I diari del 2001: al Mondiale l’Italia non è poi così male

Diario di un cronista itinerante, FICTION E PROGETTI EDITORIALI

Nel 2001 non ero partito per Taiwan con grosse aspettative per la nostra nazionale. Anche perché i Davenport avevano dovuto fare i conti con tutta una serie di rinunce. Ma poi mi ero reso conto del fatto che noi italiani ci sottovalutavamo. A livello di talento, su quel palcoscenico potevamo starci. Era a livello di attitudine, che facevamo fatica. Teorizzo il nostro complesso di Gulliver e tuono: “Non siamo nani, siamo solo piccoli. E possiamo crescere”. Parallelamente, mi lascio rapire dall’atmosfera che c’è allo stadio di Kaohsiung per la super sfida tra Taiwan e gli Stati Uniti.

12 novembre brividi di emozione

Mondiale baseball 2001: dalla tribuna stampa durante Taiwan-USA
Mondiale baseball 2001: dalla tribuna stampa durante Taiwan-USA

Sono ancora emozionato per l’atmosfera che c’era ieri allo stadio di Kaohsiung durante la partita tra Taiwan e Stati Uniti.
Che si respirasse l’evento, ve lo avevo detto fin da ieri. Il fatto è che poi, un po’ perché mi hanno depresso gli azzurri con una partita davvero scialba contro la Francia, un po’ perché una serie di piccoli inconvenienti (un dischetto che si è rotto cancellandomi un articolo, un fotografo che ha inavvertitamente staccato la mia connessione a internet…) mi ha fatto ritardare, mi sono barricato in sala stampa. Alle 5 (un’ora prima della partita) ne sono emerso per andare a mangiare qualcosa e mi sono reso conto. Intanto, non ho mangiato. Perché era impossibile anche solo pensare di arrivare in cima alla coda che c’era ai vari bar dello stadio. Poi sono rimasto decisamente disorientato dall’eccitazione dei tifosi cinesi. E dal conseguente rumore. Perché non si può negare che i cinesi siano considerevolmente rumorosi, in quasi tutte le loro manifestazioni. Figuratevi se ne mettete assieme 25.000 in uno stadio.
Ho raggiunto il mio posto in tribuna stampa, guardato con odio dalla gente che rimaneva in piedi perché arrivata in ritardo e che considerava umanamente che, comunque, era arrivata prima di me. Mi sono seduto per ammirare questo spettacolo. Non mi era mai capitato di vedere tanta gente in uno stadio da baseball fuori dagli Stati Uniti. La claque era in azione sopra i dug out. Sulle tribune, tutti erano dotati di trombetta, che veniva usata per il suo scopo principale o, alternativamente, come percussione. Ad un certo punto, i tifosi cinesi hanno addirittura accennato il Tomahawk Chop reso famoso dai tifosi degli Atlanta Braves.
La televisione indugiava sul Presidente di Taiwan Chen-Shui-Bian, seduto a fianco di un hollywoodiano Aldo Notari, vestito con abito blu dell’IBA e strepitoso cappellino da baseball abbinato ad occhiali scuri da riposo: era veramente identico all’attore Danny Aiello, come da tempo sostiene la stampa americana. A proposito del mio illustre concittadino, gli ho reso visita nella sua suite presidenziale allo stadio. Mi ha presentato a tutti (la sua interprete, scelta come presumevo con gusto, e un paio di first ladies dell’IBA) come: Un amico che viene dalla mia città. Poi se ne è andato a raggiungere il Presidente di Taiwan: Sai, è il protocollo.
Mi ha un po’ stupito vedere la gente esaltarsi per la presenza del Presidente, quando solo poche ore prima si era tenuta un’altra manifestazione contro la disoccupazione, con più di 2.000 persone coinvolte. Evidentemente, la definizione dello sport come moderno oppio dei popoli non stona più di tanto.
Oggi i giornali di Taiwan annunciano a sorpresa che, dopo la Cina Popolare, anche la Cina di Taipei diventa membro del WTO. Un evento storico, se si pensa che ora Pechino e Taipei saranno costrette ad avere relazioni formali e, possibilmente, cordiali.
Nei giorni scorsi, invece, la stampa locale aveva dato uno spazio che mi sembra di poter definire esagerato alla nascita di un piccolo pinguino allo zoo di Taipei. Non è che sia poi questo animale raro, il pinguino. O meglio, a queste latitudini non ce ne sono mica tanti e sono d’accordo, però non lo vedrei come un evento così entusiasmante.
Ho pensato ai casi della vita. Io, se fossi cinese, sarei analfabeta. Già, perché col talento che mi ritrovo a disegnare, non sarei mai riuscito a imparare a scrivere. E visto che un altro mestiere ho fatto fatica a concepire di farlo anche in Italia, mi spiegate cosa andavo a inventarmi per vivere in Cina? Forse potevo diventare giocatore di baseball, ma anche lì il talento era quello che era.
Comunque, tornando al loro sistema di scrittura, si tratta di qualcosa di veramente incredibile. E molto complesso. A logica, mi vien da dire che il cinese medio è molto più acculturato di noi, perché solo per imparare a convivere con quei ghirigori che loro chiamano parole bisogna studiare tanto. Ho notato poi che nei programmi televisivi le scritte in sovra impressione scorrono in verticale, anziché in orizzontale.
Se leggere la loro lingua é impossibile, capirla non è molto più facile. Mentre stavo guardando tranquillamente Italia-Francia mi si è avvicinato un bambino e mi ha rivolto la parola. Ovviamente, non ho colto nulla e gli ho sorriso, facendo segno che non capivo. Allora mi ha ripetuto la stessa cosa urlando. Gli ho mostrato il mio pass e lui se ne è andato. Però non ha mollato. Dopo 2 secondi è tornato e mi ha fatto un gran discorso, ovviamente a me incomprensibile. Gli ho anche detto “Non capisco” in tutte le lingue che conosco. All’italiano, lui ha reagito scimmiottando un non capisco…non capisco. Poi ha cercato un nuovo contatto, quindi ha notato che stavo cominciando a diventare insofferente e se ne è andato definitivamente. Una scena drammatica.
Sviluppi interessantissimi a latere del mio ruolo di consulente sentimentale. Il mio amico con problemi di cuore mi manda talmente tanti sms che, in un caso, ha sbagliato numero.
Fin qui, niente di strano. La cosa bellissima è che il contenuto del messaggio in questione era: “E’ femmina” e lo stesso è arrivato (qui è l’errore) a una donna che aspettava notizie sulla nascita del figlio di un’amica e che aveva appena saputo che…”E’ maschio”. Due gemelli ?, si è chiesta la poverina? Che il triangolo di messaggi diventi un quadrilatero? Me lo chiedo io.
La vita di noi idoli delle folle non è facile. Le mie amiche hostess mi seguono passo passo e ogni tanto la cosa diventa imbarazzante. Ieri, ad esempio, una di loro mi ha offerto delle patatine fritte. Io ne ho prese 2 per cortesia ma la ragazza si è quasi offesa.
“Sei troppo gentile” le ho detto “Mangiale tu”. Niente da fare: è andata al bar, ha preso un tovagliolo di carta, lo ha steso sul mio tavolo e ha versato metà del contenuto delle sue patatine per darmele. Un’altra gira con un gagliardetto dell’Italia appeso alla cintura in mio onore e, visto che è l’addetta al trasporto del microfono durante le conferenze stampa, quando chiedo di fare una domanda la faccio felicissima. Ieri il lanciatore azzurro Michael Marchesano si è particolarmente divertito, al riguardo.
Una considerazione sulla nazionale. L’atteggiamento di Quelli del Baseball nei confronti della squadra azzurra è l’esatta dimostrazione del perché il movimento non riesce a diventare una cosa seria. Presidenti che si permettono di dire cose del tipo: “Io a quelli lì i miei giocatori non li do”, giocatori stessi che non vanno al Mondiale per Problemi di lavoro (ragazzi, ma fatemi il piacere: se non andate in nazionale cosa giocate a fare?), soloni che sperano che la nazionale perda perché nessuno li ha invitati a Taiwan.
A questo proposito, annuncio con orgoglio che io sono l’unico giornalista della storia del baseball italiano ad aver viaggiato al seguito della nazionale a spese della testata che rappresento. Chi ha elementi per dire che non è vero, mi scriva.
Oggi è il giorno di riposo per le squadre. Non per me, ovvio. Anche se dovrebbe comunque rimanere il tempo per dare un’occhiata più da turista a Kaohsiung. Ieri sera, intanto, ho rotto gli indugi e sono entrato in un ristorante esterno all’albergo. Al di là del fatto che bisogna esprimersi a gesti, non è andata neanche male. E il prezzo della cena è stato un affarone: 160 dollari di Taiwan, ovvero poco più di 10.000 lire.

13 novembre Non un’altra volta

NOT AGAIN, titolava oggi a caratteri cubitali il quotidiano di lingua Inglese dell’isola: ‘Non un’altra volta’. Il riferimento era evidentemente all’incidente aereo accaduto a New York quando qui erano le 10 di sera. Ho seguito su CNN la cronaca diretta e devo ammettere che mi è andata un po’ di traverso la cena. Nonché parecchio passata la voglia di scherzare. Poi ho pensato che io sono qui per raccontarvi il Mondiale di baseball e le mie impressioni sul questo angolo del mondo. E continuerò a farlo.
Ieri era il giorno libero per le squadre. Così anche il vostro cronista se la è presa comoda e ha messo il piede giù dal letto alle 10. Problema: alle 10 smettono di servire la colazione! Con sprezzo del pericolo, mi sono rovesciato in faccia qualche litro d’acqua e in 30 secondi ero vestito (un po’ approssimativamente, questo sì) e pronto per onorare il mio complimetary coupon. Il personale del Tivoli Café, che è il luogo dell’albergo dove viene servita la colazione, non faceva nulla per nascondere che davo noia ma, come potete supporre, ci voleva ben altro per fermarmi.
Nel pomeriggio mi sono avventurato a piedi per le vie di Kaohsiung. Vi avevo detto di aver avuto l’impressione di una città anonima, ma devo parzialmente correggermi. Il centro di Kaohsiung ferve di attività. Certo, se togliessimo i cartelli in Cinese potremmo essere in qualsiasi città del mondo (magari non a Stoccolma o a Rejkiavik, ma ci siamo capiti…), però le attività che vengono praticate incessantemente sono davvero molteplici. Mi sono divertito, tanto che ho scattato qualche quintale di fotografie. Inutile aggiungere che ero l’unico occidentale che si avventurava in mercatini, bar e quant’altro. Succede, in Estremo Oriente. Non so se ricordate il film Un anno vissuto pericolosamente, nel quale Mel Gibson interpreta un reporter inviato a Jakarta e che nota come i suoi colleghi non raccontino affatto l’Indonesia, bensì quello che capiscono dell’Indonesia, cioè molto poco. Bene, a distanza di anni ho capito benissimo a cosa voleva fare riferimento il regista Peter Weir: al fatto che noi occidentali preferiamo non addentrarci in una cultura che non ci appartiene.
Non è che io abbia fatto niente di speciale, anche perché l‘incomunicabilità coi nativi è qualcosa che non posso far finta che non ci sia. Però ho provato a fare le cose che fanno loro. Ad esempio, cenare in un locale frequentato da cinesi. La cosa è meno facile del previsto, perché in alcuni locali proprio non vi vogliono, se non avete prenotato. Ho però individuato un ristorante specializzato in pesce con tanto di tavolini all’aperto. Funziona così: voi scegliete il pesce che volete, loro lo pescano da un acquario e ve lo cucinano. Se preferite la roba alla griglia, vi sistemano il barbecue in uno spazio appositamente predisposto del tavolo, vi portano il pesce crudo e una pinza e fate voi. Lì per lì, lo ammetto, sono rimasto un attimo perplesso. Anche perché per i nostri standard i cinesi sono piuttosto rozzi. Anche a me, che all’etichetta bado fino ad un certo punto, sembra strano sputare i rimasugli nel piatto o sollevare il pesce dalla griglia del vicino con le mani per vedere se è cotto bene. Così ha fatto un tizio con una delle 3 code d’aragosta che mi ero concesso (non vi dico a che prezzo, lascio tremare l’amministratore di Baseball.it per qualche minuto?). In realtà, mi ha fatto un piacere, perché un certo timore di mangiarle crude mi era venuto. Lui ad ampi gesti mi ha detto che era pronta. In effetti, la polpa è uscita dal guscio agevolmente dandogli ragione. Quando ho addentato l’aragosta, il tipo e i suoi amici hanno sollevato I bicchieri per brindare assieme. La nostra amicizia non è andata al di là, soprattutto perché io ho imparato a dire una sola cosa in Cinese scie-scie (scritto come lo dico, visto che mi capiscono), ovvero grazie.
Ho notato una cosa, dei cinesi a tavola. Quando mangiano per sostentamento (ad esempio nella pausa pranzo) sono rapidissimi e silenziosi. A cena per diletto stanno invece a tavola le ore. Ordinano una cosa, poi ci chiacchierano su, spizzicano qua e lù e poi ancora ordinano qualcosa d’altro. Tutto rigorosamente da dividere tra i vari commensali.
Ah, il prezzo: 510 dollari di Taiwan, ovvero nemmeno 40.000 lire. Poco, eh? La cosa inquietante è che, rientrando in albergo. mi sono imbattuto in una pizzeria e il prezzo di una margherita e di una coca era di 499 dollari. Pagare cara una pizza non sarebbe stata una novità (a Parma capita spesso…), ma come un’aragosta? Suvvia, l’aragosta bisogna pur pescarla!
Sviluppo interessante del mio ruolo di consulente sentimentale. Sono entrato in contatto con il mio collega consulente via e-mail. Utile, così possiamo esprimere pareri congrui. Il mio amico, in compenso, ha preso a stampare questo Diario perché lo vuole leggere tutto all’oggetto del suo desiderio. Guardate, pur essendo io parecchio vanitoso e orgoglioso del mio lavoro, la trovo una pessima idea. E se la signorina in questione finisse con l’invaghirsi di me?
Come avete notato, l’essere un idolo fa crescere la mia auto stima. Cosa di cui, ad essere onesti, avevo poco bisogno. Devo comunque notare che c’è un altro europeo che riscuote successo qui. Non ai miei livelli, certo, ma abbastanza da fargli dire “Sono imbarazzato”. Si tratta del quarto in battuta della Francia Meunier, che è alto come me, è anche più magro e parecchio più giovane, ma questi sono dettagli non troppo importanti.
Questa mattina un taxista mi ha portato al campo da golf anziché a quello da baseball. Meno male che glielo avevo fatto dire dall’usciere dell’albergo. L’omettino, che a giudicare dall’età doveva essere con il gruppo originale di Chang-Kai-Check, non si è scomposto. Mi ha portato alla reception del golf, mi ha fatto dire dove volevo andare e se lo è fatto tradurre da una gentile signorina bilingue. Il tutto con il tassametro che andava. Alla fine il risultato è stato questo: sono arrivato in ritardo e ho speso più del solito.
Dai finestroni della sala stampa sto osservando Francia e Sud Africa giocare. Le mie amiche invece sono tutte eccitate per la partita che Taiwan sta giocando a Chia-Yi contro la Repubblica Dominicana e, per una volta, non le ho tutte attorno.

Del Diario del giorno dopo riporto solo un’estratto. E’ il mio primo intervento pubblico sulla questione degli Oriundi e penso che meriti spazio qui. Il diario era iniziato con un certo livore nei confronti di un paio di azzurri (rimasti rigorosamente anonimi) che mi avevano affrontato per contestare il mio uso dell’espressione “non si può” per descrivere alcuni errori fatti in campo

14 novembre Parliamo di Oriundi

Non ve l’ho mai detto, ma quando eseguono l’Inno di Mameli (che per errore viene proposto 2 volte in fila, ma questo non c’entra) e sul tabellone dello stadio sfilano i volti degli azzurri con una dissolvenza sul tricolore, beh, un po’ mi commuovo. Mi hanno particolarmente colpito Castrì e Imperiali che cantavano le parole. Mi ha colpito anche Madonna, che ha seguito l’Inno Americano a capo chino (forse in memoria delle vittime dell’incidente aereo di New York) e quello Italiano con il cappellino sul cuore. Dev’essere strana la posizione di questi ragazzi che, nati in America, rappresentano l’Italia contro gli Stati Uniti. Per alcuni di loro l’Italia è la Patria (magari d’adozione) per altri un lontano luogo di origine della famiglia. Per altri ancora, inutile negarlo, un posto dove c’è un campionato di baseball e dove vengono pagati per giocare. L’argomento è delicato e secondo me non va sottovalutato. Nel senso che i selezionatori azzurri dovrebbero far capire a questi ragazzi che rappresentare l’Italia non è come fare parte di una All Star e che se questo non lo si capisce è meglio rinunciare.
La mia opinione ovviamente non giustifica l’eterna polemica Allora era meglio chiamare un Italiano non appena un cosiddetto Oriundo va strike out o concede una base per ball. I giocatori sono tutti uguali. L’unico ragionamento che accetto è quello della prospettiva futura. Non ha senso convocare in nazionale giocatori di passaggio. Chi ha la responsabilità della nazionale deve impostare un programma a media scadenza e dare la maglia azzurra solo a chi è intenzionato a rispettarlo. Ad esempio, io prima di portare Simontacchi a Sydney gli avrei chiesto una disponibilità di massima per i Mondiali dell’anno dopo. Ma è solo un esempio, perchè ci sta che Simontacchi (che è un professionista) preferisca giocare nella Lega Venezuelana, almeno allo stesso modo in cui ci sta che il giocatore Pinco Pallino, nato e cresciuto in Italia, rinunci al Mondiale perché ha finito i giorni di ferie.
A proposito di allora è meglio un Italiano, vorrei ricordare la fronda fatta a Jason Grilli nel 1996 prima di Atlanta, quando il ragazzo aveva poco più di 20 anni. Grilli ha iniziato una carriera da professionista che l’ha portato in Major League. Un braccio come il suo avrebbe potuto far comodo, a Sydney e quest’anno a Taiwan. E, a proposito della sua carriera (infortuni a parte) cosa mi dicono oggi quei senatori che allora lo fecero fuori?
Naturalmente, mentre scrivevo non potevo immaginarmi che Jason Grilli avrebbe effettivamente esordito in nazionale al World Baseball Classic 2006, sarebbe stato protagonista della vittoria sul Canada al Classic 2009 e avrebbe lanciato nell’All Star Game 2013, concedendomi un’intervista a fine partita

Riporto ora una parte del Diario successivo, dedicata alla descrizione della città di Chia-Yi, la più nettamente cinese tra quelle che mi è capitato di visitare

15 novembre- ritorno a Taipei

Il centro di Chia-Yi, sud di Taiwan
Il centro di Chia-Yi, sud di Taiwan

Lascio il sud dell’isola di Formosa con molti bei ricordi. L’ultimo è la città di Chia-Yi, che è fin qui il luogo decisamente più particolare che ho visto qui a Taiwan.
L’albergo China Trust prenotatomi dai miei amici dell’Ufficio Stampa di Kaohsiung (che non leggeranno mai queste note, ma voglio ringraziare lo stesso) è meno lussuoso del Linden di Kaohsiung o del Fortuna di Taipei, ma ha il vantaggio di essere proprio in mezzo al centro animatissimo della città. Sto imparando che una caratteristica delle città cinesi è il Night Market. Frequentarne uno vale certamente la pena. Un po’ perché sarete gli unici occidentali a farlo e soprattutto perché vedrete un modo di approcciarsi alla compra vendita veramente unico. L’unica cosa moderatamente orrenda del mercato notturno é il cibo che viene venduto sulle bancarelle. Ho individuato seppie essiccate, tentacoli di polipo, piedi di pollo e teste di airone. Non sto affatto facendo del terrorismo alimentare: vendono davvero questa roba, che i cinesi sgranocchiano di gusto. Io, ovviamente, non ho nessuna intenzione di farlo, perché non mi risulta di essere colpevole di omicidio o reati di pari gravità e non vedo perché dovrei condannarmi a morte nel fiore degli anni! Mangiare fuori dall’albergo, o dai ristoranti internazionali, resta un bel problema. Avevo pensato di orientarmi sulle loro zuppette. Ma, a parte il fatto che le mangiano coi bastoncini (e se ci pensate, capirete che bisogna essere dei bei fenomeni per riuscirci), emanano degli odori veramente inqualificabili. Una inalazione di quegli odori alla mattina e una a metà giornata, secondo me, farebbero passare l’appetito a chiunque. Altro che Lipopil o amfetamine! Vediamo se la Weight Watchers mi compra il brevetto…. Tornando alle mie personali scelte, vi basterà che vi dica cosa ho trovato famigliare, per comprendere il mio disagio: il Doener Kebab mediorientale. Mica tortelli di erbette o prosciutto e formaggio, carne di montone (e speriamo fosse montone) che gira su uno spiedo.
Per fare qualcosa di occidentale, sono entrato in un pub che esponeva orgoglioso la bandiera americana. Una cameriera mi ha accompagnato al tavolo e mi ha mostrato un simpatico menu tutto in cinese. Panico! Per fortuna 3 dirigenti d’azienda di mezza età stavano bevendo birra ad un tavolo a fianco, così non ho fatto altro che indicare. Qui i locali si dividono in talking e music pub. Nei primi ci si siede per fare 2 chiacchiere. O, secondo una moda importata da Hong Kong, per attaccare bottone con le ragazze sole (che spesso sono, come dire, venalmente disponibili). Nei secondi si va per ascoltare la musica e ballare. O, secondo una moda comune a tutto il mondo, per attaccare bottone con le ragazze sole. Vi confesserò che il ricordo più vivido che porterò a casa da Taiwan è proprio l’avvenenza delle cinesi, che non mi aspettavo assolutamente. Qualcuno, a margine di questi ripetuti apprezzamenti, mi ha fatto notare che mia moglie legge il Diario. Ma anche lei lo sa, che can che abbaia non morde
Ieri a Chia-Yi dopo Italia-Nicaragua mi hanno smontato la sala stampa a tradimento. Sul serio: dopo le interviste sono rientrato per scrivere e i computer erano stati tutti imballati.
“We are sorry”, mi hanno detto i vari volontari che gestivano l’ufficio e si stavano disputando una serie di gadget (devo dire, assolutamente ambiti) della nazionale azzurra. Così sono dovuto tornare in albergo e far riaprire il business center con una faccia tosta assolutamente unica. Inferiore, comunque, a quella del catcher del Nicaragua Vallejos (uno che alla domanda quanti figli hai risponde con uno strepitoso vari) che è riuscito a convincere le addette alla reception che, se addebitavano l’uso del computer a me, lui poteva anche mandare un correo electronico (espressione onestamente più bella rispetto a e-mail) senza pagare. Ha creato tanta confusione, che alla fine non hanno fatto pagare neanche me.
Ho scoperto, leggendo i giornali di oggi, che le prime 5 cariche Istituzionali di Taiwan non possono ottenere il visto d’entrata nei Paesi dell’Unione Europea. Bella storia. Anche perché è saltata fuori in occasione di un premio conferito al Presidente di Taiwan e che la moglie è andata a ritirare a Strasburgo in sua vece.
Un’ultima notizia di cronaca: hanno beccato a Kaohsiung un trafficante di droga del triangolo d’oro. Aveva un bel 60 chili di eroina. Se non ricordo male i cartelli all’aeroporto, lo aspetta la forca. Forse non è un posto tranquillo come sembra, questa isola tropicale.