Nel caso chi ha letto l’articolo sul concerto del 19 marzo si chieda cosa mi esalta tanto del lavoro di Paul Weller, provo a spiegarmi.
Nel giugno del 1979 ero lontano da casa e anche un po’ preoccupato. Avevo 16 anni scarsi, crescevo di statura a vista d’occhio, avevo un problema a comunicare con le ragazze. E soprattutto, non capivo quasi nulla della lingua (l’Inglese) che credevo di sapere così bene.
Torquay è una cittadina sulla Manica. Il che, non è un bel presupposto, se ambisci ad attirare turisti. Sulla Manica fare il bagno è qualcosa di eroico e il sole c’è e non c’è (almeno allora, oggi in Inghilterra si lamentano della siccità).
Una sera, sconfortato dall’ennesimo (e vano) tentativo di capire cosa dicesse lo speaker della BBC, feci per alzarmi e andare in camera mia. Chris, il padrone di casa, mi disse: “Ho registrato ‘Top of the Pops’. Vuoi guardarlo con me?”.
Come, guardarlo? Da quando in qua, si guarda una registrazione?.
L’ho pensato e, per fortuna, non l’ho detto. Chris aveva un video registratore, che per me era un oggetto che poteva esserci giusto nei telefilm di Star Trek (Mr Spock, lui sì che lo capivo, quando parlava).
Certo, il video registratore di Chris era grandino, rispetto a quelli di adesso. Aveva un telecomando enorme in maniera imbarazzante e per partire ci metteva mezz’ora e l’immagine traballava tutta. Ma funzionava.
Il conduttore di ‘Top of the Pops’ urlava decisamente troppo anche per me a 16 anni e non avevo speranza di capire cosa dicesse. Ma quando è entrato un ragazzo serio, con i capelli relativamente corti per essere una rock star, l’ho rivalutato (il conduttore), perchè l’ho visto emozionarsi. E anche Chris, era carico: “I Jam escono quest’autunno con un disco nuovo” sorrideva Chris.
Sì, quel ragazzo serio era Paul Weller.
Io in autunno ero già in Italia. A casa non avevo un video registratore. E neanche un impianto stereo. Avevo quello che si chiamava mangia cassette e, quando uscì ‘Setting Sons’ a novembre, il mio amico Enrico fu così gentile da registrarmi una cassetta e portarmela. Per qualche motivo, mi portò anche una fotocopia con i testi delle canzoni. Una decisione che cambiò completamente la mia prospettiva di fronte alla musica.
Dovevo molto del mio vocabolario Inglese alle canzoni dei Beatles. Ma quello che diceva Paul Weller, almeno quello che capivo io ad una prima lettura, era diverso. Mi esaltai per le parole di ‘Burning Sky’, una canzone che ha un testo in forma di una lettera, scritta da qualcuno ad un amico che cerca di organizzare una rimpatriata. Con il tono: “Sai, ormai non sono più il tipo per queste cose, ho una carriera…”.
Presi a sezionare i versi di Paul Weller, a cercare i vocaboli sul dizionario, a riscrivere il testo, a tradurlo in Italiano. Imparai ‘Burning Sky’ a memoria e poi passai a ‘Thick as Thieves’. Che è un testo bellissimo, trascinante, che dà i brividi. Anche perchè è montato su un grande impianto ritmico e i cori (che ricordano molto i Beatles) valorizzano appieno la voce unica di Paul Weller, che riesce ad arrivare altissimo con i toni bassi (so che è un ossimoro, ma penso si capisca cosa voglio dire…e se non si capisce, ascoltate ‘Thick as Thieves‘).
“We seemed to grow up in a flash of time, as we watched our ideals helplessy unwind”.
Il poeta inglese Simon Armitage è nato nel 1963 (come me) e ad un programma radio della BBC ha recitato un giorno i versi di ‘Thick as Thieves’.
Allo speaker, letteralmente senza parole, ha chiarito: “Quei versi, sono di uno standard fantastico, che non ha niente a che vedere con quello delle canzoni pop. Mentre scriveva, Paul Weller sapeva, almeno inconsciamente, che un sacco di gente si sarebbe riconosciuta in quella esperienza di crescita, quando ti devi lasciare il passato alle spalle per diventare una persona”.
Paul Weller aveva appena 21 anni, quando scriveva quei testi. E la sua formazione scolastica era ferma alle superiori.
“Al contrario degli altri autori dell’epoca punk” scrive John Wilson, un celebre conduttore radio della BBC “E’ un romantico. E non se ne vergogna. La sua abilità di immaginarsi mentre vive la vita di altri, è stupefacente”.
Infatti, io in quarta superiore avevo azzardato, durante una interrogazione di Inglese, un paragone tra Paul Weller e Percy Shelley (il romantico per eccellenza) che non poteva trovare contraddittorio nell’insegnante, ma che certo fu giudicato inaudito.
Tra il 1980 e il 1981 ho recuperato tutto quello che i Jam avevano pubblicato prima del giorno in cui Chris a Torquay mi ha fatto vedere Paul su “Top of the Pops”. Ho imparato a memoria i testi di tutte le canzoni dei Jam, ho iniziato anche a vestirmi come Paul Weller (impresa disperata, perchè Paul Weller era magrissimo e io non tanto). Ma questo è poco rilevante.
Quel che è davvero importante è che Paul Weller mi ha insegnato ad esprimermi. Mi ha insegnato ad usare le parole che erano giuste per dire chiaro un concetto. I suoi testi mi hanno insegnato che per farsi capire è necessario usare una voce originale, trovare le parole dentro di sè, nella propria esperienza di vita. Non sul dizionario.
Sono venuti gli Style Council, Paul Weller si è persino esibito a Sanremo (che è stato un po’ come quando il Milan si è ritirato dal campo a Marsiglia, come delusione….). Io nel frattempo sono diventato un giornalista e, nel mio ruolo, ho provato ad intervistarlo. Riuscirci, era una eventualità che mi terrorizzava. Cosa andavo a dirgli? “Sai, il tuo lavoro per me ha significato tanto?”. E se mi rideva nei denti?
Comunque, non ci sono riuscito. Ad intervistarlo, dico. E magari è meglio così.
La musica e i testi di Paul Weller hanno finito con lo scandire un sacco di momenti importanti della mia vita. Uno in particolare mi viene in mente adesso. Quando ho deciso di dimettermi dal lavoro sicuro di direttore di un canale televisivo per buttarmi nell’avventura di internet (scelta che non benedirò mai abbastanza) mi sono venute in mente le parole di ‘All mod cons’, una canzone del 1978: “Didn’t we have a nice time, wasn’t it such a fine time?”. Insomma, quando si deve rischiare, si rischia. E ho rischiato.
Quelle notti ad ascoltare le canzoni di Paul Weller, con il mondo che assumeva ai miei occhi una prospettiva diversa con il passare dei minuti, sono un’esperienza formativa fondamentale. E dico chiaro che se quello che scrivo darà solo ad una persona quello che Paul Weller ha dato a me, il mio lavoro avrà avuto un significato.
Paul Abbott (classe 1960) è uno scrittore e sceneggiatore di grande successo. Del suo “Shameless” (trasmesso originariamente da Channel Four nel Regno Unito) è stato fatto un remake negli Stati Uniti. In Italia, per la verità, non è mai arrivato, ma nei paesi di lingua Inglese è pluri premiato.
Abbott dice: “Paul Weller mi ha ispirato a diventare lo scrittore che sono oggi (…) Io scrivevo perchè volevo far sentire la mia voce. E Weller mi ha ispirato a farlo, a esprimermi, a scrivere quel che pensavo e senza farmi zittire”.
Non potrei davvero aggiungere altro.
gran pezzo.
grazie