I fatti sono questi: il quotidiano Repubblica scrive che Davide Casaleggio (figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle Gianroberto, morto poco più di un anno fa) ha incontrato Matteo Salvini (Segretario della Lega). Il Movimento 5 Stelle smentisce. Repubblica non si sposta dalla sua posizione. Nella foto di copertina vedete (da sinistra) Casaleggio e Calabresi.
Il Parlamentare dei 5 Stelle Luigi Di Maio va su tutte le furie e scrive sui social che Repubblica “deve rivelare le sue fonti”.
Di Maio, come suo solito, fa un po’ di confusione. Forse si è un po’ troppo eccitato a vedere il film Nothing but the truth (di Rod Lurie, 2008, con Kate Beckinsale e Vera Farmiga; in Italiano è stato tradotto come Una sola verità), ispirato alla storia di Judith Miller, giornalista del New York Times che nel 2005 finì in carcere per essersi rifiutata di rivelare la fonte di una notizia che l’aveva portata a far saltare la copertura di un agente operativo della CIA.
Forse Di Maio, prima di dilagare sui social network, farebbe bene a dare un’occhiata alla legge italiana, a cominciare dalla Costituzione, che in quanto Parlamentare si presume conosca. Lo spesso citato articolo 21 recita che “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Quindi, Di Maio non è nella posizione di dire a Repubblica cosa deve fare.
Il codice deontologico dei giornalisti prevede inoltre che, nel caso in cui le fonti chiedano di rimanere riservate, il giornalista debba rispettare il segreto professionale. Violarlo significa commettere un reato (codice penale, articolo 522).
Il codice di procedura penale dice anche che i giornalisti professionisti “non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della loro professione”. L’unico caso in cui un giornalista può essere obbligato (da un Giudice, non da Di Maio) a rivelare le sue fonti è se “le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede”.
Tramite Facebook, Di Maio ha annunciato di aver dato mandato a un avvocato per querelare il Direttore di Repubblica Calabresi. E aggiunge: “Calabresi avrà modo di esibire le prove su questo fantomatico incontro, in Tribunale…”.
Si tratterebbe di capire per cosa Di Maio ha querelato Calabresi. Perchè pubblicare una notizia errata, non è un reato. Comporta solo l’obbligo di una rettifica o smentita, per il giornalista. E nonostante la mia poca stima per Matteo Salvini, escludo che accostare Casaleggio alla sua persona “offenda la reputazione” di Casaleggio (come prevederebbe, secondo l’articolo 595 del codice penale, il reato di Diffamazione).
Secondo me, non ci sarà nessuna querela. E anche se ci dovesse essere, il caso arriverebbe in Tribunale tra qualche anno e dopo che il Tribunale avrà tentato in tutte le maniere una conciliazione tra le parti.
Tornando a Casaleggio junior, si è a sua volta infuriato. Ma non perché Repubblica non rivela le sue fonti (anzi, non gliene “frega niente”), ma perché la sua smentita non è stata presa in considerazione. Scrive su Calabresi Casaleggio sul blog di Beppe Grillo: “mi ha accusato di aver dichiarato il falso, dandomi pubblicamente del bugiardo…è intollerabile che la mia onorabilità venga messa in discussione”.
In un altro post Casaleggio parla anche di un metodo rodato utilizzato dai giornali: “Un giornalista inventa dal nulla una notizia falsa, il suo giornale complice la poca professionalità e negligenza del direttore (che dovrebbe pretendere più fonti certe) la pubblica, tutti gli altri giornali e le agenzie la diffondono senza verificare né chiedere conferma o smentita a nessuno….”
Queste affermazioni, a ben pensarci, sarebbero da querela. Pur avendo verificato (anche sulla mia pelle) che in molti casi il metodo (che Casaleggio chiama Repubblica, con tanto di hashtag sui social: #MetodoRepubblica) viene purtroppo utilizzato, tendo a escludere che possa succedere in una redazione importante come quella di Repubblica. Che auspico di veder agire di conseguenza.