Il 9 novembre del 2019 è morto Giancarlo Mangini. Scrissi di getto questo ricordo per il sito della FIBS. A un anno di distanza lo voglio riproporre qui.
Per me Giancarlo Mangini resterà per sempre quel signore sorridente che attraversò il campo del Bollate e si sistemò al mio fianco in un giorno bigio della primavera del 1984.
“Amico di Parma”. Mi si rivolse così la prima volta che gli passai la cornetta del telefono. Stavo provando a fare una radiocronaca per Onda Emilia di Parma. “Al microfono Gian Paolo Pelosi e Riccardo Schiroli”, avevano detto dallo studio. E per me era qualcosa di grandissimo: io che parlavo alla radio. Anche mia nonna Bianca aveva apprezzato: “Hai parlato molto bene”.
Non è tanto facile mettere nero su bianco quello che ha rappresentato per me Giancarlo Mangini. La sua rubrica Lanci Curvi era il mio libro di testo da aspirante giornalista di baseball. Le sue telecronache erano l’unico riferimento in Italiano di quello che poteva essere una telecronaca di baseball.
Quel giorno a Bollate avrei voluto chiedere un sacco di cose a Giancarlo. Ma mi limitai a pendere letteralmente dalle sue labbra. Ero una spugna, assorbii di tutto.
Non avrei mai avuto la sua cadenza unica. Ma la voce ho iniziato a imitarla da quel giorno. Perfezionandomi con il passare degli anni. Che poi sono diventati decenni. In particolare, c’era un’espressione caratteristica di Giancarlo che penso di aver usato (nella mia mente o attraverso le frequenze di Onda Emilia o come speaker allo stadio o nelle telecronache RAI) durante ogni partita di baseball che ho visto da quel giorno. E devono essere migliaia: “Va la nona”.
Giancarlo Mangini iniziava sempre l’ultima ripresa a quel modo. E io ero a tal punto divertito dal suo “va la nona” che gliene chiesi uno come regalo di compleanno. Era il campionato 2010 e io e Giancarlo commentavamo assieme la partita della settimana per Rai Sport. Lui non era la prima voce da parecchio, quindi il fatidico “va la nona” non lo pronunciava da un po’.
Era l’11 agosto, il giorno del mio compleanno e avevo portato al ‘Gianni Falchi’ di Bologna una bottiglia di champagne per festeggiare. Quando Pino Cerboni disse in diretta che quel giorno era il mio compleanno, non seppi resistere: “Il regalo oggi lo voglio da Giancarlo” dissi “Mi devi fare in diretta un Va-la-nona”.
Arrivati al nono inning, della mia richiesta mi ero scordato. Giancarlo invece no. Disse “Schiroli, stai attento”- E se ne uscì con uno stentoreo “Va la nona”. Che resterà sempre nel mio album dei ricordi.
Noi imitatori di Giancarlo Mangini ci siamo sempre chiesti da dove venisse questo suo accento particolare, che certo non era milanese. Al contrario del suo numero di telefono, che iniziava per 02.
Non ci fu bisogno di chiederlo. Alla presentazione della stagione 2005 a Caserta mi ricordai un po’ in ritardo del fatto che ricorreva il centenario della nascita di Max Ott, uno dei Padri del baseball italiano. L’unica alternativa che avevo era affidarmi a Giancarlo per un ricordo. Mi sarei in parte pentito della decisione, perché Giancarlo quando afferrava un microfono faceva un po’ fatica a restituirlo. Ma venni ripagato da una frase che avrebbe finito con il diventare il pezzo pregiato del mio repertorio di suo imitatore: “Quando da ragazzi, sul Carso, ci lanciavamo le pietre…”.
Guardate che c’è una bellezza incredibile in quelle parole. C’è la bellezza incredibile che aveva il baseball raccontato da Giancarlo. Il baseball che ci si può gustare solo alla radio. Non necessariamente una cronaca fedele, ma certamente una cronaca appassionante.
Giancarlo Mangini è stato un prima base, poi un esperto di softball, quindi un telecronista di baseball e di softball. E come è nata la sua passione per il softball è un’altra storia meravigliosa.
“Ero a Londra per lavoro (poco) e soprattutto per cercare delle girls…”, scrisse in un abbozzo di articolo che mi mandò, rigorosamente via fax (l’e-mail la vedeva un po’ come una diavoleria), per impostare il capitolo sulla storia del softball italiano de Un Diamante Azzurro, il libro sulla storia della FIBS pubblicato nel 2006. Mangini, insomma, era tra quegli Inglesi che negli anni ’60 del secolo scorso si trovavano a Regent Park a giocare a softball.
Ho scoperto solo di recente che a quelle partite ha partecipato anche Tony Curtis. Avessi avuto questa informazione prima, avrei chiesto un ricordo a Giancarlo. Che immancabilmente, mi avrebbe risposto: “Tony, che ho conosciuto personalmente…”.
Ho scritto su Facebook che non riesco a immaginare il baseball italiano senza Giancarlo Mangini.
Per fortuna, Giancarlo è nella Hall of Fame. Che meriterebbe di esistere anche solo per averci permesso “indurre” Giancarlo.
Ho messo indurre tra virgolette perché il verbo era una delle espressioni che Mangini ha fatto entrare nel gergo del baseball di casa nostra. Quindi, noi abbiamo “indotto” Giancarlo Mangini alla Hall of Fame, ma in realtà dovremmo dire “ammesso” (la traduzione corretta del verbo inglese to induct). Però continueremo (almeno io) a dire indotto. Come continueremo a dire “lega professionale” e non “professionistica”. Semplicemente perché lo diceva lui.
Io non so ancora quanto mi mancherà Giancarlo. So che per me è molto doloroso non averlo potuto salutare un’ultima volta. Eppure mi sono ripromesso di chiamarlo almeno mille volte, da quando è iniziato questo 2019.
L’ultima volta che ci siamo parlati Giancarlo mi disse: “Non mi riconosco più in questo baseball”.
Senza di lui, lo so che sono banale, non sarà più lo stesso baseball.
Domani entrerò al Tokyo Dome. Camminerò lento verso il piatto di casa base e poi mi girerò verso la tribuna stampa. Purtroppo non lo vedrò arrivare con la sua borsa a tracolla. Non lo sentirò chiedermi “mi hai stampato le statistiche?”.
Ma lui ci sarà, perché senza il suo esempio, io non sarei mai arrivato a essere uno degli addetti stampa del Premier12 della WBSC.
Spero che al Premier12 arrivi subito un fuoricampo. Perché dopo il toc della mazza mi alzerò in piedi e comincerò: “Va…va…va…apri le finestre, Zia Rosi”.