Gli anni ai Red Sox di Terry Francona

BASEBALL, SPORT

Ho visto Terry Francona per la prima volta nel 1978.  Io avevo 15 anni, lui 19. Mi ricordo benissimo: era appollaiato sul muretto a fianco del bull pen dello stadio La copertina del libro sugli anni di Terry Francona a Boston“Europeo” di Parma, vicino al bar e allo spogliatoio. Ed era divertito perchè io e i miei amici gli avevamo chiesto un autografo, ma non avevamo in effetti un foglio sul quale farcelo fare. Dopo un consulto febbrile, avevamo optato per un foglio da score compilato. Però il difficile era stato dirgli in Inglese: “Gira la pagina” (ricordo un mio avvilente tentativo, non ricordandomi il verbo “turn”, di dire qualcosa tipo where the paper is white).
Crescendo, avevo guardato con simpatia al fatto che lui e altri componenti della nazionale degli Stati Uniti al Mondiale (ad esempio: Tim Wallach e Tim Leary; quest’ultimo, che perse la partita decisiva contro Cuba e Braudillo Vinent, nel 1981 lanciava già in Major per i Mets) avessero intrapreso la strada del professionismo. Francona e Wallach (oggi coach dei Dodgers) furono selezionati entrambi dai Montreal Expos. Ma mentre Wallach è diventato un’All Star e Guanto d’Oro, Francona non ha fatto una gran carriera da giocatore ed è finito all’onore delle cronache per una serie di infortuni. Il più grave lo ha subito nel 1982, quando si è letteralmente distrutto il ginocchio destro finendo contro la recinzione dello stadio di St.Louis. Nel 1984 si è rotto i legamenti dell’altro ginocchio.

Nel 1994 ero in vacanza in Florida e andai alla partita (Doppio A) ad Orlando. Francona era il manager dei Birmingham Barons, squadra che non avrebbe avuto particolare notorietà, se non fosse stato che il suo ottavo in battuta ed esterno destro era Michael Jordan. Io ero regolarmente in fila con tutti quelli che volevano fotografare Jordan che, da parte sua, non brillava per simpatia. Francona ci guardò e disse: “Certo che fotografare uno che batte come Michael…”, poi prese un fungo, sputò e se ne andò ridacchiando.

A Taiwan nel 2001 si giocava il Mondiale IBAF, il primo con i professionisti (e, secondo me, il torneo di maggior livello tecnico mai disputato, prima della nascita del Classic). Francona, che era stato un poco convincente manager dei Phillies e un assistente del General Manager dei Cleveland Indians nelle 2 stagioni precedenti, era il manager degli Stati Uniti. Unico inviato al seguito dell’Italia, ero anche l’unico giornalista con il quale potesse parlare in sala stampa (gli altri erano tutti cinesi o giapponesi o coreani). Al termine di Stati Uniti-Italia (una mezza debacle per noi), fece i complimenti ad Angelo Palazzetti, salvo poi rimanere senza parole quando alla sua domanda se parlava Inglese, Palazzetti rispose: “Sono cresciuto a Detroit”.
Dopo una mia domanda a Orlando Hudson, che parla con un accento dell’Alabama tipo Tom Hanks in Forrest Gump, mi squadrò e disse: “Ma tu capisci cosa dice? Io no…”.
Quando gli chiesi se potevo fargli qualche domanda da solo, accennò: “Sei anche tu di Detroit?”. Poi, mi diede una delle risposte più interessanti che io abbia mai avuto da un manager: “La cosa più difficile, quando sei il manager di una squadra come questa, è far capire ai giocatori che se giocano una brutta settimana non hanno quella dopo per rifarsi”.
Ci ripensai quando gli Stati Uniti persero con il Nicaragua.

Quando Francona vinse le World Series con i Boston Red Sox nel 2004, in qualche modo mi sentivo come se un mio amico avesse guidato la squadra verso laDan Shaughnessy dissoluzione della famose course (maledizione) del Bambino (Babe Ruth). E ci rimasi parecchio male, leggendo il per altro godibile “Faithful”, nel quale Stephen King lo chiama Frank Coma. Il fatto è che Terry Francona è il classico manager da icona del manager: non si mette la casacca della divisa, ha una guancia rigonfia di tabacco, sputa ovunque (e se non sputa, è perchè ha l’orrido bicchierino a fianco) e usa un sacco di volte fuck quando parla. E poi, lascia sempre il palcoscenico ai giocatori. Anzi, è disposto a prendersi la colpa in pubblico, se un giocatore fa una scemenza, spesso dichiarando di averla ordinata lui.
Questo e altro della personalità di Terry Francona emerge dal libro “The Red Sox Years”, che il giornalista del Boston Globe Dan Shaughnessy ha scritto sulla base di lunghe chiacchierate con Francona.
La cosa che più mi ha colpito di questo libro è la descrizione del danno che ha fatto ai Red Sox il diventare “troppo grandi”, come dice il General Manager (oggi ai Cubs) Theo Epstein. Ovvero la necessità di inseguire i free agent più pagati e di fare concorrenza agli Yankees per gli ascolti TV o la popolarità del marchio.
“Noi siamo una squadra di baseball” ripeteva nelle stagioni successive alle seconde World Series vinte (2007) il buon Terry (detto Tito, che era il soprannome del padre, a sua volta giocatore di Grande Lega).
Ma Francona, senza poterci fare nulla, si trovava in campo i tifosi durante il batting practice o doveva giocare double header perchè i Red Sox esaurivano sempre lo stadio e non si poteva rischiare di non disputare una delle 81 partite in calendario a Boston e nemmeno si poteva pensare di rinviarla a fine stagione.
Il momento più rilevante è quando il manager lamenta che 3 dei suoi partenti stanno lanciando male e i proprietari dei Red Sox ingaggiano (a 100.000 dollari…) una società di consulenza per scoprire cosa non va nell’immagine dei Red Sox e cosa fare per aumentare l’audience televisiva.
Come è noto, la storia di Francona con i Red Sox non è finita bene, al punto che l’ex manager aveva quasi deciso di non presentarsi alle celebrazioni per i 100 anni di Fenway Park. Ma non entrerò in questi dettagli, per non rovinare il piacere di una lettura che mi sembra fondamentale per un appassionato di baseball (che conosca decentemente l’Inglese, perchè il libro non è stato tradotto in Italiano).

Il libro è per me (come membro della delegazione italiana agli ultimi 2 World Baseball Classic) fonte d’orgoglio quando Francona, nei ringraziamenti finali, dice che Tom Trebelhorn gli ha insegnato quanto sia importante “comunicare, esprimere entusiasmo ed essere organizzati” per un manager.

Il libro mi ha anche dato una solenne arrabbiatura: quando dice che “Nel 2001 Francona guidava una selezione americana in un Tour di Taiwan“.
Era la nazionale e giocava un Mondiale. Ma si sa che per gli statunitensi, tutto quello che nel baseball non è organizzato da loro fa fatica ad esistere.

2 thoughts on “Gli anni ai Red Sox di Terry Francona

  1. …e perchè,di grazia? ti voglion far le scarpe…
    Semplicemente: è gente che non merita la mia attenzione

  2. Sono curioso di sapere la tua opinione sul nuovo “OUTING” di Claudio Carnevale…Secessione? Golpe? Fraccaricidio? non li reggo più…
    Non ho intenzione di commentare

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