Avevo lasciato per ultimo il pezzo sul concerto di Paul Weller. Ma poi ho messo in coda la serie di articoli sul viaggio in Inghilterra. Così, adesso che lo riprendo, devo premettere che fa parte di una famiglia di articoli che ha qualche settimana.
Syd Arthur non so chi sono. Ma il loro sito ufficiale mi erudisce: “Sono 4 ragazzi di Canterbury devoti al suono e immersi nel semplice piacere dello scrivere canzoni”. Non mi suona tanto bene in Italiano, ma fa lo stesso. Nella realtà, Syd Arthur rappresentano quello che mi separa dal concerto del Maestro Paul Weller. E’ la terza volta che lo vedo in Inghilterra e, devo dire, non è che i suoi concerti siano molto diversi da quelli che ho visto in Italia. Certo, c’è la sera che è più in forma, la sera che si diverte di più. Ricordo al Fillmore di Cortemaggiore una sera in cui era in gran forma. Non fisica (capelli grigi, pancia da bevitore), che sta nettamente meglio adesso. Ma era in gran forma con la chitarra. Che poi è la cosa che conta di più, perché a me che Paul Weller sia stiloso (italianizzazione di stylish a cura di Radio DeeJay) non è che me ne freghi poi tantissimo. Ma che suoni e canti bene, magari di più.
Il Dome di Doncaster è un multifunzione (il loro slogan: 50 attività sotto un solo tetto). Secondo me, avevo prenotato un albergo dal quale al Dome si può andare a piedi. Ma in verità, ci saranno 3 chilometri. Sempre in verità, ho la Peugeot a noleggio.
Mentre sono in coda per entrare, c’è Steve Craddock che si aggira per il Dome. Una signora di una certa età, vestita però da sedicenne, lo accalappia e si fa fotografare. Craddock è un gran chitarrista, molto simile a Paul Weller stesso come formazione (Beatles e tutto il resto). Lo dico anche se, quando in un concerto di Paul non suona la chitarra Paul, io sono un po’ geloso. Craddock suonava con gli Ocean Colour Scene e adesso fa dischi da solo. Ma partecipa anche a tutti quelli di Paul.
All’ingresso, sono tutti un po’ agitati. Ma siamo tra i primi 20 o 30 che entrano, quindi se non arriviamo in prima fila, arriviamo in seconda. Mi perquisiscono; forse non gli piaccio, probabilmente non hanno preso bene che non ho risposto quando mi hanno chiamato per dirmi “Vieni qui”. Ma ero distratto, rapito. Loro non lo sanno, che per me il concerto di Paul Weller è un momento di cui voglio ricordare tutto: il durante, il prima e il dopo.
Mi tengono lì un po’, ma non ho mica niente che non va. La siora vestita da sedicenne invece la fermano. Mi piacerebbe sapere perché, ma ho 2 priorità: mettermi in seconda fila (che è strategico: quando ti metti in prima fila, se il concerto diventa troppo partecipato, rischi di farti male contro le transenne) e andare a bere una birra. Purtroppo, il Dome non prevede un guardaroba, quindi la giacca blu (omologata da trasferta) me la devo tirare dietro tutta sera.
Syd Arthur per fortuna fanno presto. Musica un po’ psichedelica, tipo anni ’70. Non mi piace tanto. Ma non mi piacerebbe forse nemmeno Paul Weller, se fosse quello che apre un concerto di Paul Weller…..
In Inghilterra per fortuna rispettano il programma. Se dicono che il concerto inizia alle 20.30,
Paul Weller si presenta alle 20.30. Con la gente in delirio e gli artisti sul palco, è normale che ci siano i soliti che provengono dal bar con 2 birre ciascuno e fingano di doversi riunire a degli amici. E poi ti si piazzano davanti.
Osservo una coppia: lui è alto e pelato, lei è piccola e molesta. Davanti a loro si mette un’altra coppia, 2 piccoletti. Hanno 2 birre per uno e tutte le intenzioni di berle. Il pelato li guarda male, perché si sono fermati nella sua zona. Intanto Paul attacca Wake Up the nation. Che dice: “Get your face off the Facebook and turn off your phone”; già fatto, Paul. I piccoletti si mettono a saltare e rovesciano un po’ di birra addosso a me e al pelato (l’altro) e alla donna del pelato e al mio amico Enrico (che gli dice un Ma che cazzo fai, che ottiene l’ovvio What? come reazione). Il pelato dice qualcosa, il piccoletto lo guarda torvo. Il pelato dice di guardare Paul Weller e non lui e il piccoletto risponde: “Se no, cosa mi fai”. E parte il pugno del pelato, diretto, proprio sul labbro, e gli fa fare 2 metri all’indietro. Io vado dal pelato, lo fermo e gli dico che non ne vale la pena. Paul Weller a sua volta è distratto e guarda cosa sta succedendo. Ma non capisce, se no arriverebbe la sicurezza, che qui non scherza tanto.
Il pelato mi guarda male, io insisto di fermarsi, che non vale la pena. Mi dà retta, poi si mette in tasca un telefono Nokia Lumia. No, pelato. Quello è il mio, che mi è caduto. Ride e me lo ridà.
“Questa sera ho un po’ di raffreddore” dice Paul “Ma se non ci arrivo, aiuterete voi la mia voce”
E’ carico, Paul. Biondo platino, asciutto. Soprattutto, è tornato a fare il chitarrista solista, in alcune canzoni. Non in quella che fa esplodere definitivamente, il Dome. Daylight turns to moonlight/and I am at my best . Canto con Paul. Questa canzone ha quasi 30 anni, ma io me la ricordo ancora. Mi ricordo quando ho comprato l’EP (era un LP come dimensione, ma conteneva meno canzoni). The cool before the warm, the calm after the storm. Cavolo, com’ero giovane. E come mi aveva commosso questo testo. Children never had the time/to commit the sins they pay/through other’s evel eyes. Non traduco. Canto. E’ “My ever changing moods” degli Style Council, ma la prima versione, quella più ritmata, quella del singolo che poi non è stata incisa sull’album, che Paul aveva la mania delle orchestrazioni, all’inizio dell’avventura Style Council. Ma la mia My ever changing moods è questa. E non solo la mia, perché sembra che il tetto del Dome sia sul punto di aprirsi, quando la canzone finisce.
Ecco, a vedere Paul in Inghilterra c’è questo di bello, l’atmosfera. Il concerto è come quelli che vedo in Italia, ma come partecipa il pubblico qui, no. Guardate che bello il VIDEO SU YOUTUBE.
Paul Weller ha il grosso vantaggio di un repertorio immenso, che gli permette di saltare nel
corso degli anni della sua produzione. Da “The attic” (che è uno dei pezzi del suo ultimo disco, Sonic Kicks, uscito nella primavera del 2012) a “Above the clouds” (che è nel suo primo disco da solista, datato 1992) ci sono pochi minuti nella scaletta, ma non poche ere musicali. Weller presenta “Above the clouds” come a fucking old song. Ma in verità, “My ever changing moods” ha 10 anni di più.
Il ritornello di questa canzone è memorabile. As my anger shouts/at my own self doubt/So a sadness creeps/into my dreams/When you’re scared of living/and afraid to die/I get scared of giving/And I must find the faith to beat it e al Doncaster Dome si crea un’atmosfera magica. E quando Paul Weller si allontana dal microfono dopo aver concluso il ritornello, parte l’applauso a scena aperta, che a me commuove sempre.
“Start” (dal disco dei Jam Sound Affects del 1980) è la canzone numero 17. Paul Weller dice: “Quando non ho idee, mi rivolgo al libro delle canzoni dei Beatles”. Il giro di basso di “Start” è lo stesso di “Taxman” (di George Harrison) dei Beatles. Il testo vede Paul al suo meglio e parla del rapporto tra l’artista e chi lo segue: if we get through for 2 minutes only/it would be a start/for knowing that someone in this world/loves with a passion called hate/and what you give is what you get.
A proposito di debiti creativi di Paul Weller, “The changing man” (tratto da Stanley Road, il disco che lo stesso artista considera il suo capolavoro) ha la stessa introduzione di “10538 Ouverture” degli Electric Light Orchestra. Ma a quel disco ha collaborato Jeff Lynne (l’unico componente fisso degli ELO), al quale Paul Weller avrebbe a suo tempo detto: “Se mi fanno causa, paghi tu”.
Il concerto si chiude con “A town called Malice” dei Jam, un pezzo del 1982 che manda l’atmosfera a un livello di eccitazione che mi fa dire: “Se faccesse un concerto con tutte canzone dei Jam, sarebbe pericoloso”.
Paul Weller non amava il testo quando la canzone venne pubblicata la prima volta (nell’ultimo album dei Jam The gift), ma ci sono poeti inglesi che esaltano la grande capacità di Paul, che non è un letterato, di cogliere situazioni e raccontarcele con frasi che creano immagini. Tipo: To either cut on beer/or the kids new gear/it’s a big decision in a town called Malice. E’ un verso splendido, che descrive in maniera magistrale la vita di una famiglia piccolo borghese.
“A town called Malice” nasce come brano che ricorda la tradizione Motown (in particolare, “You can’t hurry love” di Martha and the Vandellas, rifatta da Phil Collins), ma in verità oggi Paul Weller la suona nella sua versione di base, con le chitarre che prendono il sopravvento sulla ritmica.
Una gran serata. Non fosse che al Mc Donald’s (aperto 24 ore) che c’è di fronte al parcheggio, lascio la maglietta del concerto, che mi era costata 20 sterline…