All’ingresso dell’area dei controlli di sicurezza dell’aeroporto internazionale di Rio de Janeiro si legge che la saudade inizia lì. E’ un termine che non è tanto facile tradurre in Italiano, saudade. Approssimativamente significa nostalgia. Ma si capisce fino in fondo cosa vuol dire dopo aver lasciato questa città incredibile.
Quando l’autista del taxi che, appena arrivato dall’Europa, mi stava portando in albergo ha detto Ecco, ho seguito il suo dito e ho visto una luce sulla montagna. Guardando meglio, ho visto il famoso Cristo e ho capito che ero sul serio a Rio de Janeiro.
Sia chiaro, la visione del Cristo Redentore non è mai, da nessun punto di osservazione, così emozionante come quella dei filmati, che utilizzano immagini girate da un elicottero. Io al Cristo non ci sono salito in elicottero, ma con un ottimo trenino a cremagliera, efficiente ma costoso (tipo 20 euro a testa). Dal trenino si salgono 2 rampe di scale piuttosto ripide e altre 2 sono risparmiate dalle scale mobili.
Non ho comunque scelto un gran bell’orario per salire al Corcovado (il colle su cui si trova il Cristo), perchè il sole alle spalle rendeva difficile fare foto decenti, oltre a far correre il rischio di accecarsi. Resta il fatto che il Cristo è il simbolo di Rio e che è considerato una delle meraviglie del mondo. Si tratta di una enorme scultura art decò. Questo stile è così detto perchè legato alla Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes del 1925 a Parigi.
Il Cristo, per la cronaca, è stato inaugurato nel 1931.
Scendendo dalle pendici del Corcovado a Ipanema in autobus, ho notato che non è chiarissimo quando l’onnibus (in Portoghese…) si ferma. O meglio, le fermate ci sarebbero, ma basta segnalare e l’autista apre le porte. Io credevo anche di aver acquistato una conveniente combinata bus+metro, ma in realtà avevo comprato la combinata metro+metro di superficie e subito capito che la metro di superficie non l’avrei mai usata. E’ questione della lingua: ci si capisce, ma non proprio benissimo.
Ripensando al primo taxista, ha fatto tutto un discorso sul fatto che dell’Inno nazionale i brasiliani conoscono la musica (Marcha Triunfal) ma non le parole. Devo ammettere che il testo di Manuel Da Silva (scritte in effetti nel 1822) non mi sembrano poi così difficili: è tutto un Patria amata, popolo eroico. Certamente più comprensibile del famoso elmo di Scipio del nostro, di Inni.
Una cosa curiosa della Marcha è che non si tratta del primo Inno adottato dopo l’indipendenza dal Portogallo. L’Hino da Independencia lo aveva in effetti composto l’Imperatore Pedro I. Quando abdicò, la popolarità del motivo calò talmente da spingere i brasiliani a recuperare quello di Manuel Da Silva.
Tornando al Cristo Redentore, ne ho avuto un’altra visuale, estremamente suggestiva, dal cosiddetto Pan de Açucar (che sarebbe il Pandoro, penso), un’altra collina sulla quale essenzialmente si sale allo scopo di vedere il panorama. Tutte le guide turistiche vi racconteranno che dal Pandoro si vede il tramonto più bello. Alla luce di questo, io ci sono salito al tramonto. Si prendono 2 teleferiche per arrivare in cima e fin dalla prima sosta si resta a bocca aperta per quanto sia effettivamente bella questa città, con le sue spiagge bianche protette dalle montagne, a loro volta ricoperte dalla foresta tropicale.
L’unica cosa discutibile è stata la decisione di andare alla fermata della teleferica a piedi da Copacabana. Alla fine sono un 6 chilometri, con anche un paio di attraversamenti pedonali estremamente avventurosi e il passaggio davanti alla sede della polisportiva Botafogo.
Parlando di calcio, e pochissimo coerente con il mio proposito di non visitare mai uno stadio vuoto, mi sono diligentemente portato al Maracanà, lo stadio da calcio più famoso del mondo. Anche se non è più lo stadio che divenne famoso per la sua impressionante capienza: tipo 200.000 posti.
Oggi il Maracanà è uno stadio estremamente moderno e con una capienza che dev’essere di circa un terzo, rispetto ai tempi mitici. L’unica cosa che non è cambiata è che in quello stadio il Brasile non ci deve giocare i Mondiali: nel 1950 perse clamorosamente contro l’Uruguay e fu tragedia nazionale. Nel 2014 ci ha subito l’umiliante 7-1 contro la Germania.
La visione più suggestiva del Maracanà è però quella che si ha uscendo dalla fermata della linea verde del metro che porta il nome dello stadio. Quando ho visto la classica struttura a bomboniera, ammetto che un po’ di emozione l’ho provata.
L’ultimo ricordo che ho di Rio è una tranquilla pedalata attorno alla Lagoa, un lago che si trova praticamente nel centro della città e sulla quale si affaccia un elegante quartiere residenziale.
Ma il ricordo più vero che conservo è quello di una birra bevuta a Travessa do Commercio, una strada centrale che è un incredibile fiorire di tavolini all’aperto e di gente sorridente. Ci sono arrivato passando vicino all’imbarcadero, da dove centinaia di persone tornano alle varie isolette che circondano Rio e che sono evidentemente luoghi più tranquilli di residenza.
E’ questa la Rio più vera. Quella più bohemienne invece la si trova radunata attorno alla Escadaria (scalinata) Selaron. L’artista cileno, specializzato in mosaici, ha voluto rappresentare a modo suo le varie anime del Brasile. Tra queste (anime), se ne trova anche una legata a una celebre battuta di Totò in Miseria e Nobiltà. Come dire: l’Italia non è poi così lontana.
Il mio Brasile 4-segue
Vedi anche:
1-La Storia 2-Leggendo i ‘Versi Satanici’ di Rushdie
3-Ipanema e Copacabana