzze della zona del porto hanno un’aria tutt’altro che raccomandabile. Figuri misteriosi (guardie?) sono sedute agli incroci per controllare diverse strade in una volta sola. Alla Cattedrale c’è un parcheggio auto per chi vuole andare a messa. Non molto distante, parecchia gente usa i giardinetti come latrine a cielo aperto e l’odore è quello che è.
A Manaus c’è un po’ d’Italia. E’ rappresentato dal Collegio Don Bosco e dal ricordo di Frate Fidelio (il nome corretto sarebbe Fedele) Schiaroli, un Cappuccino di Alviano (provincia di Terni, quindi difficilmente è mio parente; in paese esiste una piazza a lui intitolata) che visse per 25 anni con gli Indios Tikuna e si integrò a tal punto da arrivare a scrivere un dizionario/grammatica della loro lingua.
Il 26 dicembre Manaus diventerà comunque per noi solo la base di partenza per una crociera in barca lungo il bacino del Rio delle Amazzoni.
Il mio Brasile 7- continua
1-La Storia 2-Leggendo i ‘Versi Satanici’ di Rushdie
3-Ipanema e Copacabana 4-Ultimo ricordo di Rio
5-Il Pantanal 6-I Piranha fanno veramente paura?