Non sono salito tanto spesso su un treno che va piano come il Chepe, che percorre la linea ferroviaria che va da Los Mochis a Chihuahua. Da quel che scopro, si tratta dell’unico treno passeggeri di una certa rilevanza di tutto il Messico e la costruzione della linea è stata completata (“dopo decenni di lavori”, dice la guida ‘Lonely Planet’) nel 1961.
Un automa si è svegliato al mio posto, ha lasciato l’hotel Corinthios di Los Mochis lamentandosi per il rumore notturno (e intimando di cambiarci stanza, quando saremmo tornati, ad un portiere di notte più assonnato ancora) e si è addormentato appena salito sul Chepe.
Di fatto il viaggio per me inizia a metà. Apro gli occhi decorosamente riposato e mi ritrovo nella Sierra Tarahumara. I 170 chilometri che vanno da El Fuerte a Bauchivo valgono qualcosa come 1600 metri di dislivello e, per arrivare a Divisadero (la nostra meta) si sale ancora di 800 metri.
Divisadero è la stazione centrale per chi vuole visitare il Canyon del Rame. Volendo, si può scendere dal treno, prendersi il tempo per mangiare qualcosa (lungo i binari è sorta una pittoresca comunità di venditori di cibo) e fare qualche foto a las barrancas (il canyon). Noi siamo più organizzati e abbiamo in programma di stare una notte quindi, una volta a Divisadero, attraversiamo (mio malgrado, senza acquistare nulla) le bancarelle di cibo e raggiungiamo l’hotel Divisadero Barrancas (gran fantasia…). Non faccio in tempo a rammaricarmi per non aver potuto mangiare (ci avevo provato, senza successo, anche non appena tornato lucido in treno), perché ci mettono a sedere e ci servono il pranzo. Il responsabile del servizio conosce bene una sola parola: propina (cioè mancia) e sta cominciando a diventare fastidioso.
All’esterno dell’albergo ci sono i bambini della comunità locale dei Tarahumara che cercano di vendere oggetti di presunto artigianato che, sinceramente, non si possono comprare e (consci di questo) ripiegano sulla richiesta di un peso.
Mi fa sempre riflettere, vedere lo stato in cui versa in America Latina la popolazione indigena (loro vi chiederanno di usare proprio questa parola: indigena. Indio, il termine che ci verrebbe spontaneo, è considerato offensivo). Qui, dove gli spagnoli a loro tempo avevano fatto fatica ad arrivare, la comunità indigena è abbastanza numerosa. Si parla di 350.000 individui (oltre ai Tarahumara sulla sommità, ci sono i Raramuri, che vivono all’interno del Canyon). Però si tratta anche di persone che vivono decisamente ai margini della società.
Una guida, orgogliosamente Tarahumara e che indossa un cappello da cowboy, ci conduce in una breve passeggiata. Godiamo di diversi punti di vista molto scenici del Canyon. O forse, si tratta di diversi (barrancas) canyon. Il colore rossiccio dominante giustifica il fatto che sia chiamato Canyon del Rame.
Qui, a più di 2000 metri di quota, ci dovrebbe essere freddo. Io mi sono portato anche il maglione. Ma sotto i 15 gradi non si va assolutamente.
Le popolazioni indigene vivono in case, che a me sembrano improvvisate, leggermente fuori dalla zona centrale delle operazioni di Divisadero (dove si ferma il treno, per intenderci). La guida butta lì che, rispetto a vivere nelle caverne, è già un miglioramento.
La maniera migliore per vedere il Canyon è prendere la teleferica, che è stata inaugurata nel 2010. Ha un costo assurdo (tipo 20 dollari americani a testa), ma conduce dove veramente si gode di viste mozzafiato.
Alla stazione della teleferica in quota, a cui si arriva dopo un percorso di quasi 3 chilometri molto scenico, è in azione un duo di Mariachi patriottici che, a squarciagola, ci fanno sapere che Es bonito sentirse chihuahuense e che lo Stato del Chihuahua (il quarto che visitiamo, dopo Baja California nord, Baja sud e Sinaloa) è una Tierra biendida para luna y sol. (come un po’ tutte le terre, se posso permettermi…)
Il Canyon del Rame ha nella parte alta una vegetazione alpina, ma guardando in basso si nota qualcosa di totalmente diverso. In effetti, nella parte bassa c’è un ecosistema sub tropicale.
La guida sostiene che la camminata di 5 ore per arrivare sul fondo è molto interessante. Oltretutto, si possono incontrare lupi e puma.
Noi però dobbiamo tornare a Los Mochis. Per ingannare l’attesa sul binario, mi omologo alle abitudini messicane con un antojito (spuntino) a base di piccantissimi chiles rellenos (peperoni ripieni, che sono una mia passione a qualsiasi latitudine). La guida mi guarda stupito e sorride, quando sentenzio che Me gustan mucho, los chiles.
Il Chepe è in netto ritardo e la sua folle velocità di 37 chilometri orari di media non consente di recuperare. Arriviamo così all’hotel Corinthios di Los Mochis che è già buio. Un taxista aggressivo impacchetta noi e un’altra coppia, così si fa pagare esattamente il doppio di quel che avrebbe incassato da una coppia sola, e ci deposita in albergo, dove la guardia raccomanda al portiere di notte di non darci la stanza vicina alla discoteca. Ceniamo dal solito Burger King aperto 24 ore.
Finalmente, alla mattina abbiamo occasione di vedere Los Mochis con la luce del giorno. E’ una città (quasi 500.000 abitanti) che sinceramente non dice granché. Vicino al Corinthios c’è una bella chiesa coloniale, sulla strada per la stazione dei bus ci sono un sacco di negozi di comida economica e ne approfitto subito. Tacos, insalata, una bibita costano un 2 dollari. Per un club sandwich (comunque buono) sul treno ne avevo spesi 5.
Il viaggio per Mazatlan avviene con un pullman super confortevole della TAP (Transportes y autobuses del Pacifico). E’ un autobus turistico con soli 28 posti e uno schermo piatto su cui vengono proiettati film. Ci si può praticamente sdraiare e, anche se il viaggio dura 6 ore, non pesa particolarmente. Dopo essere passati da Guasave, ci fermiamo a Culiacan. Considerato che siamo diretti a Mazatlan, praticamente stiamo leggendo la classifica del campionato di baseball locale. E’ lo stesso tipo di deja vu che provavo, ai tempi della trasmissione che a volte conducevo la domenica sera su Onda Emilia, attraversando il Veneto (campionato di rugby) o la Bassa mantovana o reggiana (campionati minori di calcio).
Quando arriviamo a Mazatlan, apprendiamo che il pullman prosegue fino a Città del Messico. Ma la TAP va anche a Phoenix, Las Vegas e, addirittura, Chicago.
A Mazatlan alloggiamo all’Hotel Fiesta, vicino alla città antica. E’ il classico edificio che ti aspetti, con un cortile interno e le camere sistemate ai 2 lati del cortile. Da un momento all’altro, so che Zorro salterà da un piano all’altro per affrontare qualcuno con la sua spada.
Seguendo il consiglio della guida ‘Lonely Planet’, ceniamo al ristorante Topolo, situato poco oltre l’affollatissima (di ristoranti, bancarelle, gente vociante) piazzetta centrale. Topolo ha un servizio di gran lusso (a cominciare dalla salsa per intingere le classiche chips di mais, preparata al momento e piccante al gusto del cliente) e una cucina strepitosa. Non abbiamo il coraggio di provare il pescado zaranzeado (un pesce ripieno che sarebbe la specialità locale), ma la tagliata di tonno mi lascia poco rammarico.
Mazatlan è la vera città costiera. La zona della città vecchia (molto bella, nel suo stile coloniale a colori pastello) merita una passeggiata pigra, resa meno piacevole da un SUV del cavolo (i SUV restano del cavolo, anche se io stesso ne guido uno…) che ci schizza di acqua maleodorante. La conclude una visita della Cattedrale. Ovunque ci sono cartelli che celebrano i momenti di permanenza a Mazatlan di Jack Kerouac e Allen Ginsberg.
Torniamo sul Malecon e lo percorriamo quasi tutto. Vicino al nostro albergo c’è la Playa Ola Altas, dove si esibiscono i Clavadistas, i tuffatori resi famosi da La Quebrada ad Acapulco, dove la tradizione è iniziata nel 1934. Ad Acapulco i Clavadistas si tuffano da 35 metri. Qui saranno 15, ma certamente il gesto atletico merita rispetto. Io erogo una esagerata (per lo standard degli altri generosi) mancia di 100 pesos. Che comunque, non sono neanche 10 dollari USA.
Le spiagge migliori (playa El Sabalo, ad esempio) di Mazatlan sono oltre la esclusiva Zona Dorada. Splendide sono anche quelle dei 3 isolotti (De Chivos, De Los Pajaros e De Los Venados) che si vedono in lontananza.
Mazatlan avrebbe meritato una permanenza di più giorni. Comunque, per consolarmi, un bagno con i nativi lo faccio comunque.