“La grande bellezza” non è una foto dell’Italia di oggi

CINEMA, SCHIROPENSIERO

Quando percorro via Flaminia in direzione degli uffici  della FIBS, il mio sguardo è sempre attirato da una scritta: fascista centometrista. Guardando meglio, prima di fascista ci sarebbe scritto anti e quindi la scritta originaria si leggerebbe così: anti fascista centometrista. E’ ovvio che il significato cambia.
Al di là della frase in sé, comunque, trovo peculiare che ci sia gente che ha così tanto tempo da perdere da andare in giro per Roma con delle bombolette di vernice per imbrattarne i muri.
La via Flaminia non è particolarmente bella, ma non capisco in ogni caso perché se ne debbano imbrattare i muri. Non è neanche brutta: sulla destra c’è lo stadio Flaminio (in ristrutturazione). Poi si arriva a viale Tiziano e poco distante c’è l’Auditorium Parco della Musica. Dai muri imbrattati all’Auditorium, ci sono epoche di differenza. L’Auditorium è quella Roma moderna e progressista che i vari Veltroni e Rutelli hanno più che altro immaginato. Quella dei muri imbrattati è magari più la Roma degli Alemanno e dei Batman. E bisogna stare comunque attenti al giorno in cui si arriva in zona. Quando c’è il mercato su viale Tiziano, la zona di Alemanno e Batman si amplia.
Su viale Tiziano passa un comodo trenino (Tram? Metropolitana leggera?) che collega piazzale Flaminio a piazza Mancini. Da piazza Mancini, attraversato il Tevere (e adesso c’è anche il ponte Della Musica, pedonale) vi ritrovate allo stadio Olimpico. Io questo tratto lo faccio spesso a piedi. Non è vicino, ma è istruttivo. Perché ci si rende conto che non esiste una Roma sola. Per dire: al Foro Italico ti vien da dire che una cosa del genere c’è solo qui, ma se poi prosegui lungo il fiume e arrivi a Trastevere, per parcheggiare ti devi rivolgere a un abusivo che non puoi eludere. E soprattutto, che non sai se ti eviterà la multa (che sarebbe sacrosanta).

Toni Servillo ne "La grande bellezza"
Toni Servillo ne “La grande bellezza”

Guardando La grande bellezza di Sorrentino in TV, ho pensato che tutto sommato dalle inquadrature potrebbe emergere anche un po’ della mia Roma. Dopo tutto, anche Sorrentino vede Roma da ospite, esattamente come me.
Se non sei nato e cresciuto a Roma, non ti sentirai mai romano. Ma Roma la si può imparare ad apprezzare anche da residente o da ospite fisso. Da turista, è ovviamente più facile.
Da ospite fisso, si rischia comunque di descrivere Roma come un misto tra la città che abbiamo conosciuto da turisti o da ospiti d’onore (fantastica) e quella che  si è presentata davanti ai nostri occhi la prima volta che ci siamo trovati da soli in giro e abbiamo maledetto quel trasporto pubblico che è gestito da un’azienda che ha più dirigenti della NASA (lo dice il Financial Times).
E’ un po’ quello che succede al film di Sorrentino. Ammesso che La grande bellezza vada inteso come un film su Roma o sull’Italia. Io penso piuttosto che la Roma del film sia più un’idea che un luogo. Più un simbolo che altro. E non necessariamente un tentativo di descrivere l’Italia. E’ ovvio che Sorrentino ci vuole dare l’idea di decadenza del nostro paese. Ma io credo che lo sguardo del regista vada un po’ più in là e abbia propositi più universali.

ioSorrentino, comunque, abbiamo mai  visto a Roma: “Maiali che cercano cibo in bidoni della spazzatura stracolmi e mendicanti professionisti che sfruttano i bambini e intimidiscono i residenti e i turisti” come scrive sul Financial Times Guy Dinmore in un articolo intitolato: Look to Renzi for la Dolce Vita (non lo linko, perchè il sito del Financial Times è a pagamento). Dice Dinmore che Termini è il simbolo della “decadenza” dell’ex Capitale di un Impero. Ho scritto al giornalista e gli ho chiesto come descriverebbe la Grand Central Station di New York o il lunghissimo percorso che va da Piccadilly Circus ai binari del treno della metropolitana di Londra.
Mi dice Dinmore: “Il tuo è un punto di vista onesto. Io non conosco bene New York, ma Piccadilly Circus l’ho vista migliorare. Roma Termini no”.
Dinmore, descrivendo Roma, parla di “Gente senza casa che dorme per terra”. Di queste scene ne ho viste sicuramente più a New York, Londra, Parigi. Con la differenza che a Roma, per dire, esiste un servizio notturno itinerante della Caritas dal 1984. Non può ovviamente fare miracoli, ma è sempre meglio di quel che è stato fatto a New York: gli homeless sono stati cacciati da dove si vedevano troppo, ma che fine erano destinati a fare al Sindaco Rudolph Guliani non è che interessasse troppo.
Poche settimane fa in Inghilterra leggevo sui giornali che una parte sempre più rilevante della popolazione di Londra rischia di uscire dal mercato delle abitazioni (troppo costose) e c’è un allarme homeless che monta sempre più minaccioso. Avete mai letto di questo sui giornali italiani?

Trovo assurdo che l’Oscar a La grande bellezza serva a produrre commenti sull’Italia come “Un paese in decadenza, al quale si guarda al massimo con triste rassegnazione” (sempre Dinmore).
Il Financial Times attribuisce a un non meglio identificato presentatore di La 7 questa dichiarazione: “Roma sta diventando una città di barbari e quelli che ci vivono sembrano animali selvatici abbandonati a sé stessi”.
Magari questo opinionista sarebbe anche capace di dirci che l’India è un paese dalla crescita economica miracolosa. In India ci sono intere categorie di persone che vivono d’accattonaggio, ma questo viene spesso tralasciato. Magari l’opinionista è pronto a dire che in Brasile sono riusciti a ottenere il Mondiale di calcio 2014 e le Olimpiadi 2016 e a dimenticare che i soldi (tanti) investiti negli impianti potevano certamente avere un altro utilizzo, in un paese che pullula di persone che vivono in capanne.

Torniamo a La grande bellezza e trattiamolo per quel che è: un film importante, visivamente splendido, ma destinato a non piacere a tutti. Lungo, con una trama abbastanza debole (lo dice lo stesso Sorrentino), ricolmo di citazioni cinefile (quelle dai film di Fellini sono palesi) e letterarie (il personaggio di Jeb, interpretato da Toni Servillo, è una sorta di Principe Miskin di Dostoevskij), La Grande Bellezza è un film ridondante e onirico, anche paradossale. Mi veniva da dire che il finale è mistico, ma sarebbe inesatto: è più religioso secondo quella cultura napoletana che porta decine di migliaia di persone ad aspettare che ogni anno si sciolga il sangue di San Gennaro. In questo senso, è molto italiano.
Io guardandolo mi sono emozionato. Ma ammetto che non è questo il mio linguaggio cinematografico preferito. E anche Sorrentino, lo preferisco quando cerca di fare piccoli film come This must be the place, che l’Oscar non lo vinceranno mai.