La cosa che ricorderò in maniera più vivida del viaggio tra Palenque e Mahahual è la serie di cartelli del tipo Sii prudente, la tua famiglia ti aspetta che si trovano lungo le strade degli Stati del Chiapas, del Tabasco (a proposito: la salsa omonima è prodotta da una ditta che ha sede negli Stati Uniti. Delusione!) e del Quintana Roo. Strade che, stando alla cartina, sarebbero secondarie. Ma che in verità, sono identiche alla principale (una corsia per senso di marcia) e sono pochissimo frequentate.
Sarebbe stato, insomma, un viaggio piacevole. Questo se io non mi fossi trovato in uno stato larvale dovuto a cibo (facilmente avariato) e non digerito (a questo punto, per fortuna) con conseguenze espulsione dello stesso di prima mattina.
Mi sono parzialmente ripreso a forza di Gatorade, arance comprate (già sbucciate) da alcuni ambulanti locali e limone. E naturalmente, dormendo quasi tutto il giorno. Poi alla sonnolenza si è sostituito un raffreddore strano, che mi faceva starnutire a ripetizione e che ho sconfitto con un antigripal (anti influenzale; parola splendida, gripal) della Bayer che si chiama Tabcin. E che è del banale paracetamolo (la Tachipirina, insomma) con in più (lo scopro ora) della pseudoefedrina che mi avrebbe reso positivo a un test antidoping. Sia quel che deve essere, gli starnuti si sono interrotti quasi in tempo reale.
La permanenza sulla Costa Maya non è davvero iniziata nel migliore dei modi.
Sia chiaro, Mahahual è un posto incantevole. Di fatto si tratta di 4 case lungo il Malecon, qualcosa di molto diverso da Cancun o anche da Playa del Carmen, le 2 principali località della penisola dello Yucatan. La laguna però è bellissima, con la sua acqua cristallina e che, anche a gennaio, ha una temperatura di 27 gradi. Prima di arrivare a trovare l’acqua alta, bisogna in effetti camminare per almeno 100 metri. Non a tutti questa caratteristica piace, ma rende il posto molto sicuro per qualsiasi livello di bagnante.
La vita in spiaggia scorre pigra e piacevole, a parte nelle giornate in cui attraccano le navi da crociera sulla via del Belize, che sbarcano gruppi di turisti (quasi sempre statunitensi, ma ci sono anche gli italiani e i loro cellulari e la loro scarsa conoscenza della geografia: “Mamma? Sì, stiamo bene. Ci siamo fermati in un’isola messicana”) e li parcheggiano negli alberghi lungo il Malecon, dove viene applicato l’All Inclusive vigente a bordo. La morale è: bevono come chissà (birre, cocktail…) e poi sono rumorosi.
Il Malecon è tutto nuovo, anche perché Mahahual è stata colpita duramente dall’uragano Dean, che nel 2007 ha fatto complessivamente più di 1.5 miliardi di dollari di danni nei vari paesi sui quali si è abbattuto. Ma a prima vista, specie dopo il tramonto, l’impressione è quasi quella di essere in una città fantasma. In verità, a cercare bene, ci sono almeno un paio di ristoranti che meritano di essere visitati. Il mio preferito è Nohoch Kay, che è il luogo più frequentato dai turisti single, per via di una cameriera paffutella che indossa sempre micro short e sorride un po’ a tutti. Io raccomando il Ceviche, che è speciale e abbondante. Da 100% Adobe (superato il timore di perire in un incendio, visto che è tutto in legno) faccio invece conoscenza con il chile habanero, un peperoncino verde piccante in maniera drammatica (dà la sensazione di aprire naso e orecchie…). In entrambi i ristoranti non c’è pavimento e si mangia con i piedi nella sabbia. Sarebbe forse più elegante il ristorante del nostro albergo, che è anche a gestione italiana e, quindi, ha la non indifferente qualità di cucinare la pasta al dente. Ma se c’è una cosa bella, è mangiare in un ristorante diverso ogni sera. E poi, da Adobe e Nohoch, si paga la metà.
A proposito dell’albergo 40 Canones (si chiama così in onore di un relitto affondato poco lontano da Mahahual e che ha a bordo, appunto, 40 cannoni), va segnalato che chi si occupa della pulizia delle camere è il prode Honorio (che è piuttosto gaio e, sospetto, invaghito del sottoscritto…). L’operazione lo occupa letteralmente da mattina a sera.
Il vero numero uno di Mahahual è però Cabelito. E’ un bimbo nero di origine africana (rarissimo, in Messico; il papà penso sia della etnia garifuna del Belize) che si aggira con un triciclo e che è il mio idolo da subito. Perché Cabelito ha un progetto: vuole riempire di sabbia la scanalatura che c’è tra il Malecon e il marciapiede, per non finirci dentro con le ruote del triciclo. Nessuno, purtroppo, coglie quello che Cabelito sta cercando di fare. E visto che Cabelito non parla ancora, viene riportato sistematicamente al centro della strada. Ha provato a disperarsi, ma visto che la cosa non sortisce effetto, ha deciso di farlo di nascosto.
Sono molto solidale con Cabelito.
Mahahual è diventata la nostra base sulla Costa Maya perché io mi ero messo in mente di fare immersioni alla barriera corallina del Banco Chinchorro. Non tanto perché i coralli di questo semi atollo (ovvero: formatosi su un banco di sabbia e non su rocce di origine vulcanica come un atollo propriamente detto) sono segnalati come spettacolari, ma piuttosto perché il nome è davvero splendido.
Al Chinchorro siamo andati accompagnati dalla guida Luis Fernando Amezcua Ramirez, personaggio strepitoso e un po’ rumoroso, che si aggira per la barca con una mini telecamera montata su una sorta di tubo espandibile. Il viaggio è di circa un’ora e mezza, nelle quali la barca cavalca le onde, ci si bagna parecchio e si prendono anche discrete mazzate alla schiena. Poi però le 2 immersioni (20 metri circa di profondità) ci portano a contatto con una barriera incredibilmente incontaminata e in mezzo a spugne, vere e proprie orde di pesci colorati. Passa anche una tartaruga, ma non si vede nessuno squalo nutrice, un incontro piuttosto frequente qui. Ne vedono addirittura uno i nostri compagni di viaggio che si limitano allo snorkelling (invidia!). Visto che Amezcua Ramirez è molto impegnato a infilzare i Pesci Leone, lo sostituisco come guida e individuo una bellissima murena maculata. Poi mi dedico a seguire un barracuda, che mi guarda sospettoso: di solito sono loro, che si nascondono dietro i sub per cacciare…
La cosa brutta, tra le 2 immersioni, è la sosta su uno degli isolotti del Chinchorro. Essendo riserva della biosfera e, di fatto, disabitato (ospita una stazione biologica), l’isolotto è colonizzato da moscerini terribili che i messicani chiamano chiquistes e che provano a mangiarci vivi. Anche se nella laguna d’acqua dolce vedo un coccodrillo, non mi fermo più di tanto a osservarlo e mi rifugio sulla barca. La naturaleza non è sempre emozionante…
Bella storia, quella dei Lion Fish. Qualche anno fa, erano molto ricercati per gli acquari. Poi la gente ha scoperto che per nutrirli è necessario procurarsi pescetti vivi e se ne è sbarazzata, buttandoli in mare. Il problema è che il Lion Fish (che è bellissimo, da vedere) non è un pesce del Mar dei Caraibi e qui non ha predatori naturali. Le femmine depongono qualcosa come 300.000 uova, quindi la popolazione sta crescendo a dismisura. Per questo, vi incoraggiano a ucciderli con il fucile, anche se siete in immersione con le bombole.
Di Lionfish ne abbiamo catturati anche nelle 2 immersioni (buceos locales) fatte nella barriera corallina vicina alla costa. Che non è altrettanto incontaminata come quella del Chinchorro, ma offre comunque paesaggi spettacolari.
Il dive master è un argentino che si dice convinto di poter iniziare la gente di Mahahual al Ceviche di Lion Fish (“Ha una carne bianca molto adatta”), provvedimento che potrebbe aiutare davvero a tenere la popolazione di questo pesce sotto controllo.
La nostra permanenza sulla Costa Maya si conclude a Xcalak, che è l’ultima località alla quale si può arrivare via terra procedendo verso sud. Dopo Xcalak, si può viaggiare solo via mare. La strada statale non va oltre e quella costiera è stata interrotta.
Lasciando Mahahual, mi porto via 2 ricordi. Uno è molto positivo: un massaggio di un’ora (20 dollari) fatto in riva al mare. La pratica del massaggio è molto diffusa in Messico e a Mahahual sono diversi i massaggiatori che piazzano i loro lettini sulla spiaggia. L’altro è il panico da contanti, perché a Mahahual non c’è uno sportello bancomat che funzioni e nessuno accetta pagamenti con carta di credito. Per fortuna, la gasolinera (benzinaio) a 5 chilometri dal nostro albergo ha un bancomat. Ed è anche sulla strada per Xcalak.
Alloggiamo all’hotel Tierra Maya, che è in riva al mare. Xcalak è il regno delle mangrovie, quindi la laguna è in buona parte occupata dalle alghe. Per fare il bagno è necessario camminare su un pontile e tuffarsi da lì.
Ma la pace assoluta del posto, che si trova sul limitare della giungla, val bene questa piccola scomodità.
La prima mattina veniamo svegliati dalle donne delle pulizie, che bussano per rifare la camera. Io ho messo la catena e non me ne curo. Ma visto che insistono, gli vado a dire di tornare più tardi. Quando insistono ancora, mi parte l’embolo. Ma anziché scusarsi, le donnette si rifiutano di pulire la stanza. E il loro capo (che, per la verità scusa me l’ha chiesto) gli dà anche corda. Anzi, ci dice anche che possiamo andarcene, se non ci troviamo bene. Ovviamente, io non sono accomodante. Per tutta risposta, gli porto i cestini da svuotare proprio nel suo ufficio. Che potrebbe non sembrare una grande rappresaglia. Il fatto però è che in Messico non si butta la carta igienica nel water (si intaserebbe tutto…) e quindi i cestini significano un sacco di carta sporca di merda (per essere espliciti…). Comunque, alla fine si aggiusta tutto e le donnette puliscono la stanza.
Ci si può non credere, ma Xcalak ha un ristorante da stelle Michelin: Leaky Palapa. La chef Marla fa una buillebasse che sembra di essere in Francia. Lei e la maitre Linda sono una coppia canadese, che se ne è andata dal Canada per motivi che non mi vogliono spiegare.
Ad un certo punto dell’ultima notte a Xcalak ho avuto chiaro questo quadro: il gestore del Tierra Maya è un narcotrafficante e i suoi compari faranno irruzione nella nostra stanza e ci trucideranno. Così mi sono alzato per chiudere la porta finestra. Subito dopo, mi sono addormentato.
Naturalmente, una porta finestra chiusa è perfetta, per prevenire gli attacchi dei narcotrafficanti…