Cartoline dal World Baseball Classic: iniziamo dal 2006

BASEBALL, SCHIROPENSIERO, World Baseball Classic 2006

Alla fine ho deciso: si avvicina la quarta edizione del World Baseball Classic e ho pensato di pubblicare qui il meglio delle Cartoline che ho scritto in occasione delle precedenti edizioni. Sono l’unico giornalista europeo che ha visto tutte e 3 le finali del Classic dal vivo e ne vado orgoglioso. La rubrica però non è strettamente tecnica, anzi. Sarà per me anche un modo per ricordare. Ovviamente, mi permetterò qualche considerazione con il senno del poi.
In questo primo articolo pubblico 2 delle 8 cartoline del 2006. Andiamo dunque al
7 marzo del 2007 e alla premessa che, anche allora, risultava scritta in corsivo

Questa rubrica nasce dal desiderio di trasmettere a chi ci segue quel che prova un appassionato seguendo un grande evento di baseball nel paese nel quale il nostro sport resta il passatempo nazionale. C’è tanto da dire, quando si segue un evento del genere. Si provano sensazioni importanti e si ha il desiderio di condividerle con chi legge. Personalmente, ho sempre creduto che per rendere vero un evento sportivo fosse necessario raccontare al pubblico anche qualcosa di quello che succedeva. Essendo il mio, l’occhio attraverso il quale si forma il racconto, inevitabilmente vi viene riferita la realtà come appare al sottoscritto. Il mio più grande desiderio è fornirvi una lettura piacevole. So benissimo che non tutti apprezzeranno queste righe, ma non me ne faccio un problema, perchè nessuno e’ obbligato a leggere.
Chi mi darà tanto credito da voler seguire il World Baseball Classic anche attraverso queste mie storie non necessariamente di
baseball, lo farà perchè ha imparato ad apprezzare qualche anno fa una serie di articoli nominati Diario di un cronista itinerante. Ebbene: questo non è il Diario. Non potrebbe esserlo, perché quegli articoli appartengono all’irripetibile stagione di www.baseball.it. Tutti siamo cambiati, da quei giorni. Ma almeno io, il sapore dolce di quelle giornate lo porterò per sempre con me.

Prima di iniziare sul serio, un terzo corsivo: dal primo articolo ometto la motivazione (e il tono polemico conseguente) del perchè sto digitando apostrofi anzichè accenti. Allora aveva tutto un senso: a digitare apostrofi ero obbligato, perchè mi avevano svaligiato la stanza e rubato il computer e stavo usando un pc con tastiera americana nel quale non trovavo le lettere accentare; non ero obbligato a usare un tono polemico, ma dovete sapere che c’erano un paio di figuri (al secolo Roberto Sieni e Marco Borri) che non aspettavano altro che un mio refuso per scatenarsi sui Forum. C’è per altro da puntualizzare: non immaginavo che in futuro sarei quasi arrivato a rimpiangerli…Quindi, cari Sieni&Borri, se trovate un accento che non va, fatemelo pur notare.

7 marzo- Quando l’esempio viene da Mike Piazza

Il World Baseball Classic è dappertutto e qui in Florida anche il volto di Mike Piazza, trasfigurato dalla bandiera italiana, è dappertutto. Loro ci saranno per il loro paese recita lo slogan E tu?

Mike Piazza e il suo Maestro Tom LaSorda Photo Jon SooHoo/©Los Angeles Dodgers

Ho pensato che l’Italia non è proprio il paese di Piazza. L’ho pensato qualche settimana fa, quando ancora non conoscevo Mike Piazza e quando temevo (senza avere il coraggio di confessarlo) che Mike Piazza alla fine la maglia dell’Italia non se la sarebbe messa. Quando un po’ tutti i giorni cercavo di immaginarmi con quale scusa Piazza si sarebbe ritirato dal Classic .
Quel giorno non è mai arrivato. Anzi, è successo che il numero 31 dell’Italia si è accucciato dietro casa base e ha iniziato a chiamare i lanci. Poi ha battuto con un corridore in terza ed è stato eliminato in prima e io ho fatto una battuta ad alta voce perchè la sua corsa non è stata leggiadra e in sala stampa attorno a me hanno riso.
Il giorno dopo sono entrato nello spogliatoio della nazionale e ho iniziato a sfogliare il New York Times e un articolo sull’Italia. Ho girato pagina, ma il foglio con la prosecuzione dell’articolo sull’Italia non c’era. Ho guardato davanti a me e un tipo alto circa come me e con la barba incolta mi ha detto: “Cercava questo, Ser”.
E come si è permesso il tipo, di chiamarmi Ser, che abbiamo circa la stessa età?
In quel momento Mike Piazza (il tipo) è diventato ai miei occhi una persona vera. E’ un passo inevitabile per me con i campioni dello sport: inizialmente non penso che siano persone sul serio. Sarà perchè io li ho in mente nella loro divisa e non concepisco tanto che la loro esistenza prosegua oltre il campo di qioco.
Oltre il campo da gioco, Michael Joseph Piazza si interessa della Storia d’Italia. E del futuro dell’Italia. specie quella del baseball. Dentro al campo da gioco, continua a battere le sue memorabili volate. almeno in allenamento. Se ci riuscirà anche in partita non lo so, ma onestamente me lo auguro.

A metà strada tra il campo di qioco e lo spoqliatoio, Mike Piazza deve sorridere una volta o 2 di più del necessario e deve posare per foto ricordo, firmare palline, stringere mani, ascoltare domande che sono più o meno sempre le stesse e fornire risposte che invece si devono differenziare.
In questo interregno tra il campo e lo spogliatoio penso che non vorrei essere Mike Piazza, nemmeno col suo conto in banca. Perchè non sarei mai capace di essere Mike Piazza con la stessa pazienza serena della quale sembra nutrirsi.
Mike Piazza è un privilegiato, lo dico io prima di voi. A lui la vita sorride ininterrottamente da almeno 15 anni. Ma proprio per questo, di venire a giocare il Classic con l’Italia poteva davvero fare a meno, tranquillamente.
Quello che voglio dirvi, è che Mike Piazza ha un progetto e vuole fare sul serio qualcosa per il baseball italiano. E non so se sono davvero tanti, quelli che possono dire lo stesso di sé stessi. nel variegato mondo del nostro sport.
Mike Piazza mi passa a fianco e ha la divisa dell’Italia e per una volta non è un sogno. E io (e noi) dovremmo farci rovinare il momento che abbiamo sognato da anni proprio adesso che il sogno si è avverato? Mike Piazza mi ha stretto la mano. Lo ha fatto con energia ma senza provare a stritolarmi. Lo ha fatto come è entrato nello spogliatoio della nazionale, non nascondendo di essere espressione di un mondo distante anni luce dal nostro, ma senza vergognarsi di essere uno di noi per qualche giorno.
Mike Piazza è l’esempio vivente del fatto che un giorno le cose potrebbero veramente cambiare, nel nostro baseball.

Prima di andare oltre, è bene chiarire che le mie parole suonano vagamente astiose per un motivo. Nel dicembre del 2005 il Vice Direttore della Gazzetta dello Sport Franco Arturi aveva scritto un corsivo di una violenza e una cattveria inaudite contro la nazionale di baseball, che a suo dire “dava in leasing la maglia azzurra”. Il riferimento era al fatto che la nazionale per il World Baseball Classic sarebbe stata composta in prevalenza da giocatori nati e cresciuti come atleti fuori dall’Italia. Insomma, come Mauro Camoranesi, che vincerà pochi mesi dopo il Mondiale con la nazionale di calcio. O come Diego Dominguez, che giocava apertura per la nazionale di rugby, atleti della cui presenza nessuno si è mai lamentato.
Io mi sentivo decisamente toccato, in quanto mi ero incaricato (in diretta collaborazione con il manager di quella nazionale Matt Galante) di lavorare alle pratiche che dovevano dimostrare l’eleggibilità di questi atleti.
Visto che la domanda è nell’aria, ecco la risposta. No, Mike Piazza non è riuscito a cambiare il baseball italiano. Al momento, è segnalato alla presidenza della Reggia della Lega Pro di calcio.
Passiamo oltre. Nella prossima cartolina emerge l’appassionato che si sente proprio Pinocchio nel Paese dei Balocchi.

Per poco scattare questa foto non costa a Ezio Ratti il prezioso accredito per la prima edizione del World Baseball Classic

8 marzo-Io, Big Papi e la gioia

Ero in fila a un buffet in albergo e stavo inscenando la solita discussione con la mia coscienza prima di scegliere il dolce, quando improvvisamente una voce cavernosa ha detto: “Non dovresti mangiarlo”. Mi sono girato e c’era David Ortiz che mi sorrideva.
Ora, la cosa per me sorprendente non era la presenza di David Ortiz, che logicamente doveva essere in quell’albergo, quanto piuttosto vederlo sorridere. A me la sua espressione truce aveva fino a oggi fatto sempre paura. Quindi lo confermo: faccio fatica a vedere questi grandi campioni dello sport come persone, almeno finchè non ho le prove concrete che lo sono. E riconosco che assaggiare un tiramisu è senza ombra di dubbio una prova concreta di esistenza.
“Mi ero ripromesso di lasciare stare questa roba” ha detto Big Papi “Ma ho già cambiato idea”. Avendomi rivolto la parola per la seconda volta in pochi secondi, Ortiz mi ha convinto a violare non so quante regole etiche della mia professione e certamente il regolamento che ogni persona accreditata per il Classic sottoscrive al momento di ritirare il pass e mi sono fatto fotografare (tutti i tifosi dei Red Sox intercederanno per il mio perdono) con qualcuno di cui potrei presto trovarmi a criticare o esaltare l’operato.
Diciamo la verità: dopo averlo visto giocare oggi, dubito che criticherò David Ortiz. Ha battuto 2 fuoricampo e la pallina del secondo è finita dove i miei occhi non sono stati in grado di seguirla. Certo, c’è quello slider dei lanciatori destri che non gli piace tanto, ma è qualcosa che si perdona a chi è capace di iniziare il World Baseball Classic con 2 homer.
E ve lo confesso: a 42 anni compiuti mi sono emozionato come un bambino quando Ortiz mi ha abbracciato per fare la foto, sostanzialmente stritolandomi.
 
Potrei considerare la mia presenza allo stadio in occasione di Repubblica Dominicana contro Venezuela una specie di premio alla carriera. Quando mai mi ricapita di vedere Ortiz battere dietro a Pujols e davanti a Beltre e Vizquel difendere una battuta di Tejada e Johan Santana sfidare Carlos Zambrano, tutto nello stesso pomeriggio?
Scegliete voi la definizione che preferite, perchè sono assolutamente indeciso se definire il livello tecnico che ho visto esagerato, meraviglioso o terribile.
Le definizioni ci stanno tutte. Esagerato, perchè una concentrazione del genere di stelle sinceramente non la si può descrivere in un altro modo. Meraviglioso, perchè vedere Tejada e Vizquel muoversi all’interbase non credo possa suscitare niente di diverso. Terribile, perchè non trovo un’alta maniera di descrivere il giro di mazza di Ortiz o di Beltre. La velocità con cui le mani ad un certo punto arrivano sulla palla non credo possa essere ritenuta troppo umana.

Più ancora di quello offerto in campo dalle squadre, penso verrà ricordato lo spettacolo regalato dai tifosi di Repubblica Dominicana e Venezuela sugli spalti del Crackerjack Stadium di Orlando. Ho avuto infatti la fortuna di trovarmi in mezzo ad entrambe le tifoserie in momenti topici della gara. Ero coi venezuelani quando Cabrera ha sfiorato l’homer (i venezuelani per la verità sostengono che lo aveva proprio ottenuto ma, come fa giustamente notare il loro allenatore Sojo: “questo fa parte delle regole del gioco”) ed ero con i dominicani quando Big Papi ha mandato in orbita il secondo fuoricampo, chiudendo di fatto i conti. In entrambi i casi sono stato travolto da gente che si abbracciava e che finiva col travolgere anche me e un malcapitato scout americano, che scuoteva il capo. Ho visto la gioia esprimersi nelle maniere più svariate: dalle lacrime alle risate, dalle pacche vigorose sulle spalle agli high five più convinti.
Gli americani da parte loro fanno un po’ fatica a capire che si possa essere così. Lo si è visto dai volti stupiti dei colleghi in conferenza stampa e lo si è capito ancora meglio dalle loro domande. “La serie del Caribe è così?” si chiedono i giovani corrispondenti di siti internet e giornali e Manny Acta, dall’alto della sua saggezza bilingue, sorride: “Siamo noi latini ad essere così”.

Ho chiesto a Manny Acta chi lancia per la Repubblica Dominicana contro l’Italia e lui, squadrando il mio pass, ha detto: “Te lo dico, anche se secondo me sei una spia: lancia Odalis Perez“. Poi ha continuato, tra il serio e il faceto, ad indagare su cosa facevo veramente. Questo dialogo di pochi secondi tra me e Manny Acta credo che interpreti bene l’atmosfera che si sta vivendo in questo World Baseball Classic. Un evento nel quale c’è grande rispetto per tutti i partecipanti.
In questo senso, il primo Classic ha già stravinto.

1-CONTINUA