Il Giappone, i Convenience Store e il tifone

Giappone, Mondiale femminile 2018, SOFTBALL

In Giappone buona parte della giornata di chi lavora ruota attorno ai Convenience Store. Sono quei negozi, impostati come lo statunitense 7/11 (seven eleven), dove si trova sostanzialmente quello che potrebbe servire ad arrivare in fondo alla giornata. Al limite, ad aiutarci a passare una notte fuori.

I Giapponesi si esprimono con una cantilena. Non che io capisca quello che dicono, però è evidente che il tono con cui cantano contribuisce al significato di quello che dicono.
Sayaka Murata, nata proprio qui a Chiba nel 1979, ha scritto un romanzo che nella versione Inglese si intitola Convenience Store Woman. In Giappone è stato pubblicato nel 2016 e ha venduto oltre 600.000 copie. Il libro è appena stato tradotto in Inglese ed è stato accolto in Gran Bretagna come un caso editoriale.
Il personaggio principale del libro è Keiko Furukura, che da studentessa ha iniziato a lavorare in uno di questi negozi e, oltre 10 anni dopo, è ancora lì. La descrizione del lavoro in un convenience store è semplicemente formidabile.

convenience store woman
La copertina del libro di Sayaka Murata

Ci pensavo mentre vagavo tra gli scaffali di seven eleven alla ricerca di schiuma da barba. Perchè lo splendido ragionamento che ho fatto (“ne porto una confezione già iniziata, così la finisco”) è stato in parte corretto (l’ho finita), ma il tempismo non è stato impeccabile (l’ho già finita). Comunque, c’era tutto: il cicalino quando si apre la porta ed entra un nuovo cliente, il rituale con cui i commessi comunicano (credo che annuncino “c’è un cliente” e anche “il cliente ha pagato e si leva di torno”). Ma la parte del lavoro di commessa in un convenience store che a Sayaka Murata (o al suo alter ego; la scrittrice lavora tutt’ora part time in un negozio di Tokyo) piace di più è l’attività di controllo sui prodotti freschi. Quali vengono acquistati di più, e quindi vanno riordinati al più presto quello stesso giorno.

Il rapporto con i commessi dei negozi per me è piuttosto complesso, all’estero. Sopporto abbastanza poco il classico “may I help you” con cui ti tacciano negli Stati Uniti. Ma qui provo un certo imbarazzo. Sia perché non capisco assolutamente niente di quel che dicono, sia perché non ho un’idea di quando ci si deve fermare con gli inchini. Ti fanno l’inchino. Tu rispondi. Loro lo rifanno…

Molti dei lettori di Sayaka Murata abbracciano una filosofia di vita che sta diventando assolutamente rilevante tra i giovani giapponesi: essere soli è meglio. Ma non nel senso di prendersi del tempo per sè. Proprio nel senso di non avere amici e di non avere relazioni con altri esseri umani.

Che i giapponesi siano persone abbastanza poco espansive, si vede a occhio. Ma che nasca una filosofia di vita basata sulla solitudine, quello faccio fatica ad accettarlo. Vorrei capirne di più, ma con tutti i giapponesi che ho conosciuto sono riuscito solo ad avere rapporti estremamente formali.

La cosa mi destabilizza. Ho studiato in un Liceo Linguistico. Da una vita sono abituato a fare da intermediario per permettere alle persone di comunicare. Mi sembra strano non trovare una chiave.
Per esempio, non la trovo con le donne delle pulizie. Che se resto in camera oltre le 9, mi mettono un foglio sotto la porta per dire “fai sapere alla reception quando vuoi che veniamo” e oggi, che a causa del maltempo alle 11 ero già indietro, non avevano ancora pulito la stanza.

A proposito di maltempo, sta arrivando Jongdari. Si tratta di una tropical storm, quindi non ancora un tifone. Ma certo, la notizia non è tranquillizzante.

Un’immagine di Jongdari