Giornalismo e post verità

La formazione continua dei giornalisti, MULTI MEDIA

Sui social media, le notizie false e la post verità penso di essere ben preparato. Ho infatti scritto molto di recente (precisamente il 10 aprile) un articolo per questo sito (inserito nel ciclo sulla gestione degli uffici stampa).
Quando l’ho scritto, già sapevo che martedì 18 avrei frequentato, nell’ambito della formazione continua dei giornalisti, un corso sulla post verità a Bologna.

Chiaramente il mio articolo si riferisce all’uso dei social e ai rischi della post verità dal punto di vista di un Ufficio Stampa. Il corso è invece stato impostato più su come possono difendersi i giornalisti quando si apprestano a usare il cosiddetto user generated content. Insomma: se non sono sul posto a coprire un evento ma cercano di assumere informazioni attraverso i post pubblicati sui social media.
Alla fine di 4 ore di relazioni, il risultato è sempre uno: un giornalista deve verificare tutto. Lo avevo scritto nel mio pezzo del 10 aprile: riassume il concetto con queste poche (ma efficaci) parole Santiago Lyon, Vice Presidente di Associated Press.

Ho molto apprezzato il fatto che il corso abbia provato ad affrontare la tematica dal punto di vista pratico. Uno degli interventi è stato infatti affidato a Elisabetta Tola, che è media training specialist per il Google News Lab, oltre che giornalista free lance e fondatrice dell’agenzia di comunicazione scientifica Formicablu. Oltre a introdurci a First Draft News (un sito specializzato del quale ho già parlato) e a varie tecniche per la verifica dei contenuti prodotti direttamente dagli utenti, la Tola ha detto una cosa estremamente importante: la verifica è sostanzialmente un problema di attitudine. Non è infatti così decisivo imparare a utilizzare nuovi strumenti (da Google Earth Pro, che è gratis, alla ricerca per immagini sui motori), ma è fondamentale evitare di prendere per buono quel che si trova in rete senza provare a verificarlo. Magari giustificandosi con il fatto che si voleva arrivare per primi.
La Tola opera nel settore scientifico, dove il problema è particolarmente grave. Recentemente, il Financial Times ha addirittura dimostrato che diversi siti pseudo scientifici hanno offerto incarichi a un profilo appositamente creato per attirare la loro attenzione e che era assolutamente falso.

Elisabetta Tola

Mi ha interessato, se si eccettua la ripetizione ossessiva dell’intercalare “voglio dire”, anche l’intervento del Professor Roberto Grandi, che all’Università di Bologna si occupa di sociologia dei processi culturali e comunicativi. Grandi ha giustamente sottolineato che l’uso del verosimile al posto del vero è pratica comune da sempre. O almeno da quando esiste la televisione e si utilizzano le immagini di repertorio, non sempre specificando cosa sono. Ha anche richiamato i giornalisti a uno dei loro doveri: proteggere l’interesse del pubblico. Penso vada considerato con interesse il suo monito: se i giornalisti non fanno bene il loro mestiere, va a finire che l’informazione la fanno gli uffici pubbliche relazioni. O, nel caso dei social media, direttamente gli utenti.

Il concetto di verosimile usato strumentalmente per dare forza a una storia lo aveva introdotto Claudio Santini nell’intervento di apertura, citando il celebre caso dell’intervista di Indro Montanelli al politico democristiano Cesare Merzagora. Montanelli scrisse nel 1953 sul Corriere della Sera che Merzagora aveva preso appunti sulle sue osservazioni e che poi, rientrando per caso nell’ufficio, aveva trovato gli appunti nel cestino. Alla smentita di Merzagora, Montanelli oppose: “non è vero, ma è certamente verosimile”.
Santini ha anche a sua volta lanciato il monito che, riprendendo in modo maniacale i post di personaggi pubblici senza verificarli, i media tradizionali stanno fortificando il concetto che diventa vero ciò che è più condiviso.
Santini si è occupato anche della parte deontologica con uno dei suoi sempre interessanti percorsi storici che lo hanno portato a fare cenno alla figura del filosofo Jeremy Bentham (17481832), che diede la prima definizione di deontologia: “un obbligo pratico”.
Il percorso lo ritrovate nella prima lezione del corso on line sulla deontologia della piattaforma fpc.formazionegiornalisti.it.